UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA
FACOLTA’ DI ECONOMIA
Corso di Laurea in Marketing E e-business
IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE
E L’ANALISI DI MERCATO
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa Antonella ZucchellaCorrelatore:
Chiar.ma Prof.ssa Silvia Bruzzi
Tesi di Laurea di
Maria Richichi
Anno Accademico
2004/2005
Oggi essere consumatori significa prendere coscienza di quello che realmente desideriamo e scegliere ciò che più gli si avvicina, ovvero significa conoscere noi stessi ed il mondo che ci circonda.
Maria Richichi
Capitolo I: LE LINEE DI EVOLUZIONE DEL CONSUMO
1. La nascita del consumo e del consumatore “moderno” (pag. 5)
2. La psiche del consumo (pag. 7)
3. Il consumatore post – moderno (pag. 10)
Capitolo II: IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO E LA TUTELA DEL CONSUMATORE
1. Il “riconoscimento” giuridico del consumatore (pag. 11)
2. La politica e la tutela del consumatore (pag. 16)
3. Il Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005) (pag. 18)
4. La politica del consumatore e le novità introdotte dal Codice del consumo (pag. 21)
Capitolo III: IL CONSUMATORE NELL’ECONOMIA GLOBALE
1. Il punto di vista dell’Europa (pag. 25)
2. Il punto di vista dei consumatori (pag. 29)
3. Il ruolo del consumatore nell’economia globale (pag. 31)
4. La responsabilità sociale dell’impresa (pag. 32)
5. Il consumo responsabile (pag. 34)
Capitolo IV: LO STUDIO DEL CONSUMATORE
1. L’attenzione verso il consumatore (pag. 37)
2. La società dell’informazione (pag. 40)
3. Il CRM, il Customer Relationship Management (pag. 43)
4. Il consumatore multicanale (pag. 46)
5. Conclusioni (pag. 50)
Bibliografia (pag. 53)
Capitolo I: LE LINEE DI EVOLUZIONE DEL CONSUMO
1. La nascita del consumo e del consumatore “moderno”
La nascita del consumo moderno e, di conseguenza, del nostro consumatore è figlia della Rivoluzione Industriale, fenomeno che ha segnato irrevocabilmente un allargamento globale della diffusione dei prodotti, attribuendo al produttore ed al distributore il compito di escogitare le giuste strategie per far preferire i propri prodotti a quelli dei concorrenti.
La produzione di massa ha, infatti, generalizzato i prodotti stessi rendendoli largamente sostituibili e destinandoli a svolgere la loro unica funzione di assolvere bisogni non particolarmente
strutturati.
In questo periodo, ossia la fine dell’800 del secolo scorso, diviene allora rilevante rivolgere l’attenzione, da una parte, alle modalità per far percepire come “diversi” agli occhi dei consumatori i prodotti, pur se tecnicamente uguali o simili, e, dall’altra, ad approfondire lo studio del comportamento dell’acquirente, sia sotto il versante economico che sotto quello psicologico-motivazionale.
Sul versante economico, considerando le analisi degli economisti classici, si attribuisce al consumo una funzione utilitaristica, esso, cioè, viene visto come mezzo al fine del soddisfacimento di un bisogno. Grazie a questa peculiarità il consumatore, inteso quale singolo individuo, agisce sulla base di un calcolo razionale tenendo conto del reddito disponibile (o atteso) e delle variazioni dei prezzi.
In secondo piano vengono poste le connotazioni “irrazionali”, come il gusto personale, lo status symbol e le aspirazioni; in altre parole ciò che viene conferito al prodotto non è semplicisticamente ricondotto ad un mero rapporto tra domanda e offerta o tra reddito/propensione all’acquisto e prezzo.
Vengono, però, trascurate le interrelazioni nel momento del consumo: il consumatore è analizzato come “singolo” senza considerare collegate le decisioni del suo acquisto e quelle del “gruppo di riferimento”, ovvero del gruppo al quale questi vorrebbe fare riferimento.
Alla riflessione economica si sono presto aggiunte quella sociologica e antropologica in cui il consumatore è relazionato con l’ “ambiente” e grazie alle quali si possono approfondire le dinamiche comportamentali.
Insieme a questa nuova e crescente attenzione al consumatore si sviluppa la disciplina del marketing, la quale, ha originato e approfondito alcuni degli indirizzi di questi ultimi anni: la produzione just in time, il CRM, il commercio elettronico, ecc.
Secondo una classificazione ricorrente sono note tre scuole di pensiero riferite allo studio del comportamento del consumatore:
- la prima è quella che segue l’approccio della psicologia cognitiva in cui oggetto di indagine sono le modalità secondo cui vengono acquisite le informazioni dall’ambiente circostante ed il modo in cui vengono utilizzate anche in relazione ad ulteriori stimoli ad esse connesse.
Con riferimento al consumatore, l’analisi si occupa dell’attività decisionale che precede l’individuazione dei fini perseguiti e l’acquisizione delle informazioni necessarie. In questa disamina vengono individuati due versanti: il primo è quello degli elementi “razionali” della psicologia individuale, come regole decisionali, apprendimento, ecc., il secondo è riferito alla dimensione
“affettiva”, come le emozioni, le espressioni, la simbologia, ecc.
- la seconda corrente di pensiero è detta dei behaviouristi e attribuisce la causa dei comportamenti individuali alle “interferenze” ambientali, escludendo il valore incidentale delle cognizioni dell’attore. Il comportamento, in questo caso, è determinato da fattori esterni.
Si può rilevare un punto di contatto con le indicazioni della precedente scuola nel valore dell’apprendimento: per i behaviouristi l’apprendimento è la risultante del “condizionamento” ambientale, mentre per i cognivisti è la rappresentazione che l’individuo si è formata, internamente, di questo apprendimento.
Questa impostazione risente, però, di una evidenza empirica nelle numerose ipotesi in cui le scelte del consumatore sono consapevolmente determinate da una scelta razionale, al di là di qualsivoglia indicazione proveniente dall’ambiente.
- il terzo orientamento punta l’attenzione sul dato di esperienza nell’acquisto, piuttosto che sull’acquisto in sé; in sostanza, invece di capire cosa, come e perché il consumatore acquista, ci si concentra il sul “rapporto” che egli instaura con il prodotto una volta che questo entra a far parte del suo quotidiano. In altre parole ci si focalizza sul modo in cui il consumatore “vive” il prodotto che acquista, con particolare riferimento agli elementi simbolici che egli gli attribuisce.
In questa dimensione, poi, si distingue a seconda che l’analisi attenga alle esperienze del singolo consumatore o alle interazioni di questi con il sociale.
Quest’ultima appare allo Stato come la prospettiva più significativa dal momento che, come dimostra l’esperienza quotidiana, l’atto di acquisto non è scisso dal rapporto tra l’individualità (e l’individualismo) e la relazione (e l’integrazione) sociale. Si consuma, insomma, non solo per se stessi, ma anche per ciò che questo rappresenta rispetto agli altri.
La definizione dell’ “essere consumatore” dipende, allora, da una costante riallocazione del proprio ruolo sociale, attuata proprio tramite l’acquisto di prodotti. Nell’ambito di una relazione con il sociale, si collocano quegli autori che esaltano la funzione comunicativa del consumo considerandone lo scopo di mostrare agli altri i propri valori e di spiegare il senso dell’acquisto di un certo prodotto rispetto ad un altro.
Il consumo in quanto “linguaggio” implica l’adozione di un codice
comunicativo condiviso: si forma una “dinamica di gruppo” tra quei soggetti in grado di riconoscere e riconoscersi al suo interno, dove il “codice” corrisponde ad una tipologia di acquisto di un particolare prodotto o che si svolge mediante una determinata modalità.
Il contesto sociale non può che influenzare i “gruppi” che in esso operano da cui derivano valutazioni che prendono atto delle spinte e controspinte tra due caratterizzazioni all’apparenza inconciliabili: l’affermazione dell’individualità e del proprio ruolo di singolo ed il bisogno di “appartenenza”, ossia di essere accettati in un dato ambiente.2. La psiche del consumo
La condizione di consumatori ci vede oggi tutti coinvolti in
misura crescente in quantità e intensità. Il nostro agire quotidiano è ormai largamente inscrivibile nel ruolo sociale del consumatore: il consumo tende ad appropriarsi non solo delle “cose” e dei “servizi”, ma anche dell'evasione, del tempo libero, dell'acculturazione.
Attraverso la pressione deduttiva della pubblicità ormai i modelli culturali del consumo plasmano i nostri sogni e bisogni e ci offrono modelli di identificazione che ispirano la nostra stessa autopercezione.
Il legame della cultura del consumo con il Sè si fa sempre più
stretto, parallelamente alla necessità del marketing di ricorrere sempre più a leve e dimensioni psicologiche per rendere necessario ciò che sarebbe razionalmente superfluo.
Una psicologia del consumo appare necessaria non solo ad un
marketing sofisticato, ma anche alla crescita di consapevolezza culturale di un processo così avvolgente.
Infatti, mentre la psicologia della tradizione moderna presume un soggetto universale e razionale, il consumatore appare piuttosto consono ad un mondo postmoderno in cui il principio di coerenza e l'identità personale assumono un diverso significato.
A partire dai primi studi in questo ambito da parte di autori
anglosassoni, la ricerca psicologica sui consumi si è andata via via intensificando parallelamente all'ampliamento dei volumi di scambio, alla crescente produzione in senso industriale dei beni di consumo e ad una strutturazione delle società occidentali sul modello del libero mercato e della concorrenza.
Anche in Italia si registra oggi un interesse crescente per il campo della ricerca psicologica applicata al consumo ed al consumatore, dopo gli iniziali contributi sull'argomento da parte di autori come Cesare Musatti e Franco Fornari.
Nei giorni nostri la psiche individuale appare soggetta a molteplici trasformazioni a causa della progressiva tensione originatasi dalla creazione di un mondo parallelo, quello della pubblicità appunto, che sembra affiancarsi a quello del reale quotidiano e spesso ne prende il posto nell'esperienza individuale e collettiva.
Il consumo, nell'esperienza che ne fanno le persone, tende a diventare un effettivo strumento di socializzazione che si pone come agente universale di cambiamento della personalità dei consumatori in base ad una nuova logica esistenziale, quella imperniata sull'amplificazione del desiderio quale motore per la conquista di un senso di sé percepito come ben funzionante e più adattato al proprio contesto sociale.
