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Il Racconto del Mese

 

<    Novembre 2004    >

 Appunti di viaggio in Albania

Mario Michele Saggese

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Non c’è pace senza libertà e affrancazione dalla miseria e dall’ignoranza”  (Giovanni Paolo II)

Appunti di viaggio  in Albania - Racconto di Mario Michele Saggese

 

Ormai l’immagine dei nostri soldati in missione ovunque nel mondo ci è familiare.  L’arena mediatica sforna notizie a un ritmo da catena di montaggio e noi le assorbiamo mentre arrotoliamo gli spaghetti  o sorseggiamo un liquore in poltrona con i piedi sul tavolino. E’ tutto così lontano, così  ripetitivo che le zone calde del mondo, dove ancora si combattono guerre o si affrontano conflitti, tutti derivanti da una straordinaria stupidità umana, ci appaiono come immagini di routine, scene per il grande circo dell’informazione che si nutre sempre di più di sangue, morte e sofferenze. Ecco perché quando ho saputo che il Sindaco della mia Città assieme ad un Consigliere comunale si sarebbero recati in Albania per far visita ai soldati italiani del Contingente di Pace NHQT ho chiesto subito di aggregarmi e con me un altro collega giornalista di Latina: volevamo “vivere” questa esperienza in una terra che non riesce a trovare stabilità e vera pace, provare le stesse sensazioni che convivono con i nostri soldati e “vedere” anche con gli occhi di una popolazione che da sempre coabita con la povertà, i bisogni e le speranze di un domani migliore.

E dunque comincia l’avventura. Con la macchina raggiungiamo Bari e ci imbarchiamo sul Millenium Star, un catamarano veloce che in cinque ore, con un mare molto mosso, la gente che fa la spola tra la poltrona e il W.C. e gli immancabili irriducibili che bevono birra mentre la nave ci “spiega” il rollìo, ci porta fino a Durazzo. Qui incontriamo le prime facce amiche: il T. Col.  Vecchione, il Maggiore Antonio Passaro e il Cap. Azzarelli e due V.M. con autisti e scorta  che sono venuti a prenderci “in carico”. Sono uomini del Contingente di Pace della Nato che opera in Albania in varie basi assieme a colleghi degli eserciti degli USA, della Grecia e della Germania. Ma Vecchione , Azzarelli  e gli altri ragazzi  sono  del 17° Reggimento di Artiglieria C/A “Sforzesca” che ha sede a Sabaudia presso il C.A.S.A.C.A. comandato dal parà Brig. Gen. Aldo Piccotti. Ecco il legame forte che si rinnova con la visita del Sindaco Dott. Salvatore Schintu e del Consigliere Luigi Iacuzzi al Comandante Col. Roberto D’Alessandro che guida i suoi 400 uomini con le stellette  nella operazione di assistenza militare e umanitaria che da mesi si sta svolgendo con grande successo e con un enorme gradimento della popolazione albanese. “Italiani brava gente”… ed è così se vediamo subito di quanto affetto sono oggetto i ragazzi del 17° Rgt: bambini che salutano e i grandi che sorridono dietro le rughe che segnano anche i volti dei più giovani. Saltiamo le formalità di frontiera e dopo poco siamo già a bordo dei veicoli NHQT che si dirigono a Puke, all’estremo nord ai confini con il Kosovo, lungo la unica strada di 140 chilometri che dopo un tratto in pianura fino a Scutari, si inerpica sulle montagne che hanno visto migliaia di profughi scappare dalle pulizie etniche della Serbia e del Kosovo. Cinque ore di buche e freddo, ma in buona compagnia fino alla base “Excare” del nostro Contingente a Puke. Qui ci aspetta il Comandante D’Alessandro e, dopo l’interminabile viaggio, è festa. Un sobrio rancio, una grappa e tanta allegria: siamo tra amici e la presenza di Padre Giovanni, un prete di Crema che si divide tra i vari distretti del nord, rinforza una conversazione oltremodo ricca e stimolante. Il buio del compound è  squarciato dai fari che illuminano i muri e i fili spinati, una splendida luna cattura le coppie di sentinelle che vigilano i perimetri e l’accesso alla Base. Siamo in mezzo alla natura e al silenzio più totale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mario Michele Saggese

 

