Montebelluna, 31 ottobre 1918
Amore mio, ancora pochi giorni
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Il treno a vapore, annunciandosi con un lungo fischio, arrivò sul binario 7, tre minuti dopo mezzogiorno. Alberto si trovava alla stazione da circa un’ora. La voglia di rivedere Marcella l’aveva spinto a recarsi in anticipo sul luogo dell’incontro. Si era posto in testa al marciapiede per lo scalo passeggeri, subito dopo l’annuncio fatto a voce dal personale di servizio, dell’imminente arrivo. In tal modo avrebbe potuto celermente raggiungere, in testa al convoglio, la carrozza da cui sarebbe scesa l’amata. Sbuffando nuvole di vapore, il treno 7745 mostrò tutta la potenza dei suoi stantuffi. Rallentò fino a fermarsi, sferragliando. Il personale addetto si affrettò presso le porte di discesa, e i facchini si offrivano ai passeggeri di 1^ e 2^ classe per l’eventuale trasporto di bagaglio ingombrante. Quelli che viaggiavano in 3^, non potevano permettersi il lusso di pagare un facchino. Marcella viaggiava in1^ classe poiché lo permetteva il ceto sociale cui apparteneva; il padre era un importante commerciante di tessuti in Firenze. Alberto, fiorentino pure lui, viveva a Milano; alloggiava in una piccola pensione non lontana dall’Università, dove frequentava lettere, grazie alla famiglia che aveva deciso di affrontare grossi sacrifici per far studiare l’unico figlio, il cui padre era un semplice impiegato comunale. Ad Alberto mancavano solamente due esami alla laurea. Quel gennaio del 1915, il rigore invernale si faceva sentire, nonostante i fermenti sociali che scaldavano gli animi degli Italiani. Il mondo era sottosopra e bruciava, già dall’anno precedente, fior di giovani in una sanguinosa guerra che vedeva la potenza degli Imperi centrali europei e quello turco, belligeranti con Regni e altre Potenze europee. L’Italia non aveva ancora assunto atteggiamento in merito, per il momento era in una posizione neutrale. La Nazione era divisa fra non interventisti, neutrali ed interventisti, i quali ravvisavano l’occasione per riscattarsi dal giogo straniero che, ancora, occupava parte del suolo patrio. Alberto nell’attesa di Marcella, rimuginava questi pensieri che, in sintesi, lo trovavano propenso ad un intervento bellico dell’Italia.
Il bavero alto di pelliccia bianca di Marcella, rendeva l’idea di una corolla floreale a protezione d’un viso infreddolito dalla bassa temperatura invernale, che aveva reso vivaci le guance della ragazza. L’abbraccio con Alberto fu affettuoso, molto caloroso e liberatorio da quel lungo tempo trascorso e percorso unicamente da missive che, per tre mesi, occuparono i cuori dei due ragazzi innamorati. L’ultima volta che si erano visti, era l’ottobre del 1914, quando lui si era recato a Firenze per un breve soggiorno, in occasione del compleanno del padre. Marcella era giunta a Milano per far visita ad una zia materna poiché le aveva manifestato, per lettera, il desiderio di vederla dopo che, negli ultimi tempi non era stata bene in salute. Presa sottobraccio l’amata, i due si avviarono all’uscita della stazione che conduceva in una larga piazza. Datosi che la zia abitava in Via A. Manzoni, decisero di compiere il tragitto a piedi, per sfruttare maggiormente il tempo a loro disposizione, poiché Marcella avrebbe soggiornato in città per soli due giorni. Durante il cammino, incontrarono gruppi di manifestanti con bandiere sabaude che inneggiavano all’entrata in guerra, e altri che ostentavano il contrario. In ogni modo, erano tenuti sotto controllo da drappelli di Cavalleria e di Carabinieri a cavallo. Ambo le parti, il fervore era supportato da animi calorosi. Alberto, traendo spunto da questi episodi, lealmente, confessò a Marcella la sua propensione all’intervento armato dell’Italia, per riscattare i suoi diritti ai confini naturali; aggiungendo che, qualora ciò fosse accaduto, si sarebbe arruolato volontario per il fronte. Lei rimase per qualche attimo silenziosa, ma l’espressione del viso e i sorridenti occhi tradivano la condivisione delle idee di Marcello. E quando riprese a parlare, le sue labbra offrirono parole che toccarono il cuore dello studente, giacché esprimevano un consenso condiviso ed esplicito Un bacio frettoloso suggellò le parole dei due amanti. Poi Marcella affermò che, con ogni probabilità, avrebbe dato il duo contributo alla Patria, arruolandosi come Crocerossina al fronte. Certamente una grossa incognita pesava sul futuro dei due giovani. L’entusiasmo scaturì in un abbraccio più affettuoso e comunicativo di quello precedente, mentre giunsero al portone di Via Manzoni. Si lasciarono con l’impegno di rivedersi la mattina seguente alle ore undici; Alberto si sarebbe fatto trovare in quel luogo puntualissimo.
Era il 31 ottobre 1918, quattro giorni prima della fine della guerra che vide l’Italia sedere al tavolo dei vincitori. Il Tenente Alberto, laureato in lettere, si trovava ad ordinare un assalto, uno dei tanti, alle trincee nemiche, poste ad una cinquantina di metri dalle posizioni italiane. Estrasse il fischietto dalla tasca interna della giubba grigioverde, e appellò il suo plotone, pronto ad uscire dalla trincea fangosa per mezzo di scale di fortuna che conducevano al terreno di battaglia, in faccia al nemico. Il suono del fischietto sibilò nell’aria mentre crepitavano colpi di mitraglia, acuto e continuo. Era il segnale per l’assalto. Il Tenete di fanteria Alberto, in testa ai suoi uomini, sbucò dalla trincea e, incitandoli all’assalto, si diresse con impetuoso coraggio verso i reticolati nemici. Aveva già condotto diversi assalti, meritando anche due medaglie. Il suono del fischietto si tramutò in grido di battaglia corale… dopo qualche decina di metri il suo grido fu strozzato nella gola da una raffica di mitragliatrice tedesca, che fermò tragicamente il suo intrepido slancio. Il Tenete Alberto cadde valorosamente con il viso rivolto al nemico, a pochi metri dai loro reticolati, mentre i suoi soldati sfondarono le linee volgendo in fuga i difensori. Nello medesimo istante, a circa 25 km dalla prima linea, Marcella, Crocerossina volontaria e capo-sala, era intenta a scrivere una delle tante lettere dirette al fronte, seduta ad un tavolino bianco nell’infermeria di un Ospedale per convalescenti, reduci dalle sanguinose battaglie di quella guerra.
Montebelluna, 31 ottobre 1918
“Amore mio, ancora pochi giorni e poi, come hai scritto, avrai un periodo di licenza. Questo ci permetterà, finalmente, di vederci e stare insieme per poter così…”Gianpiero Délmati