Si andrebbe delineando quindi un individuo nuovo, dotato di una personalità “post-moderna”, che starebbe progressivamente soppiantando quella costruita sui valori tradizionali quali razionalità, aderenza alla realtà e senso di comunità.
La personalità post-moderna del nuovo consumatore oscilla, invece, tra le innumerevoli “offerte” di mercato alla ricerca di una propria possibilità di espressione che non sia limitata ad un determinato modo di essere e di percepirsi, ma mantenga aperta tutta una gamma di possibili rappresentazioni di sé in maniera intercambiabile ed eventualmente simultanea.
La personalità individuale del popolo dei consumatori sarebbe,
quindi, in questo senso sempre più la risultante di una strutturazione molteplice delle esperienze costitutive del sé, che attinge a più livelli dal magmatico universo consumistico ed appare come un'entità stratificata dove convivono credenze, pensieri ed atteggiamenti spesso non solo contrastanti tra loro, ma opposti che spingono al limite le capacità di tenuta e la necessità di coerenza interna dell'Io.
Appare pertanto chiaro come di fronte alla nascita di un nuovo
soggetto, che si potrebbe definire “homo consumisticus”, la psicologia stessa, ed in particolare la psicologia dei consumi, debba trovare una nuova chiave di lettura della personalità individuale che tenga conto dell'emergenza di simili elementi costitutivi. Ad esempio l’acquisto di un determinato “brand” si traduce per il consumatore nell'entrare in una dimensione di sé mutuata dalle atmosfere costruite dal marketing intorno al prodotto, attraverso un processo di identificazione più o meno temporaneo e fondamentalmente superficiale.
Difatti ciò che conta in questo caso è la velocità del cambiamento delle immagini di sé disponibili e potenzialmente favorenti l'adattamento al contesto sociale di riferimento. Tale contesto non è più di appartenenza, poiché un'altra conseguenza di questa condizione può essere individuata proprio nella maggiore fluidità dei confini di
contatto interpersonale e nella decentralizzazione delle esperienze di socializzazione.
Se, dunque, da un lato questo stato di cose forma uno scenario che potrebbe legittimamente popolarsi di interrogativi inquietanti circa la stabilità psichica di tali personalità e la loro tenuta nel tempo di fronte alle molteplici trasformazioni radicali cui sono periodicamente soggette, dall'altro è possibile scorgerne anche gli
aspetti positivi che si traducono, essenzialmente, nelle possibilità insite nell'avere raggiunto una condizione di libera identità, la quale consente una maggiore capacità di sperimentazione e di riprogettazione continua del sé e del rapporto sé-altro.
La logica del desiderio all'interno del campo di forze operanti nell'individuo tenta di individuare quell'esperienza soggettiva
potenzialmente sensibile ad essere tradotta sul piano della
ricerca scientifica sul consumo. Essa, inoltre, si presta particolarmente a questa operazione conoscitiva stabilendone le caratteristiche distintive rispetto alla logica del principio di realtà, le peculiarità “regressive” che la collocano nell'ambito delle esperienze proiettive ed identificatorie alla base del fenomeno del consumo, le sue coloriture narcisistiche che favoriscono la permanenza di uno sfondo simbolico di tipo immaginario e fantastico.
Insomma più che un cambiamento è avvenuta un’evoluzione imposta
sia dagli sviluppi della psicologia, sia dall’espansione del fenomeno del consumo. Le due linee di sviluppo hanno messo in luce da un lato un approccio cognitivo ai temi del consumo, dall’altro hanno integrato la prospettiva psicodinamica in una più ampia visione delle
dinamichesistemiche della personalità, con riferimento, soprattutto, ai temi del Sé e dell’identità coinvolti nella socializzazione al consumo e nei modelli culturali trasmessi dal consumo.
Non va poi dimenticato, nella dinamica del consumo, che la crescente importanza della componente di comunicazione, “pubblicitaria” in senso lato, ha riproposto all'attenzione dei ricercatori i temi della persuasione, del cambiamento di atteggiamento, dell’identificazione/proiezione.
Inoltre l'imponenza delle pratiche di consumo nella vita quotidiana ha riproposto alla psicologia scientifica la necessità di
spiegare la“distanza” tra gli schemi disponibili nelle teorie accreditate sui manuali ed il modo effettivo di “ragionare” da parte del consumatore reale e quotidiano.
Ad una personalità imperniata sull’identità coerente con una gerarchia di valori interiorizzati in un mix di relazione identificativa e di pressione educativa istituzionale si starebbe
sostituendo una personalità apparentemente molteplice caratterizzata da diverse identificazioni e proiezioni. Tale evoluzione potrebbe essere foriera di dinamiche creative, di linguaggi alternativi, di un diverso contatto affettivo e di legami sociali.3. Il consumatore post-moderno
“Post-moderno” è un termine inizialmente adottato dall’architettura per designare una visione antitetica al funzionalismo; oggi indica il nome di un movimento “globale”, esteso ad ogni settore, in cui si esalta la pluralità e la contaminazione tra diversi generi.
Il successo del termine in sè è stato superiore alle numerose critiche, assumendo una valenza generale: il prefisso “post” è diventato, infatti, sinonimo di superamento della fase precedente, ma
non nel senso di modernità quanto di discontinuità con quanto c’era prima, di una nuova concezione della modernità stessa.
Il postmoderno, applicato alla dimensione sociale, viene descritto con riferimento a due dimensioni di fondo: la complessità e la turbolenza.
La complessità è una delle caratteristiche intrinseche del nostro mondo a tutti i livelli, laddove si muovono innumerevoli insiemi e sottoinsiemi che interagiscono tra loro, creando ulteriori ripartizioni ed interpretazioni della realtà.
La turbolenza è, invece, la caratterizzazione del modello di evoluzione che non si presenta più come una successione lineare di eventi, quanto di continui cambiamenti di prospettiva, in cui i nuovi punti di riferimento non vengono inglobati nei precedenti, ma costituiscono nuovi punti di avvio. Un esempio di questa situazione è la differenza che passa tra lo sfogliare e leggere un libro e la navigazione ipertestuale di Internet.
L’instabilità, la polidimensionalità e la mutevolezza sono i connotati sia della società che del singolo individuo.
Nel panorama appena abbozzato anche le vicende del consumo sono profondamente diverse da quelle dei periodi precedenti; cambia, secondo diversi osservatori, il modo in cui vengono prese le decisioni: non più la scelta di una soluzione efficiente ad un problema, quanto una logica, apparentemente contraddittoria, in
cui a farne le spese è, innanzitutto, il mito della razionalità delle scelte, sostituita da una forma di post-razionalità.
Nel modello decisionale non standardizzato e mutevole, proprio come l’ambiente sociale, trovano spazio anche tutti quegli aspetti irrazionali e antitetici come l’apparenza, il piacere dei sensi, il frivolo, l’emozionalità.
Il consumatore postmoderno non si caratterizza, però, solo per il maggiore spazio riservato alla parte irrazionale del consumo, ma anche per il significato dell’acquisto rispetto alla sensazione che questo atto suscita e all’affermazione della propria identità.
Il modello di questo nuovo “attore” è, al contempo, esigente, selettivo, mutevole e poco incline alla fedeltà alla marca; pertanto, a prima vista, egli pare un soggetto “inaffidabile”, troppo legato alla soddisfazione del momento.
In realtà si tratta di una lettura errata: la ricerca di emozioni attraverso l’acquisto non va confusa con la superficialità; su questo versante, anzi, il consumatore è più informato e consapevole degli effetti delle sue scelte. Non a caso emergono quelle tipologie di commercio, come quello “equo e solidale”, il cui valore sociale è maggiore dell’attenzione ai prezzi.
Qualche anno fa non era concepibile per i consumatori di reddito elevato non acquistare un prodotto di marca nel negozio del noto stilista o nella via alla moda. Oggi, al contrario, gli stessi individui possono essere affezionati ad una marca per quanto riguarda una determinata tipologia di prodotto, per poi acquistare nel periodo dei saldi e delle vendite promozionali le altre merci. Un mix di decisioni razionali ed irrazionali coniugate da una tendenza di fondo: il fattore emozionale.Capitolo II: IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO E LA TUTELA DEL CONSUMATORE
1. Il “riconoscimento” giuridico del consumatore
Il percorso del consumo ha contribuito all’emersione di un “soggetto” le cui vicende interessano anche il diritto.
E’ cosa nota che dei consumatori non vi è parola nella nostra Carta Costituzionale, così come il mercato, nel Codice Civile, non era autonomo oggetto di tutela fino all’emanazione della legge italiana antitrust (legge n. 287/1990); l’angolo visuale era costituito dagli imprenditori nel rapporto con altri imprenditori.
In effetti anche l’intera disciplina dei contratti è organizzata sulla base di una nozione unitaria del soggetto di diritto, salvo i meccanismi per garantire, almeno a livello formale, un principio di “parità” (art. 1341, 1342 e 2597 del Codice Civile).
I consumatori, così come gli utenti nei confronti della pubblica amministrazione, erano soggetti ad una tutela “di secondo livello” quale conseguenza della soluzione delle frizioni nelle relazioni tra le imprese. Il fenomeno del “consumerism”, di evidente derivazione d’oltreoceano, diffusosi per la più veloce individuazione dei problemi dell’assetto economico di un mercato maturo, comincia a diventare un problema particolarmente avvertito sul finire degli anni ’60 anche in alcuni paesi europei, come Francia, Olanda e Belgio, con l’emanazione delle prime discipline normative rivolte all’informazione del consumatore.
Ma la vera svolta, al di là della sensibilità dei singoli Stati (si pensi alla tradizionale politica di tutela dei paesi dell’area nord europea), può ravvisarsi nel progressivo cammino in direzione
dell’integrazione europea.
Nei primi anni ’70, infatti, il Parlamento Europeo apre un dibattito sull’esigenza di una politica di efficace protezione dei consumatori, anche se il “riconoscimento” da parte degli organi comunitari della necessità di “una politica integrale nei confronti dei consumatori” (Doc. CES 93/79, 4) è stato segnato dal passaggio attraverso varie fasi.