E’ mattino, un caffè e si va tutti in Comune dove ci attende il Sindaco di Puke, il Dr. Ndue Cara . L’incontro con l’amministrazione è dapprima amichevole poi diventa molto cordiale  tanto che il Col. D’Alessandro invita Sindaco, Prefetto e Presidente del Consiglio Comunale a pranzo con noi alla Base. La missione di pace dei soldati ed una umanitaria creano un filo diretto tra l’Italia  e l’Albania: in dono al piccolo ospedale di Puke, va il materiale sanitario e i sussìdi farmaceutici donati dalla Società  Abbott di Campoverde e dalla  Damor di Napoli. Materiale che lo stesso Sindaco di Puke, un medico collega del nostro Sindaco , aveva richiesto per il piccolo ospedale del distretto ai confini con il Kosovo che ospita ancora tante sfortunate vittime del conflitto che negli anni scorsi ha insanguinato i balcani.

E ancora agli albanesi viene consegnato  il materiale didattico

 ( raccolto  dal Circolo Didattico “Valentino Orsolini Cencelli” e dall’Istituto Comprensivo  “Giulio Cesare” di Sabaudia ) che è stato donato alle scuole locali e  i libri che formeranno una piccola biblioteca per il Distretto composto da ben 40 villaggi sparsi tra le montagne della Tropoje, tra Scutari e Kukes. Una delegazione di insegnanti albanesi, non senza occhi umidi,  prende in carico il materiale che verrà distribuito tra tutte le scuole primarie. Altro materiale (medicine, materiale sanitario, materiale didattico  per le scuole, per lo sport ecc.) verrà inviato dall’Italia nelle prossime settimane con l’aiuto dei militari, che si faranno carico del trasporto e della distribuzione mirata sia a Tirana che a Puke e Durazzo.

        Si passeggia per Puke, ma al di fuori della strada principale piena di negozi e bar, c’ è povertà e miseria. Viottoli di terra, piccoli mercatini tra le fogne a cielo aperto, bambini che giocano tra le macerie e una mucca che tranquillamente pascola davanti alla porta dell’unica banca del paese senza che alcuno la disturbi: è una visione piena di contraddizioni, da una parte fiammanti Mercedes comprate sicuramente da personaggi dediti a traffici illeciti, dall’altra gli asinelli che dappertutto sono il mezzo di trasporto di persone e merci. Il bene e il male separato a fil di spada, con la manopola del contrasto ruotata al massimo.

In qualche angolo di cortile una pentola bolle con del riso che viene continuamente rimestato da una ragazzina che ha già imparato l’arte di essere paziente e di scandire il tempo con i ritmi contadini.

        Ci arrampichiamo a piedi su di un viottolo e raggiungiamo il convento delle Suore di “Madre Teresa di Calcutta” : quattro o cinque casupole ad un piano, collegate malamente tra loro,  dove si è ricavato di tutto. C’è la cappella, la cucina, un refettorio e gli alloggi per le sorelle guidate da Suor Tecla, italiana con un’esperienza di tanti anni negli Stati Uniti. Non manca la piccola sala per le riunioni e il catechismo che viene insegnato ai bambini del distretto. Suor Tecla e le altre lavorano 14 ore al giorno, e raggiungono a piedi, dopo anche 3 ore di marcia in montagna, i vari villaggi dove portano generi di prima necessità: zucchero, farina, medicine e la parola del Signore. Le uniche pause di riflessione son quelle della preghiera. Una vita d’inferno, senza alcun genere di passatempo che non sia il lavoro e il Vangelo. Eppure Suor Tecla è felice, nella nostra chiacchierata scopriamo un essere umano che vive per gli altri, ride , scherza e ironizza su quello che è la vita moderna nelle grandi città, ci mostra il velo di sacrificio gioioso che c’è dietro queste religiose che nulla chiedono se non di servire il prossimo che ha bisogno di aiuto.

        Intuisco, dall’ultimo sereno sguardo di saluto della suora,   da dove parte il cammino per la santità e raggiungo gli altri sui mezzi che ci riporteranno a valle. Altre cinque ore infernali di viaggio, dalla  base degli artiglieri di Sabaudia, situata in un enclave alle porte della Città di Puke  che è la punta più avanzata del contingente di pace italiano, fino al mare . Qui ci si  occupa del controllo di oltre 130 chilometri dell’unica strada che dal Kosovo raggiunge Scutari nel nord del Paese.

