Paolo ed Elisa
Un caffè mai bevuto, in un bar anonimo,lontano da occhi indiscreti
La sigaretta, appoggiata sul posacenere in atto di combustione, formava una sottile linea di fumo azzurrognolo che fluttuava verso l’alto dello studio. Paolo era in piedi, alla finestra. Aveva deposto l’oggetto del vizio perché, scostando la tenda, non voleva correre il rischio di bruciacchiarla . Il suo sguardo attraverso i vetri non vedeva ciò che il mondo sottostante offriva nella sua eterogenea pluralità, bensì considerava un pensiero, assorto e rivolto all’interno di se stesso: uno sguardo interiore. Aveva una domanda che gli invadeva sia la mente, come il cuore. L’incontro avuto tre giorni prima con Elisa, una nuova inquilina del palazzo, lo aveva turbato. Un incontro voluto, calcolato. Paolo aveva saputo che lei consumava uno spuntino, nell’ora della pausa di lavoro, in un certo bar del Centro città; l’aveva udita nominarlo durante una conversazione occasionale con altri coinquilini, giù all’entrata del palazzo una mattina, mentre si recava al lavoro.
Paolo era combattuto. Le piaceva. Il modo di proporsi di lei, lo aveva incuriosito, anzi di più, lo affascinava, lo attirava. Tre giorni prima, un sabato mattina, in occasione del ritiro della posta, le aveva offerto una sigaretta che lei aveva accettato sì con gentilezza, ma il suo “grazie” aveva qualcosa di invitante nell’espressione fonetica della semplice parola. Ed anche il resto della breve conversazione, se pur convenzionale, possedeva, da parte di lei, un tono di “apertura” e forse anche d’invito ad una stretta amicizia. Elisa era una bella donna, sulla quarantina, fisico slanciato ed un viso dai lineamenti nobili, paragonabili a quelli classici settecenteschi, ritratti su preziose tele rimirabili, ancora oggi, in alcune pinacoteche. Ma Paolo aveva famiglia, e la coscienza lo interrogava. Scavalcare alcuni valori che avevano segnato la sua esistenza, oppure rimanere fedele ai principi fin ora adottati? Questo era il dilemma che lo turbava, mentre guardava di là dai vetri. La coscienza! Ecco lo scoglio che, per chi vi si aggrappa, è difficile debellare. Forse, pensava, poteva essere solo un’avventura, un “mordi e fuggi”... oppure qualcosa di più coinvolgente. Paolo era combattuto su questo fronte. In fin dei conti, un’avventura galante cosa mai poteva fare di male? Anche qualche incontro periodico, continuativo, consumato fra le braccia di lei, che cosa poteva comportare... in fondo l’uomo è cacciatore, no?! Un caffè bevuto in un bar anonimo, lontano da sguardi indiscreti; qualche carezza data con sentimento, voluttuosa, uno stringere di mani, un intrecciar di dita, desiderarsi e poi... l’uno fra le braccia dell’altra, in una apoteosi di sentimenti e di gratificazioni sensuali. Ecco, tutto qui! Questo era il pensiero dominante che occupava la mente di Paolo. Ed era sicuro che ciò poteva accadere, anzi, ne era certo. Bastava volerlo, decidere. Lasciò che la tenda riprendesse la sua posizione originale, poi riprese la sigaretta ormai in gran parte ridotta ad un omogeneo cilindretto di cenere compatta, aspirò qualche voluttuosa boccata, e la spense. S’avviò verso la fotografia di sua figlia, in mostra sullo scrittoio nel suo studio di avvocato, la prese fra le mani e baciò la sorridente immagine della ragazza. In quel momento gracchiò il citofono. Ripose la foto, s’avviò alla porta, spense la luce, uscì e chiuse a chiave, avviandosi all’ascensore, lasciando l’immagine invitante di Elisa davanti ad una tazza fumante di caffè, in quel bar anonimo, lontano da occhi indiscreti.Gianpiero Dèlmati