Originariamente era controverso se il Trattato di Roma comprendesse tra le sue finalità principali anche quella della protezione e dell'elevazione del consumatore, oppure se tale interesse fosse considerato solo in via indiretta.
Avendo il Trattato di Roma uno scopo prevalentemente economico, almeno inizialmente, si è ritenuto che il “motore principale” fosse costituito dal mantenimento e dalla protezione di un sistema efficiente di concorrenza dal quale dovessero naturalmente discendere benefici anche per il pubblico dei consumatori e, più in generale, per i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza a categorie economiche o sociali.
Menzione espressa della categoria dei consumatori, infatti, è contenuta nell'art. 39; tuttavia l'affermazione della necessità di “assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola”, che deve accompagnarsi con “l'assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori”, si inquadra nella più ampia questione dell'abolizione delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri, specialmente nel settore agricolo, con evidente posposizione degli
interessi dei consumatori alla libertà degli scambi commerciali.
Importanti indicazioni sono poi contenute negli art. 85 e 86, dedicati alla concorrenza, la quale non può svolgersi limitando “la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori” (art. 86, par. 2, lett. b) e le cui uniche deroghe possono essere concesse solamente a condizione che si riservi “agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne derivi” (art. 85, par. 3 ora art. 81 e 82).
È nell'interpretazione di queste due disposizioni che si è innestata la questione riguardante il regime di protezione del Trattato riservata ai consumatori: da una parte si è collocata l'opinione di chi ritiene scopo essenziale della struttura concorrenziale, cui mirerebbe il Trattato, la funzione di preservare il mercato e cioè principalmente le imprese; altri, al contrario, hanno ritenuto che la tutela della concorrenza fosse, in ultima analisi, finalizzata alla protezione dei consumatori e non solo
delle imprese operanti sul mercato.
Non mancano poi opinioni che hanno ricercato un concetto più complesso di concorrenza fondata su una “certa dimensione” delle energie imprenditoriali, capaci non solo di una migliore e più razionale allocazione delle risorse, ma anche di una migliore partecipazione della collettività ai risultati del processo produttivo.
Al di là delle finalità economiche, espresse dalla dottrina, che si vogliono ricavare da queste disposizioni e dall'orientamento, il quale, assunto dalle istituzioni comunitarie, non è sempre cristallino ed esente da incertezze, non vi è dubbio che l'obiettivo complessivo del Trattato è chiaramente orientato verso un'integrazione non soltanto economica (cui la concorrenza deve ritenersi soltanto un mezzo), ma anche politica e sociale, al fine di conseguire, secondo quanto indica l'art. 2, “uno sviluppo armonioso delle attività economiche (...), un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita”.
Ed è in tale ampia prospettiva che debbono intendersi le recenti istanze tese all'armonizzazione delle legislazioni nazionali, nonché le modifiche istituzionali apportate dall'Atto Unico.
A partire dagli anni '70 la politica di protezione dei consumatori ad opera delle istituzioni comunitarie ha conosciuto un notevole
sviluppo fino a diventare un costante punto di riferimento per l'azione comunitaria.
A tale scopo si assiste con una certa frequenza alla previsione di regole che contemperano sia le esigenze della costante crescita del benessere economico sia, correlativamente, quelle destinate a migliorare le condizioni di vita e la sicurezza della collettività.
Il primo passo in questa direzione, oltre alla costituzione nel 1973 del Comitato Consultivo dei Consumatori, è stata, due anni più tardi, l'iniziativa del Consiglio CEE di indicare un “Programma preliminare della CEE per una politica di protezione e di informazione del consumatore”: qui il consumatore viene considerato, a prescindere dall'essere “controparte (anche indiretta) dell'impresa”, come fruitore dei benefici derivanti dalla concorrenza e dal mercato, in un'ottica più ampia che non lo vede più solo nella sua veste usuale di “compratore e utilizzatore di beni e di servizi per il proprio uso personale, familiare o collettivo”, ma anche “come individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possono direttamente o indirettamente danneggiarlo come consumatore”.
In tale sede sono state poi individuate cinque categorie di diritti fondamentali del consumatore in quanto tale:
- il diritto alla protezione della salute e della sicurezza;
- alla tutela degli interessi economici;
- al risarcimento dei danni;
- all'informazione e all'educazione;
- alla rappresentanza.
Tali indicazioni, ribadite nel 1979 da uno studio del Comitato Economico e Sociale, concernente, in particolare, “l'uso e l'armonizzazione dei mezzi giudiziari e paragiudiziari per la protezione dei consumatori nella CEE”, hanno trovato concreta attuazione in una serie di atti normativi in cui l'interesse del consumatore è considerato in posizione addirittura preminente
rispetto agli interessi imprenditoriali nei confronti dei quali costituisce un vincolo.
Questo interesse indirizzato ad un regime di maggior protezione dei consumatori ha trovato il più ampio riconoscimento nel riferimento normativo esplicito contenuto nell'Atto Unico del 1986: oltre ad innovazioni di ordine strutturale e procedurale, l'art. 18 ha inserito tra le previsioni del Trattato una disposizione specificatamente indirizzata alla tutela dei consumatori. L'art. 100 A, infatti, dispone che le proposte della Commissione in materia di protezione dei consumatori devono basarsi su “un livello di protezione elevato”; istanza protezionistica che, secondo alcuni, deve sempre essere commisurata al “criterio della ragionevolezza” per evitare che si trasformi in un mezzo di ricatto da parte di
quello Stato membro che, avendo adottato una regolamentazione particolarmente restrittiva, pretenda di imporre che tutta la Comunità si adegui al proprio standard opponendo, altrimenti, un veto alle proposte di armonizzazione della Commissione.
Seppur tenendo conto dei rilievi sopra esposti, la politica di protezione del consumatore è comunque considerata fra i punti basilari per conseguire l'obiettivo della totale integrazione comunitaria, tanto da avere la sua “consacrazione” con il Trattato di Maastricht sull’Unione europea del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore l’1 novembre 1993) e l’introduzione di un apposito Titolo dedicato alla protezione dei consumatori (art. 129 A).
Questa disposizione prevede che la Comunità realizzi :
a) misure di protezione nell’ambito della realizzazione del mercato interno;
b) azioni specifiche di sostegno e di integrazione della politica dei vari Stati membri rivolte alla tutela della salute, della sicurezza e degli interessi economici dei consumatori, garantendo loro un’adeguata informazione.
In questo senso la politica dei consumatori è stata “costituzionalizzata” a livello europeo, divenendo uno degli obiettivi generali della Comunità, come risulta dalla modifica dell’art. 3 del Trattato.
Infine, il Trattato di Amsterdam del 1997, non fa che generalizzare una situazione di attenzione verso i diritti dell’uomo, verso le posizioni di debolezza e la qualità della vita; connotati che si riflettono necessariamente sul consumatore quale alter ego dell’uomo in un momento – l’acquisto – connaturato alla sua normale vita di relazione.
In quest’ordine di idee, il consumatore entra nel nostro Codice Civile con la legge n. 52/1996 grazie alla quale, nel dare attuazione alla direttiva sulle clausole vessatorie nei contratti (n. 93/13/CEE), è stato inserito, dopo l’art. 1469, un capo XIV bis, recante una disciplina dei “contratti del consumatore”. Due anni
dopo la legge n. 281/1998 ha definitivamente consacrato questa cittadinanza, estesa anche alle loro associazioni.
Parallelamente al riconoscimento cresce l’interesse nell’individuare gli strumenti di tutela: innanzitutto la sicurezza e la responsabilità del produttore affinché i prodotti immessi sul mercato non siano difettosi, “pericolosi” o non sicuri. In questo
contesto il consumatore, considerando anche le altre “persone” che vengono in contatto con i prodotti, viene tutelato rispetto ai possibili rischi del ciclo di produzione di massa che tende a “scaricare a valle”, mediante distributori che acquistano per rivendere, il rischio sul prodotto ed a “distanziarsi” dalle vicende legate al consumo. Questa distanza viene invece oltremodo ridotta grazie all’obbligo di garantire la conformità del bene di consumo nel contratto di cui è oggetto.
In seguito ci si è occupati dell’esigenza di attribuire un adeguato livello informativo all’operazione economica da compiere; si tratta delle note implicazioni della fisiologica asimmetria informativa che separa il produttore e/o venditore dal consumatore.
In quest’ottica si collocano la disciplina sulla pubblicità ingannevole e comparativa e tutti gli obblighi di “disclosure” previsti nella vendita al di fuori dei locali commerciali e a distanza.
Il consumatore si “disarticola” in “acquirente”, “utente” e “risparmiatore” a seconda dell’evento; si pensi ai viaggi tutto compreso, alle mutiproprietà, ai contratti assicurativi, ai servizi
di investimento, ecc.
Ristabilire una posizione di parità sostanziale e formale tra le controparti del rapporto in cui vi sia un consumatore contrapposto ad un “professionista” è un altro degli importanti passaggi tutelari.
La trasparenza e l’equilibrio giuridico del contratto, o, meglio, delle controprestazioni, sono i capisaldi di tale tutela dalla natura vessatoria, la quale viene poi resa effettiva attraverso meccanismi “di ripensamento” sottoforma di diritto di recesso, quando si presume che il consumatore non abbia potuto maturare una decisione di acquisto consapevole, ovvero qualora, come nella vendita a distanza, non possa, a cagione del mezzo, materialmente “toccare” il bene.
Sempre in riferimento alla tutela, un significativo spostamento della sua effettività passa attraverso la possibilità di azioni collettive da parte delle associazioni dei consumatori o, comunque, dell’estensione a queste associazioni di poteri di “denuncia” e di
attivazione di procedure di soluzione delle controversie, a latere degli ordinari strumenti giurisdizionali, troppo farraginosi e costosi rispetto all’entità del contendere (ovviamente intesa con riferimento al singolo consumatore).
L’interrogativo se sia possibile individuare un nucleo unitario di diritti (ex legge n. 281/1998) e di tutele ascritti alla definizione di “consumatore”, donde il consumatore è uno ed uno soltanto, invece di considerarlo come “qualificazione” soggettiva di una delle parti espressamente circoscritta dal legislatore in occasione della disciplina concernente l’ambito in cui questi si trova incluso, non è purtroppo una questione, come si vedrà più avanti, risolta dal Codice del consumo.2. La politica e la tutela del consumatore
Le tematiche inerenti i consumatori trovano la loro naturale collocazione presso la Camera di Commercio, in virtù di quell’attenzione che il legislatore ha voluto attribuire in materia di consumo attraverso il dettato della legge di riforma delle Camere.