 La “strada della sofferenza” che attraversa impervie montagne e che fino a pochi mesi fa era percorsa da migliaia di profughi che fuggivano dagli orrori della guerra e della “pulizia etnica”. La “strada della speranza” da quando a piccoli gruppi gli albanesi del Kosovo e i montenegrini la ripercorrono a ritroso per raggiungere la loro terra con la speranza di ritrovare la propria  casa e dedicarsi di nuovo al piccolo apprezzamento di terra che dava loro da vivere.

Arriviamo a Tirana, la capitale: qui vive un terzo di tutta la popolazione albanese. Periferia da terzo mondo, disordinata, caotica, per nulla diversa dai grandi villaggi del nord e poi si “esce” improvvisamente in centro dove due grossi viali paralleli attraversano diritti  tutta la città, da un capo all’altro. Nei più anziani  mantengono ancora il ricordo dei nomi originari: Corso Mussolini e Corso Vittorio Emanuele III. E così cominciamo a scoprire la Tirana “italiana” dove le due più grandi piazze sono contorniate da edifici progettati da architetti del Bel Paese e che ancora oggi rappresentano il fiore all’occhiello di un’architettura razionalista che tra le due grandi guerre è stata protagonista ovunque nel mondo. La sede dell’università, la biblioteca nazionale, il Museo nazionale albanese e i palazzi del potere (Parlamento, Banca d’Albania, Palazzo Presidenziale) tutti fasciati da travertino, da mattoni rossi o da intonaci di quel giallo pastello che troviamo ovunque nelle nostre città.

A Tirana la scorta armata dei nostri artiglieri del 17° Rgt  ci lascia “liberi” per una sera che possiamo passare con  Padre Gianfranco Iacuzzi, il gesuita originario di Borgo Vodice , Vice Parroco della capitale albanese, più conosciuto come Padre Jack o “Padre mitra” per le sue energiche prese di posizione e azioni, durante i conflitti, contro la mafia albanese, la tratta delle ragazze e il traffico di droga che sono le piaghe che ancora oggi affliggono lo stato balcanico. La visita di Tirana con Padre Jack ci fa  scoprire una capitale dalle mille contraddizioni: povertà più nera e ricchezze smodate dovute a traffici illeciti di cui, sembra, l’Albania sia diventata il centro, proprio alle porte della vecchia Europa. Un aperitivo sulla “Sky Tower” , il palazzo costruito dagli americani più alto di Tirana da dove si gode una vista spettacolare, e una passeggiata nelle stradine sottostanti dove, ammassati in una ventina di bar e pub c’è tutta la bella gioventù della capitale. Si “respira” una smodata voglia di assomigliare  ai “ragazzi bene” delle nostre città: capi d’abbigliamento griffati, telefonini ultima versione e quell’aria di chi sta decidendo cosa deve farne della serata per poi passarla proprio lì “a decidere” e a spostarsi da un gruppetto di ragazzi ad un altro. Padre Jack ci porta a mangiare l’agnello allo yogurth (panna acida) in un bel ristorante che, pare, sia proprietà di uno dei più grandi boss della malavita della capitale. A Tirana è così, tutti sanno, tutti si arrangiano, molti si arricchiscono  sulle miserie e sulla povertà  della gente e con i traffici internazionali. Proprio di questi ultimi parliamo con il coraggioso gesuita ( si dice che girasse per l’Albania con un Kalashnikov nella macchina ) che si oppose, negli anni più caldi dei conflitti e del disordine sociale, alla tratta delle giovani ragazze avviate poi alla prostituzione e all’ignobile  traffico di organi. Alla fine degli anni novanta, dopo indagini che lui stesso condusse con l’aiuto delle autorità di Polizia, riportò in Albania dall’Italia, il cadavere di una povera ragazza finita nella rete degli sfruttatori che, forse, per essersi ribellata alla sua nuova tragica condizione, fu uccisa e tagliata a pezzi.