Come è noto, infatti, l’art. 10 c. 6) della legge n. 580/93 prevede che all’interno del Consiglio Camerale siano rappresentate anche le associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti. Con l’entrata in vigore della legge, dunque, i consumatori vengono riconosciuti come soggetti autonomi del mercato, aventi pari dignità rispetto alle imprese, e ottengono una legittimazione anche formale, acquisendo per la prima volta una rappresentanza all’interno degli organi di governo degli enti camerali.
Divenuto centrale il problema della diffusione di una rinnovata cultura consumeristica, è necessario riflettere su alcuni problemi di fondo in relazione alla differenza tra i sistemi di Common Law da una parte, in cui il cittadino/consumatore/utente viene considerato come soggetto attivo, critico, adulto e consapevole in grado di esercitare forme di controllo e di partecipazione, ed i sistemi di Civil Law dall’altra, in cui il cittadino/consumatore/utente viene invece percepito come soggetto da tutelare.
È interessante a questo proposito osservare che è in atto una vera e propria rivoluzione culturale. Vi è la consapevolezza che il “fruitore” del servizio/prodotto è anche contribuente, cittadino, portatore di aspettative e centro di diritti. Non si pone più in posizione subordinata e di “sudditanza”, ma è soggetto che costantemente interagisce con il sistema.
In particolar modo con l’introduzione del mercato unico e la conseguente libera circolazione delle merci, si è resa sempre più necessaria, da parte della Comunità Europea, una costante difesa del consumatore considerato non più come soggetto passivo, ma attivo e consapevole delle proprie scelte, nonchè sempre più attento alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti presenti sul mercato.
Per soddisfare il bisogno di crescita del ruolo del consumatore, correlata alla necessità di informazioni trasparenti e chiare sull’identificazione dei prodotti e sulle loro caratteristiche, ha assunto un significato sempre più rilevante il sistema variegato di etichettature, di marcature obbligatorie o facoltative e di certificazione di conformità. In particolare, l’etichettatura dei prodotti è divenuto uno strumento indispensabile per conferire trasparenza alle politiche produttive dell’azienda e per favorire gli scambi commerciali a seguito dell’applicazione uniforme delle regole di etichettatura da parte degli Stati Membri.
Un’informazione completa ed efficace è l’elemento fondamentale per facilitare il commercio intra-comunitario ed eliminare i possibili ostacoli per una compiuta integrazione europea di tutti i cittadini-consumatori.
Ed in materia di tutela ed informazione dei consumatori l'Unione
europea svolge un ruolo chiave, volto ad armonizzare e rendere più
efficaci le misure previste dai singoli Stati membri.
L'Atto unico stesso, precedentemente citato, dava mandato alla
Commissione d'improntare le proprie proposte di legislazione per la
realizzazione del mercato unico attraverso rigorosi criteri di tutela nei settori della salute, della sicurezza, dell'ambiente e della
protezione dei consumatori.
Il titolo XI del Trattato del 1992 sull'Unione Europea stabilisce che le iniziative dell'Unione Europea a protezione dei consumatori devono tendere ad integrare, non a sostituire, le attività delle autorità nazionali, regionali e locali, limitandosi, in pratica, a definire un livello comune di tutela dei consumatori valevole per l'intero mercato unico, con facoltà degli Stati membri di adottare normative piú severe di quelle indicate dall'Unione europea a condizione che esse non costituiscano una barriera agli scambi commerciali.
Manifestazione concreta dell'importanza attribuita alla politica dei consumatori è stata la decisione della Commissione Europea
nel 1989 di creare al proprio interno un servizio autonomo di
politica dei consumatori a cui è stato assegnato il ruolo di
vegliare con giusto rispetto gli interessi dei consumatori
nell'impostazione delle politiche comunitarie, di rafforzare la
trasparenza del mercato e di migliorare la sicurezza dei prodotti e
dei servizi di consumo in circolazione nel mercato unico.
Un ruolo importante è svolto anche dalle organizzazioni dei
consumatori capaci di esercitare sui produttori la necessaria
pressione affinchè migliorino la qualità e la sicurezza dei prodotti
destinati al consumo, praticando nel contempo prezzi competitivi e
rispettando le esigenze della tutela ambientale.
Per permettere a queste organizzazioni di svolgere appieno la
propria funzione di rappresentanza dei consumatori nei confronti sia
del legislatore, sia degli altri soggetti di mercato (commercio,
industria, ecc.), esse necessitano di un programma sistematico di sostegno che le aiuti a creare le strutture operative, atte a tutelare ed informare i consumatori sul mercato, ed a farsene portavoce a livello di scelte politiche.
Ultimamente la Commissione ha aggiornato le procedure seguite per la consultazione di queste organizzazioni costituendo un nuovo
“Comitato dei Consumatori” col compito di prestarle consulenza
sulle iniziative a tutela del consumatore e di comunicarle il
parere dei propri rappresentanti nella fase di formulazione delle
politiche comunitarie.3. Il Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005)
Nell’ambito di un generale disegno di semplificazione e di riassetto normativo, con l’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, il Governo è stato demandato all’emanazione di un decreto legislativo contenente una “sistemazione” delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori che, in virtù di numerosi interventi del legislatore comunitario, hanno finito per determinare un coacervo di norme, per lo più contenute nella legislazione speciale con la quale si è recepita la disciplina sopranazionale, che appaiono contraddire l’esigenza tutelare, rendendo di difficile conoscenza non tanto la
disciplina, quanto la loro coordinazione.
Era conscio di questa esigenza il nostro legislatore, allorquando, con l’art. 15, comma 2, del D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 185 sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, ricordava l’esigenza di un testo unico di coordinamento con il D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 (vendita fuori dei locali commerciali) e con gli art. 18 e 19 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (rispettivamente dedicati alla vendita per corrispondenza, alla televisione, ad altri
sistemi di comunicazione ed alle vendite effettuate presso il domicilio dei consumatori).
La delega contenuta nell’art. 7 della legge n. 229/2003 dettava quattro principi per il suo esercizio:
- adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie ed agli accordi internazionali e articolazione della stessa allo scopo di armonizzarla e coordinarla, nonché di renderla strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di tutela del consumatore previsti in sede internazionale;
- omogeneizzazione delle procedure relative al diritto di recesso del consumatore nelle diverse tipologie di contratto;
- conclusione, in materia di contratti a distanza, del regime di vigenza transitoria delle disposizioni più favorevoli per i consumatori, previste dall’art. 15 del D.Lgs. n. 185/1999, e rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite;
- coordinamento delle procedure di composizione extragiudiziale delle controversie e dell’intervento delle associazioni per i consumatori nel rispetto delle raccomandazioni della Commissione delle Comunità europee.
Sulla base del primo criterio il Governo ha ritenuto di poter operare non solo ad una mera compilazione di testi previgenti con le opportune coordinazioni, ma anche con maggiore libertà innovativa.
Il secondo criterio ha inteso fare in modo che venga eliminata la differenza in termini di diritto di recesso tra il D.Lgs. n. 50/1992 (sette giorni) e il D.Lgs. n. 185/1999 (dieci giorni), soprattutto perché nella coordinazione tra i due decreti ha finito per prevalere, per esempio nella contrattazione su Internet, l’indicazione di maggior favore del consumatore contenuta nel secondo decreto menzionato.
Il terzo criterio, più che determinare il termine delle disposizioni transitorie di cui al citato art. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 185/1999, ha avuto l’effetto di indicare la tutela rispetto al fenomeno delle televendite.
Infine il quarto criterio opera nella direzione di rendere uniforme l’impiego di soluzioni extragiudiziali delle controversie, come già precedentemente sviluppate dalle associazioni di consumatori. Al riguardo, vale la pena di ricordare il ruolo che da tempo svolgono le Camere di Commercio, sulla conciliazione e l’arbitrato, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 580/1993.
Il Ministero delle attività produttive, nel novembre 2003, ha predisposto una bozza del decreto, più volte rimaneggiata, che è stata approvata in via preliminare dal Consiglio dei ministri nel mese di ottobre 2004.
La bozza di detto decreto ha ricevuto il parere sostanzialmente favorevole della Conferenza unificata, di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 281/1997, nella riunione del 16 dicembre 2004. Pareri in parte piuttosto critici sono stati invece espressi dal Consiglio di Stato e dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato.
In particolare il Consiglio di Stato, nel segnalare ben settantatré correzioni di carattere formale, ha puntato l’attenzione sull’assenza nel Codice delle disposizioni in materia di clausole
abusive e di quelle in tema di garanzie nella vendita di beni mobili.
Tale assenza è stata considerata incongrua con la motivazione a suo tempo addotta dal Governo per l’inserimento di dette disposizioni frutto del recepimento, rispettivamente, delle direttive 93/13/CEE e 99/44/CE nel tessuto del Codice Civile; allora, infatti, si sostenne che la scelta di operare sul Codice Civile era necessaria data l’assenza di una appropriata sedes materiae. L’omissione è parsa, dunque, immotivata soprattutto perché “ad avviso della sezione si priva il codice in esame di alcune disposizioni fondamentali in tema di tutela del consumatore, incidendo sull’organicità della disciplina e impedendo un’accurata opera di raccordo tra dette norme e quelle collocate al di fuori del Codice Civile”. Si pensi all’indispensabile coordinamento tra le norme in materia di azioni delle associazioni dei consumatori, che permangono nell’art. 1469 sexies
C.C., e quelle trasferite nel Codice del consumatore.
A seguito di queste osservazioni, la bozza è stata corretta e modificata in modo da inserirvi la disciplina delle clausole abusive e le garanzie nella vendita dei beni di consumo. Ne è seguita l’approvazione definitiva nella riunione del Consiglio dei Ministri del 14 luglio 2005 e la pubblicazione come D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, recante “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia
di tutela dei consumatori - Codice del consumo, a norma dell’art. 7, 29 luglio 2003, n. 229”.