L’orrore di questo episodio, il fatto che Padre Jack fosse riuscito, anche se troppo tardi, a ritrovare la fanciulla, e il suo monito nel villaggio del nord dove la ragazza viveva a non correre dietro ai sogni o alle promesse di facili guadagni da parte di loschi individui, gli è valsa la stima e il rispetto di tutta la popolazione e ancora oggi, in una società di tipo rurale come quella albanese la “leggenda” del  prete buono e senza paura, del grintoso “Padre mitra”, continua ad alimentarsi e a precederlo in ogni attività pastorale che egli porta avanti con grandi sacrifici e forza d’animo in un Paese dove il 70% della popolazione è di religione mussulmana. <E’ brava gente - ha precisato Padre Jack- e collaboriamo senza contrasti. Solo negli ultimi  quattro anni sono arrivati a Tirana gruppi di integralisti  che hanno fondato una moschea e fanno “sentire” la loro  presenza>. D’altra parte se le autorità hanno sospeso l’edificazione di due torri, proprio vicino alla “Sky Tower”  che, si dice, fossero finanziate da Al Qaida, una ragione ci deve pur essere. A tarda notte un grazioso alberghetto ci fa riconciliare con Morfeo.

L’indomani la significativa visita al Compound della NATO “Plepa” a  Durazzo . L’incontro  caloroso  con  il Brig. Gen. Sandro Santroni , comandante del Contingente Italiano e SMR della NATO in Albania e il suo staff (alle sue dipendenze militari greci, statunitensi, tedeschi ecc.) è caloroso: l’alto ufficiale rivolge  parole di elogio al Col. D’Alessandro, Comandante del Rgt “Sforzesca “di Sabaudia , per “l’attività di stampo militare legata alla missione e soprattutto di quella a carattere umanitario molto apprezzata dalle autorità albanesi e rivolte a migliorare le condizioni di vita dei più bisognosi”. Gli artiglieri italiani si fanno dunque onore nei balcani e proseguono instancabili la loro preziosa missione di pace benvoluti dalla popolazione, soprattutto quella delle campagne e delle montagne che vedono nei militari italiani “fratelli” che portano aiuto materiale ma anche sostegno e speranza per un futuro nel quale per anni non hanno creduto potesse concedere loro pace e un poco di benessere.

La permanenza  della Delegazione si è arricchita, prima del rientro via mare a Bari, della visita a Kruje, l’antica capitale, sede del castello più famoso d’Albania costruito dall’eroe nazionale Scanderberg che dal 1430 per 25 anni si oppose alle invasioni turco-mussulmane. Poi il ritorno a Durres con la scorta armata dei valenti ragazzi del Contingente NHQT del 17° “Sforzesca”, come consuetudine, comandata dal T.Col. Tonino Vecchione (il gigante buono), sabaudiano DOC,  e  dal Cap. Konrad Azzarelli (il computer vivente) .

Lasciamo l’Albania più ricchi, di esperienza, di una umanità che ci è stata trasmessa, come un virus invisibile e silenzioso, dai nostri ragazzi dell’esercito della cui professionalità, senso del dovere e capacità relazionali, sono rimasto stupito, in ogni ora del giorno, fino al momento di “ficcarsi in branda” .

Mentre la nave si allontana dalla costa albanese il pensiero va a chi rimane: Suor Tecla e le sue monache di “Madre Teresa di Calcutta” , eroine quasi sconosciute in una terra “dimenticata da Dio”, Padre Gianfranco Iacuzzi che ha fatto con coraggio e grinta  la sua vita “serva” del Signore e del prossimo, e i nostri giovani  con la divisa che hanno così ben compreso cosa significa essere un “peacekeeper”: oggi in Albania e in tante altre parti del mondo, domani all’interno della nostra società e nella “casa europea”  che sempre di più diventerà la nostra dimora da condividere con altri popoli fratelli.

Un’ultimo pensiero, prima che il sonno in mare mi porti di nuovo direttamente in Patria,  va al popolo albanese: la cui visione da noi è sostanziata solo da logori topoi.  Mi viene mentalmente da parafrasare il pensiero del Santo Padre : “non ci può essere pace laddove non c’è libertà e non c’è libertà laddove non ci si è affrancati dalla miseria e dalla ignoranza…”. Chissà che quei bambini scalzi e con la manina agitata in senso di saluto al passaggio delle nostre camionette militari non diventino domani  tanti Scanderberg che facciano entrare l’Albania  a pieno titolo tra le nazioni di un’ Europa che guarda al futuro: un futuro di pace e di giustizia.

 

Mario Michele Saggese