Tale Codice, dopo una parte I dedicata alle “Disposizione generali” nelle quali sono presentate le nozioni base della legge n. 281/1998, si dipana in ulteriori cinque parti a loro volta suddivise per comprendere 146 articoli.
La parte II, dedicata alla “Educazione, informazione e pubblicità”, contiene i seguenti previgenti testi normativi:
- la legge n. 126/91 sull’informazione del consumatore ed il regolamento attuativo di cui al D.M. n. 101/97;
- il D.Lgs. n. 84/2000 sull’indicazione del prezzo dei prodotti;
- il D.Lgs. n. 74/1992 sulla pubblicità ingannevole e comparativa;
- la L. 39/2002 sulle televendite.
La Parte III, titolata “Il rapporto di consumo”, comprende, anzitutto, la disciplina “Dei contratti del consumatore in generale”, ossia gli ex art. da 1469-bis a 1469-sexies Cod. Civ., sulle clausole abusive. A seguire, dopo una disposizione “di principio” sulle regole di svolgimento delle attività commerciali, sono riunite la disciplina del credito al consumo (D.Lgs. 63/2000), dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali (D.Lgs. n. 50/1992) e dei contratti a distanza (D.Lgs. n. 185/1999). Le indicazioni sul diritto di recesso, le sanzioni ed il foro competente sono state uniformate.
Sulla composizione stragiudiziale delle controversie, il Codice, all’art. 141, prevede che il consumatore ed il professionista possano
La Parte III comprende, inoltre, dopo un rinvio al D.Lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico, un Titolo (IV) contenente “Disposizioni relative ai singoli contratti”: la multiproprietà (D.Lgs. 427/1998) ed i “pacchetti turistici” (D.Lgs. 111/1995).
Infine la Parte III si chiude con un articolo di rinvio alla
tutela dei consumatori nell’erogazione di servizi pubblici.
La Parte IV riguarda la materia “Sicurezza e qualità” e contiene le regole sulla sicurezza dei prodotti (D.Lgs. n. 172/2004 che ha sostituito il D.Lgs. n. 115/1995), sulla responsabilità del produttore (D.P.R. n. 224/1988). In detta Parte è stato inserito un Titolo (III) sulla “Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo” (ex art. 1519 bis ss. Cod. Civ.).
La Parte V concerne le associazioni dei consumatori e l’accesso alla giustizia. In riferimento alle prime viene ribadito il meccanismo dell’elenco nazionale delle associazioni e della loro rappresentatività in seno al CNCU (Consiglio Nazionale Consumatori ed Utenti presso il Ministero delle Attività produttive). In riferimento all’accesso alla giustizia, le associazioni dei consumatori presenti nell’elenco nazionale possono agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, non solo nelle discipline di cui al Codice del consumo, ma anche con riferimento alle disposizioni legislative in materia:
a) di esercizio di attività televisive (legge n. 223/1990 e legge n. 122/1998);
b) di pubblicità di medicinali per uso umano (D.Lgs. n. 541/1992 e legge n. 362/1999).avviare “procedure di composizione extragiudiziale per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, anche in via telematica”.
Fermo restando che il consumatore non può essere privato del diritto di adire il giudice, anche dopo aver svolto una procedura extragiudiziale, l’inserimento nei contratti di clausole che rinviano
ad organi di composizione stragiudiziale non sono considerate vessatorie. Tali organi, ad esclusione di quelli attivati dalle Camere di Commercio che si considerano “per definizione” idonei, sono contenuti in un elenco tenuto dal Ministero delle attività produttive.
Il Codice si chiude con le “Disposizioni finali” (Parte VI) in cui, oltre all’irrinunciabilità dei diritti ed alle competenze delle Regioni e delle Province autonome, sono indicate le disposizioni abrogate.
L’art. 144 generalizza le previsioni in precedenza contenute nell’art. 11 del D.Lgs. n. 185/1999 stabilendo che i diritti garantiti al consumatore sono irrinunciabili ed è nulla ogni pattuizione in contrasto con quanto previsto dal Codice del consumo.
Ribadire la previsione è opportuno per evitare che, mediante negoziazione tra le parti, per esempio facendo leva sul prezzo o su altre condizioni contrattuali, la tutela possa essere compromessa.
L’articolo 144 al comma 2 stabilisce che, qualora le parti abbiano convenuto di regolamentare il contratto sulla base di una legge diversa da quella italiana, “al consumatore devono comunque essere riconosciute le condizioni minime di tutela previste dal presente Codice”.
Su questa seconda previsione è necessario precisare che la frase dell’art. 11, comma 2, del citato D.Lgs. n. 185/1999 recitava: “al consumatore devono comunque essere riconosciute le condizioni di tutela previste dal presente Decreto Legislativo”; pertanto si può
constatare non si fa riferimento ad alcuna “condizione minima di tutela”. Tale differenza pone qualche legittimo interrogativo su quali siano le condizioni “minime” che devono essere garantite al consumatore in caso di rinvio ad una disciplina legislativa di un altro Stato (in specie extracomunitari).4. La politica del consumatore e le novità introdotte dal Codice del consumo
In materia di tutela ed informazione dei consumatori l'Unione
Europea svolge un ruolo chiave, volto ad armonizzare e rendere più
efficaci le misure previste dai singoli Stati membri.
Il 23 ottobre 2005 è entrato in vigore l’atteso Codice del consumo, Decreto Legislativo 6 settembre 2005 n. 206.
Si tratta di un provvedimento di grande importanza: esso, infatti, pone fine all’ipertrofia e frammentazione legislativa che aveva sinora caratterizzato il Diritto dei Consumatori, riunisce e sostituisce ben 4 Leggi, 2 Decreti del Presidente della Repubblica, 14 Decreti Legislativi ed un Regolamento di Attuazione.
Dopo tanto tempo di legislazione speciale, sull’onda di un’evidente esigenza di semplificazione della normativa, stanno tornando in auge le operazioni di codifica attraverso cui “risistemare” la materia oggetto del Codice con uno sforzo che va riconosciuto.
Inutile aggiungere il valore anche simbolico (e politico) per i consociati di una siffatta operazione: essi possono trovare in un unico corpus tutta, o quasi, la disciplina che riguarda un certo ambito, contribuendo a quella conoscibilità della legislazione in grado, secondo i precetti costituzionali, di rimuovere gli ostacoli all’uguaglianza sostanziale tra i consociati.
In tale occasione con il Codice del consumo sono state eliminate alcune evidenti discrasie derivanti dalla successione delle diverse discipline, per lo più conseguenza di adempimenti agli obblighi di derivazione comunitaria: esse hanno intrecciato definizioni e regole, precedute dalla frase standard “ai fini del presente decreto (...)” che complica la vita degli interpreti e dei destinatari del dettato normativo, soprattutto quando si susseguono, sullo stesso oggetto, indicazioni non perfettamente compatibili. Si pensi, per esempio, al
rapporto tra il D.Lgs. n. 50/1992 sulla vendita fuori dei locali commerciali, il D.Lgs. n. 185/1999 sulla vendita a distanza e
il D.Lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico.
Infine è stata rivolta la giusta attenzione alle istanze tutelari dei consumatori e delle loro associazioni, con particolare riferimento alle azioni inibitorie ed all’accesso alla giustizia, ovvero alla composizione delle controversie tramite meccanismi di conciliazione extragiudiziale.
Il Codice del consumo, però, è costituito in gran parte dalla semplice trasposizione delle norme previgenti ed è stato adottato al fine di apportare alcuni cambiamenti ed aggiunte, nonché per confermare alcune disposizioni di cui si era ipotizzata la modifica.
Il Codice si fonda su di una struttura sistematica in
cui le varie sezioni si compongono di parti di leggi e decreti.
Un esempio ne è l’art. 2, il quale non fornisce ancora una definizione “generale” di consumatore. Ciò significa che in qualsiasi successiva disciplina che riguardi il consumatore si eviterà di ridefinirlo, rinviando al Codice.
Così come “produttore” e “prodotto” non vengono identificati in senso esaustivo, ma “fatto salvo quanto stabilito nell’art. 103, comma 1, lett. d) e nell’art. 115, comma 1 (…)”. Inoltre al produttore manca l’estensione dell’agricoltore, dell’allevatore, del pescatore, del cacciatore, in aperto contrasto con quanto richiesto dalla direttiva comunitaria 99/34/CEE.
La stessa osservazione va riferita al prodotto, laddove non risultano espressamente indicati, ai fini della responsabilità, i prodotti agricoli, di allevamento, della caccia e della pesca.
L’esclusione costituisce una lacuna considerando i danni che, oggigiorno, anche i prodotti agricoli, per esempio quelli OGM, e dell’allevamento (si pensi alla febbre aviaria) sono fonti di rilevanti rischi per i consumatori.
In un ulteriore esempio si può analizzare il Titolo “Sicurezza e qualità” in cui si è optato nella divisione in Titoli determinando una “separazione” nella materia che, al contrario, dovrebbe essere intesa in senso unitario, facendo parte del medesimo “microsistema” disciplinare.
Nella Parte Seconda del Codice, la quale disciplina l’educazione, l’informazione e la pubblicità ed accoglie norme tratte dalla Legge 281/98, dalla Legge 126/91 e dal Decreto Ministeriale 101/97, rispetto alla disciplina previdente, è stata aggiunta una norma (art.4) relativa all’educazione del consumatore di cui vengono
individuate le finalità nel favorire la consapevolezza dei diritti, lo sviluppo dell’associazionismo, la partecipazione ai procedimenti amministrativi e la rappresentanza.
Il Titolo II, dedicato all’informazione ai consumatori, già D.Lgs. 84/2000, contiene poche aggiunte rispetto alla normativa precedente: viene specificato che ai fini delle norme sull’informazione deve intendersi per consumatore “la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali” (art.5) senza riferimento alcuno, come precedentemente accennato, alla natura professionale o meno del destinatario.
Si stabilisce che deve essere indicato il Paese di origine dei prodotti, se situato fuori dall’UE (art. 6), e viene introdotto l’obbligo per i distributori di carburanti di esporre in modo visibile dalla strada i prezzi praticati al consumo (art. 15).
Il Titolo III, relativo alla pubblicità, ex D.Lgs. 74/1992 e D.Lgs 67/2000, contiene una ulteriore, diversa, nozione di consumatore: ai fini delle norme sulla pubblicità e sulle altre comunicazioni commerciali, infatti, “si intende per consumatore o utente anche la persona fisica o giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze” (art.18).
Come si vede, nonostante l’adozione del Codice avesse la finalità dichiarata di rendere unitaria la normativa, la nozione di consumatore continua ad essere poliedrica e, se in linea generale il consumatore è solo la persona fisica che agisce per finalità estranee alla propria attività economica (art.3), limitatamente ai fini della normativa sulla pubblicità ingannevole, anche una società per azioni può rientrare nella categoria “consumatore”.
Nell’ambito del titolo III troviamo la rinnovata disciplina (articoli 28 – 32) a tutela del consumatore in materia di televendite, già Legge 120/1998 e Legge 39/2002, in cui viene stabilito, tra l’altro, che tali norme si applicano alle televendite “comprese quelle di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili”. Tale norma indica inoltre che “le televendite devono evitare ogni forma di
sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura”: si tratta di precetti che appaiono destinati ad originare non pochi problemi interpretativi dal momento che astrologia, cartomanzia ed attività assimilabili appaiono strettamente connesse alla superstizione ed alla credulità.
Nella Parte terza il legislatore ha modificato la sanzione a carico delle clausole di cui sia accertata la vessatorietà, che nella precedente formulazione venivano dichiarate inefficaci e che nel nuovo Codice sono invece dichiarate nulle: viene quindi introdotta una sanzione più incisiva rafforzando la tutela del consumatore.
Il Titolo II comprende una novità, la norma generale contenuta nell’art. 39 sull’obbligo di valutare i principi di buona fede, correttezza e lealtà nelle attività commerciali “anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori”, seguita dalla disciplina del Credito al Consumo, art. 40 – 43, già D. Lgs. 63/2000 ed art. 125, commi 4 e 5, D.Lgs 385/1993.
E’ stata unificata la disciplina del diritto di recesso, ora collocata nell’autonoma sezione IV (art. 64-68), adottandone un unico termine per l’esercizio che è ora, in ogni caso, di 10 giorni lavorativi generalizzando così la previsione più vantaggiosa per il consumatore, precedentemente limitata ai contratti a distanza.
Una seconda importante modifica concerne la disciplina delle spese accessorie che il consumatore, che eserciti il diritto di recesso, è tenuto a risarcire al professionista: mentre nella precedente disciplina era stabilito che il consumatore dovesse risarcire le spese accessorie indicate preventivamente nel contratto, l’art. 67 comma 3 del Codice stabilisce che “le sole spese dovute dal consumatore per l’esercizio del diritto di recesso sono le spese dirette di restituzione del bene al mittente, ove espressamente previsto dal contratto”. La nuova formulazione della norma è volta a contrastare la prassi di quei soggetti che inserivano nei contratti clausole sulle spese accessorie assolutamente esorbitanti, costringendo, quindi, il consumatore che avesse esercitato il diritto
di recesso a pagare, sotto forma di rimborso spese accessorie, delle vere e proprie penali.
La terza novità rilevante concerne, come sopra anticipato, la materia del credito al consumo: l’art. 67 comma 6, infatti, generalizza la regola, precedentemente limitata ai soli contratti a distanza, secondo cui l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore determina la risoluzione di diritto dell’eventuale contratto di finanziamento collegato al contratto di fornitura.
A tal proposito deve rilevarsi che in precedenza la disciplina dei contratti conclusi fuori dei locali commerciali non conteneva alcuna previsione al riguardo, cosicché la novità introdotta con il Codice non consiste nell’uniformare regole già presenti in entrambe le normative previgenti ma parzialmente diverse, ma consiste nell’estendere ad ogni ipotesi di esercizio del diritto di recesso una norma precedentemente limitata ad una sola specifica fattispecie.
La novità ha quindi l’effetto di rafforzare, anche sul piano sistematico, la figura ed il rilievo del collegamento negoziale.
Nel Codice sono state inserite anche le norme concernenti i contratti aventi ad oggetto l’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, (art. 69-81, già D.Lgs. 427/1998), e quelle sui servizi turistici (art. 82-100 già D.Lgs. 111/1995), per le quali viene ora richiamata la nuova ed unificata disciplina del diritto di recesso, di cui si è detto sopra.
Nella Parte quarta, relativa alla sicurezza ed alla qualità, sono confluite, restando sostanzialmente invariate, anche le norma sulla sicurezza dei prodotti (art. 102-113, già D.Lgs. n.172/2004)), sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (art. 114-127, già DPR 224/1988 e D.Lgs n.25/2001), nonché quelle sulla garanzia legale di conformità e le garanzie commerciali per i beni di consumo (art. 128-135, già inserite agli artt.1519 bis – nonies del Codice Civile dal D.Lgs. n.24/2002).
Tra le novità mancate si segnala, a proposito di tale ultima normativa, che il venditore può ancora rinunciare o escludere, sin dall’inizio del rapporto, il proprio diritto di regresso nei confronti dei venditori precedenti della medesima catena distributiva per la responsabilità nei confronti del consumatore.
E’ noto che tale previsione determina una posizione di debolezza dei piccoli rivenditori nei confronti delle grandi aziende che tendono ad imporre contrattualmente, in virtù della maggior forza negoziale, la preventiva rinuncia al diritto di regresso del venditore, scaricando così sui piccoli commercianti gli oneri relativi alla responsabilità verso i consumatori.
La Parte quinta del Codice, che disciplina le associazioni dei consumatori e l’accesso alla Giustizia, non modifica le norme previgenti, ma aggiunge, all’articolo 141, una nuova regola per la composizione extragiudiziale delle controversie intesa a favorire il ricorso alle procedure conciliative, specie quelle amministrate dalle Camere di Commercio.Capitolo III: IL CONSUMATORE NELL’ECONOMIA GLOBALE
1. Il punto di vista dell’Europa
Il trattato di Amsterdam conferisce alla politica dei consumatori un maggior rilievo rispetto al passato.
L'articolo 153 (129 a) costituisce ora la base giuridica per una gamma di azioni completa e varia a livello europeo. Esso stabilisce che: “(...) la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”.
L’articolo prescrive, altresì, l'esigenza di una più stretta integrazione degli interessi dei consumatori nelle altre politiche dell'Unione Europea.
Il Parlamento dell’Unione Europea si è pronunciato riconoscendo cinque diritti fondamentali dei consumatori internazionalmente accettati: il diritto alla protezione della salute e della sicurezza,
il diritto alla tutela degli interessi finanziari, il diritto alla protezione degli interessi legali, il diritto alla rappresentanza e alla partecipazione, il diritto all'informazione e all'istruzione.
Per la traduzione di tali diritti dalla carta alla pratica ci si è
principalmente incentrati su due settori:
1. Informazione
La capacità del consumatore di autotutelarsi è direttamente connessa con le informazioni di cui dispone.
È pertanto imperativo migliorare gli standard di informazione relativi ai prodotti di consumo, ora più che mai, considerato l'avvento dell'era dell'informazione. Linee di politica generale comprendono un incremento di test comparativi e la trasparenza dell'informazione di prodotti e lo sviluppo dei servizi di informazione per i consumatori.
2. Acquisti
La definizione della politica si è basata sul principio secondo cui l'acquirente dovrebbe essere in grado di:
- valutare le caratteristiche fondamentali (natura, qualità, quantità, prezzo) delle merci e dei servizi offerti al fine di effettuare una scelta avveduta tra prodotti e servizi concorrenti;
- utilizzare tali beni e servizi con sicurezza e in modo soddisfacente;
- rivendicare il risarcimento per qualsiasi lesione o danno provocato dal prodotto fornito o dal servizio ricevuto.
A seguito del completamento del mercato unico, sono mutati gli scopi della politica dei consumatori al fine di tener conto dei nuovi
principali obiettivi dell'UE: Unione monetaria europea, modelli sostenibili di sviluppo e consumo, nonché ampliamento all'Est.
L'azione dell’UE a favore dei consumatori ha assunto la forma di una serie di piani d'azione, a partire dal 1975. Il più recente piano
d'azione - le priorità per la politica dei consumatori 1996-1998
della Commissione - stabilisce le seguenti priorità d'azione:
. uno sforzo importante per migliorare l'istruzione e l'informazione
dei consumatori;
. completamento, riesame e aggiornamento del quadro necessario per
garantire che si tenga pienamente conto degli interessi dei consumatori nel mercato interno;
. gli aspetti dei servizi finanziari relativi ai consumatori;
. protezione degli interessi dei consumatori nella fornitura di servizi essenziali di utilità pubblica;
. misure per consentire ai consumatori di usufruire delle opportunità offerte dalla società dell'informazione;
. misure atte a migliorare la fiducia dei consumatori per quanto riguarda i generi alimentari;
. promozione di un approccio pratico al consumo sostenibile;
. rafforzamento ed incremento della rappresentanza dei consumatori;
. sostegno ai paesi dell'Europa centrale e orientale affinché
mettano a punto politiche per i consumatori;
. considerazioni di politica dei consumatori nei paesi in via di
sviluppo.
1. Sviluppo istituzionale
Nel 1995 il servizio autonomo di politica dei consumatori è
diventato una Direzione Generale a pieno titolo, la DG XXIV, la quale riceve orientamenti su come tutelare gli interessi dei consumatori nell'ambito delle politiche che vengono formulate dal Comitato dei consumatori, composto da 20 membri (uno per ciascuno Stato membro e cinque rappresentanti delle organizzazioni europee dei consumatori).
La tutela dei consumatori pone problemi a livello istituzionale in quanto molti settori di politica riguardano i consumatori in un modo o nell'altro. La DG XXIV ha, tra l'altro, il compito di elaborare una relazione annuale sull'inserimento delle questioni relative ai consumatori in altri settori di politica.
Il contributo della DG XXIV a tutte le fasi del processo decisionale è stato rilevante soprattutto per quanto riguarda le proposte legislative sull'agricoltura, la sanità, i servizi pubblici
e finanziari, la tecnologia dell'informazione, gli autoveicoli e il
commercio internazionale.
Si registrano ancora un coordinamento e una comunanza di obiettivi
insufficienti tra i gruppi nazionali di consumatori nonché ampie
differenze in ordine alla loro efficacia e influenza. Ciononostante,
la situazione sta migliorando a mano a mano che aumentano gli acquisti transfrontalieri di beni e servizi a seguito del
completamento del mercato interno. Inoltre, EURO-COOP (un'organizzazione di cooperative di consumo) rappresenta una
piattaforma europea per gli interessi dei consumatori.
L'UE ha previsto l'istruzione dei consumatori nelle scuole primarie e secondarie come pure il graduale inserimento dell'istruzione dei consumatori nei programmi di studio. La Commissione ha inoltre organizzato programmi di formazione degli insegnanti nelle scuole.
Sono stati istituiti centri europei per l'informazione dei consumatori in aree nelle quali è rilevante il commercio transfrontaliero. Questi forniscono informazioni in merito al mercato interno e ai consumatori ed hanno rafforzato il collegamento tra le organizzazioni nazionali dei consumatori e l'UE.
La Commissione pubblica altresì una guida pratica per i consumatori che illustra nei dettagli gli sviluppi della politica dei consumatori e spiega il tipo di protezione disponibile per questioni quali la sicurezza dei prodotti, la vendita a domicilio e i generi alimentari.
Le pressioni esercitate dal Parlamento Europeo affinché le questioni relative alla tutela dei consumatori siano trattate esaurientemente dalle altre istituzioni dell’UE sono state forti e persistenti.
Il sistema di votazione a maggioranza per questioni relative al
completamento del mercato interno ha determinato una politica
comunitaria più attiva, compresa una serie di misure che ha
costretto gli Stati membri a garantire una tutela dei consumatori
più consistente.
L'interesse per i consumatori all'indomani del mercato interno del
1992 e la determinazione ad attribuire alla protezione dei
consumatori un ruolo più importante hanno indotto il Parlamento ad
organizzare audizioni pubbliche nel 1990 e 1991 su vari aspetti
della politica dei consumatori ed a creare un “intergruppo consumatori”, composto da deputati del Parlamento europeo appartenenti a varie commissioni, incaricato di occuparsi principalmente di questioni di particolare importanza per i
consumatori in una fase prelegislativa.
Il Parlamento si è anche occupato delle seguenti questioni
principali: il bisogno di una politica dettagliata di tutela dei
consumatori, un maggiore coordinamento a livello di UE delle attività dei gruppi nazionali di consumatori, la necessità di Centri europei per l'informazione dei consumatori. Esso, inoltre, ha svolto un ruolo cruciale nel garantire più elevati stanziamenti di bilancio per l'informazione e l'istruzione dei consumatori, nonché per lo sviluppo della loro rappresentanza in quegli Stati membri in cui siffatta rappresentanza è debole.
Nel 1997 le indagini della commissione parlamentare di inchiesta
sull'ESB per quanto riguarda i servizi veterinari della Commissione
hanno comportato l'adozione da parte del Parlamento Europeo di una
“mozione condizionale di censura” nei confronti della Commissione.
Quest'ultima ha quindi costituito un gruppo orizzontale di otto
commissari responsabile della salute dei consumatori. La Direzione Generale XXIV è stata rafforzata e designata con il nuovo nome di “Politica di protezione dei consumatori e della salute”. A tale Direzione Generale sono state trasferite le commissioni scientifiche consultive delle Direzioni Generali Industria e Agricoltura.
È stata altresì istituita una commissione scientifica direttiva per fornire un'esperienza e una visione scientifica più ampie alle questioni relative alla salute dei consumatori.
Un rilievo ancora maggiore assume l'introduzione della trasparenza
nelle procedure dei comitati rendendo per la prima volta pubblici le procedure ed i pareri delle commissioni scientifiche. In tal modo risulta più difficile per le commissioni permanenti opporsi al parere delle commissioni scientifiche senza motivazioni valide.
Tutte queste modifiche rendono il sistema europeo di controllo alimentare molto più simile a quello statunitense. Anche il “sistema di controllo sui prodotti” del mercato interno è stato trasferito dalla DG III alla DG XXIV. Tali cambiamenti attribuiscono alla DG XXIV un ruolo ancora maggiore rispetto al passato, in termini di posizione, personale e risorse finanziarie.
Il Parlamento Europeo si è particolarmente impegnato per dare un grande rilievo alla sicurezza alimentare nel proprio programma politico, a partire dalla presa di posizione contro l'utilizzo degli ormoni nella produzione della carne.
L'inchiesta del Parlamento europeo sull'ESB e le conseguenti
relazioni e risoluzioni hanno accelerato il processo delle riforme e
hanno condotto a consolidare le misure a favore dei consumatori nel
trattato di Amsterdam.
Le questioni sulla sicurezza alimentare continuano ad interessare l'opinione pubblica e la crisi dell'ESB ha avuto un effetto positivo specialmente sulla politica agricola comunitaria (PAC). Nel lungo periodo essa verrà ritenuta come l'aspetto che (unitamente all'ampliamento) ha finalmente aperto la strada verso la riforma radicale della politica agricola comunitaria.
Infine con il trattato di Amsterdam la procedura di codecisione,
mediante la quale il Parlamento europeo acquista più potere, diventa
la regola più o meno generale. Tale trattato amplia inoltre i settori legislativi in cui la procedura della maggioranza qualificata viene utilizzata nel Consiglio.2. Il punto di vista dei consumatori
Analizzando la situazione in maniera più pragmatica il Libro verde sulla protezione dei consumatori nell'Unione Europea, pubblicato il 2 ottobre 2001, ha l’intento di analizzare i possibili orientamenti futuri della tutela dei consumatori nell'Unione europea, avviando un dibattito con le parti interessate.
Esso esamina anche i diversi ostacoli alla realizzazione del mercato interno in tale settore, la questione della tutela dei consumatori e le soluzioni da adottare in vista di un'armonizzazione della normativa comunitaria. Infine, il Libro verde analizza le
possibilità di migliorare la cooperazione tra le autorità pubbliche incaricate dell'attuazione pratica degli aspetti attinenti alla protezione dei consumatori.
Il principale ostacolo da superare per garantire la protezione dei consumatori nel mercato interno consiste nelle diverse normative nazionali riguardanti le prassi commerciali seguite fra imprese e consumatori. Né gli uni, né le altre approfittano attualmente di tutto il potenziale del mercato interno ulteriormente incrementatosi dopo l'avvento dell'euro nel settore del commercio elettronico (commercio tipo B2C, “business to consumer”).
Le imprese che vogliono offrire ai consumatori la possibilità del commercio elettronico si trovano di fronte un ostacolo giuridico scoraggiante che limita l'efficacia del mercato interno. Tale problema arreca pari danno ai consumatori limitando a questi l'accesso a diversi prodotti e a scelte più vantaggiose.
Il Libro verde, in esito ad un'analisi svolta dai servizi competenti, osserva che le norme comunitarie di protezione dei consumatori non riescono ad adattarsi allo sviluppo naturale del mercato ed alle nuove prassi commerciali. La soluzione prevista si orienta verso una semplificazione delle norme nazionali e verso una garanzia maggiore della protezione dei consumatori.
La semplificazione delle regole esistenti e la riduzione delle
regolamentazioni, quando possibili, possono risultare di aiuto tanto ai consumatori, quanto alle imprese. Queste ultime migliorerebbero la loro competitività riducendo gli oneri a carico, mentre i consumatori potrebbero beneficiare di una maggiore scelta di prodotti a prezzi ridotti.
Per giungere a tale semplificazione vengono proposti due orientamenti: l'adozione di una serie di nuove direttive o di una direttiva-quadro che verrebbe completata con direttive specifiche. Il Libro verde propone differenti possibilità per realizzare tale direttiva-quadro che comprenderebbe le prassi commerciali di tipo elettronico che si svolgono tra imprese e consumatori.
La possibilità di una direttiva-quadro presenta un maggior numero di vantaggi in quanto consentirebbe di semplificare le regole esistenti applicabili all'interno di tutta l'Unione europea (UE); inoltre il negoziato risulterebbe più agevole rispetto ad una serie di direttive e consentirebbe la partecipazione delle parti interessate al processo di regolamentazione.
Peraltro la direttiva-quadro risulterebbe più efficace in combinazione con l'attuale autoregolamentazione in ogni Stato membro.
Non essendo questa ancora pienamente effettiva, è necessario un miglioramento dal punto di vista giuridico, segnatamente tramite impegni volontari da parte delle imprese nei confronti dei consumatori. Ciò presupporrebbe l'autoregolamentazione attraverso impegni delle imprese per quanto riguarda i codici di buone procedure.
Tale direttiva può ispirarsi ai modelli giuridici applicati
alle prassi commerciali leali o ingannevoli: il primo caso comporterebbe l'obbligo da parte delle imprese di non seguire
prassi commerciali sleali, nel secondo caso la direttiva avrebbe un campo d'applicazione maggiormente ristretto, probabilmente da completare con nuove normative specifiche comunitarie.
Uno degli obiettivi principali del Libro verde è quello dell'armonizzazione o della semplificazione in materia di protezione dei consumatori. Esistono, infatti, circa 20 direttive comunitarie a cui si aggiungono la giurisprudenza a livello dell'UE e differenti normative degli Stati membri.
Le 4 principali direttive, di carattere generale, riguardano la pubblicità ingannevole (direttiva 84/450 CEE del Consiglio del 10 settembre 1984), modificata dalla direttiva sulla pubblicità comparativa (direttiva 97/55/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 ottobre); la direttiva sulle clausole vessatorie nei contratti conclusi con i consumatori (direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993) e la direttiva sulla vendita e sulle garanzie dei beni di consumo (Direttiva 1999/44/CE del Parlamento e del Consiglio, del 25 maggio 1999).
Le associazioni di consumatori, come Altroconsumo, s’incontrano periodicamente per migliorare ed integrare il Libro verde. Esse appoggiano particolarmente l’idea di una nuova regolamentazione che impone agli operatori del mercato un generale obbligo di rispetto delle norme di “buona pratica” (fair trade) e l’ipotesi di una direttiva-quadro sulla correttezza e l’uniformità, a livello europeo, delle pratiche commerciali. Tale direttiva dovrebbe, appunto, sviluppare adeguati strumenti per porre fine alle pratiche commerciali “scorrette” nell’UE.
Il Consiglio dei Consumatori UE e’ un organo consultivo che esprime pareri su tutto quello che e’il lavoro della Commissione Europea, specialmente su quello della Direzione Generale per la Salute e la Tutela dei Consumatori. Questa Direzione Generale richiede opinioni al Consiglio dei Consumatori UE oppure prende l’iniziativa su attività, argomenti, provvedimenti che riguardano il diritto e la tutela dei consumatori.3. Il ruolo del consumatore nell’economia globale
Alcune grandi multinazionali, sotto la pressione dei consumatori e dell'opinione pubblica, hanno iniziato a modificare i loro comportamenti “non etici” impegnandosi a rispettare i diritti umani garantiti dalle convenzioni internazionali e recepiti nei codici di autoregolamentazione.
Con l'obiettivo di dare sostegno ad imprese che promuovono l'ambiente, la cultura, l'etica, l'autoimpiego e di favorire le
categorie più svantaggiate, vanno diffondendosi modelli finanziari che garantiscono al consumatore-risparmiatore un'informazione
chiara e completa sui progetti finanziati e sui criteri di
valutazione ed accettazione delle richieste di finanziamento, e consorzi, costituiti da imprese no profit, impegnati nel “commercio equo e solidale” che consiste nel finanziamento, importazione e commercializzazione di prodotti alimentari e di artigianato realizzati nel rispetto dei diritti dell'uomo internazionalmente garantiti.
Il cittadino, se adeguatamente informato e, dunque, messo in
condizione di scegliere dove e come orientare i propri consumi, può
incidere sulla configurazione del sistema economico produttivo: oggi le imprese sono oggettivamente dipendenti dal comportamento dei
consumatori, i quali hanno potere “di vita o di morte” su di loro.
E' il consumatore il nuovo cittadino dell'era globale. E come nello Stato di diritto i cittadini esercitano la sovranità mediante il voto, così, nel mondo globalizzato il cittadino-consumatore si può
appropriare della sovranità mediante un consumo critico. Le sue scelte possono, pertanto, determinare il passaggio dall'attuale concorrenza sui costi ad una nuova concorrenza, fondata
sulla sicurezza sociale.
Affinchè il consumatore “passivo” possa divenire consumatore-attore, è necessario riconoscere ed esercitare il suo diritto ad ottenere informazioni adeguate sul comportamento delle imprese che lo mettano in condizione di compiere scelte coerenti con i propri valori e idee, oltre che con le proprie necessità. D'altronde l'articolo 135 TCE riconosce non solo il diritto alla salute ed alla sicurezza del consumatore, ma anche il suo diritto all'informazione e all'educazione per la salvaguardia dei propri interessi; tali interessi, infatti, non si limitano all’aspetto economico, ma si estendono anche alla sfera dei valori del singolo consumatore.
Il diffondersi del consumo critico può, peraltro, contribuire a
creare nella società la consapevolezza del difficile rapporto tra
globalizzazione e tutela dei diritti umani. Questa sostenibilità
deve indurre i governi, le organizzazioni sovranazionali e la
Comunità Internazionale a trovare nuovi strumenti legislativi in
grado di imporre alle imprese comportamenti più rispettosi del
lavoro, dell'ambiente e dei diritti umani in genere. In tale senso
si inscrivono le Risoluzioni del Parlamento Europeo n. 198 del
2/7/’98 (riguardanti il fair trade), 411 (riguardanti lo stato di diritto, il rispetto dei diritti dell'uomo e la sana gestione degli affari pubblici tra l'Unione europea e i paesi ACP) e 508 del ‘98 (sul rispetto degli standard comunitari “sociali” da parte delle imprese operanti nei paesi di sviluppo).
Atti non vincolanti per gli Stati membri, eppure fondamentali tappe verso la creazione di un’ “Europa dei diritti dell'uomo” attenta ai comportamenti delle imprese operanti nei paesi di sviluppo e tesa a conciliare il libero mercato globale con una sicurezza sociale altrettanto globale.4. La responsabilità sociale dell’impresa
La globalizzazione è certamente un elemento di spinta verso una concezione etica dell’economia in generale e, in particolare, della creazione di “valore” derivante dall’attività di impresa.
Essa contribuisce alla formulazione di una coscienza collettiva, la quale conduce ad una visione del mondo come un insieme di valori “globali” e non come insieme di mercati di ordine diverso; consente di oltrepassare la logica utilitaristica che divide il mondo in nord e sud e che porta allo sfruttamento non più indiscriminato delle risorse economiche e naturali. La logica del profitto non è sufficiente per la determinazione del valore reale di un’attività produttiva.
Nei secoli c'è stato un profondo mutamento del senso etico nell’agire quotidiano, spinto da motivazioni diverse, non più meramente religiose, ma più universali. Un contributo notevole si è dovuto al maggiore scambio di informazioni grazie anche allo sviluppo ed alla diffusione di informazioni attraverso Internet.
Oltre ad effetti di tipo competitivo sull’attività delle imprese, riducendo la distanza fisica, informativa e protezionistica tra i vari “offerenti”, ciò ha contribuito ad aumentare il potere dell’utilizzatore finale di beni e servizi.
La vera novità del contesto storico attuale è il passaggio cruciale nel ruolo del consumatore come fattore determinante dell’offerta economica: il consumatore passivo (consumatore-cliente) può scegliere solo in base alle sue preferenze, le quali sono massimamente manipolabili; quello che viene richiesto di soddisfare è una generica domanda di “benessere”, fattore sul quale agiscono variabili legate alla percezione del soggetto.
Su tale percezione soggettiva influiscono variabili economiche (prezzi, redditi, patrimoni), ma anche, e forse soprattutto, sia il concetto di benessere “socialmente” definito nel contesto in cui vive e interagisce il soggetto-consumatore, sia le sue opportunità di scelta: ogni consumatore storicamente e geograficamente individuato ha una sua domanda di benessere che complessivamente determina una domanda aggregata, facilmente definibile e tendenzialmente stabile nel tempo, ed un’offerta definita all’interno della quale scegliere.
La presa di coscienza della responsabilità sociale del consumatore lo emancipa dal suo ruolo di soggetto passivo, fruitore acritico di beni che altri hanno deciso di immettere sul mercato e portatore di bisogni indotti dal mercato stesso. Si arriva, cioè, ad un concetto di consumatore che pretende di determinare quello di cui ha bisogno: il consumatore attivo (consumatore-cittadino), ossia un consumatore “critico” che con le sue decisioni di acquisto e, più in generale, con i suoi comportamenti, vuole “costruire” l’offerta di quei beni e servizi di cui fa domanda sul mercato.
Non gli basta più valutare semplicemente il rapporto qualità-prezzo; vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e quale percorso produttivo l’impresa ha compiuto, se, cioè, ha rispettato quelli che sono i valori che il soggetto pone alla base dell’uso dei suoi mezzi.
La tendenza in atto sembra confermare l’intuizione di J.S. Mill, uno dei massimi punti di riferimento del pensiero liberale, il quale, intorno alla metà dell’ottocento, aveva formulato il principio della sovranità del consumatore: il consumatore è sovrano quando, disponendo liberamente del proprio potere d’acquisto, è in grado di orientare, secondo il suo sistema di valori, i soggetti di offerta sia sui modi di realizzare i processi produttivi sia sulla composizione dell’insieme di beni da produrre.
La crescente domanda di RSI (responsabilità sociale dell’impresa) da parte dei consumatori non è certo l’unico elemento che determina il crescente riferimento ad un’etica economica; la grave crisi, sia in termini finanziari che di credibilità dell’intero sistema economico, causata da alcune vicende internazionali, come i macro esempi del caso Enron e dell’Argentina, e nazionali, Parmalat e Cirio per esempio, pone come elemento strategico per la stabilità del sistema economico mondiale la coniugazione tra l’azione economica e l‘etica.
Le imprese non si possono considerare solo soggetti economici, avulsi dal contesto politico: sono fattori di determinazione delle politiche nazionali e sovranazionali.5. Il consumo responsabile
L’autore, però, non affronta questioni rilevanti come le modalità di accesso e la distribuzione delle informazioni o i vincoli di
La questione solleva un importante quesito: “A che età si diventa consumatori?”.
Il mondo dei consumi è sempre più caratterizzato da beni e servizi che vengono proposti attraverso forme molto persuasive e coinvolgenti. È necessario, quindi, che il consumatore possa contare su un’adeguata informazione che ne favorisca l’orientamento e la capacità di compiere scelte critiche e autonome.
I bambini si dimostrano tra i soggetti più vulnerabili di fronte alle suggestioni della pubblicità, ed è in questo contesto che la scuola e le agenzie extrascolastiche svolgono un ruolo importante: quello, cioè, di educare i più piccoli ad individuare i meccanismi che stanno dietro alle offerte del mercato.
Gli obiettivi principali delle cooperative di consumatori sono stati, sin dalla loro nascita, sia la tutela del consumatore, sia la sua crescita culturale. Dalle “Giornate dei giovani consumatori” a mostre, corsi di aggiornamento per insegnanti, conferenze, animazioni, pubblicazioni, fino ai Centri di Educazione al Consumo Consapevole, per garantire una maggiore continuità nel tempo e un sempre più stretto contatto con il territorio.
Si tratta di strutture permanenti gestite da un’equipe di operatori tra cui figurano dietiste, animatori, pedagogiste, addette alla segreteria e alla documentazione, che operano in rete favorendo la creazione e lo scambio di materiali, strumenti formativi, proposte didattiche. Tali materiali sono rivolti prevalentemente ad insegnanti ma sono disponibili anche per educatori del settore e per quanti desiderano saperne di più sui temi del consumo consapevole.
Il ruolo fondamentale della scuola ai fini dell’educazione al consumo è riconosciuto dalla Commissione dell’Unione Europea, che auspica “una formazione specifica del consumatore... fin dai primi anni scolastici”. Questa consapevolezza ha portato il Ministero della Pubblica Istruzione a firmare un protocollo d’intesa con le cooperative di consumatori.
In concreto un’animazione sul consumo consapevole si attua mediante progetti educativi per sollecitare negli studenti atteggiamenti di consumo critico e responsabile, che tengano conto della qualità delle merci, del confronto dei contenuti e delle funzioni dei prodotti, delle etichette, della tutela della nostra salute e dell’ambiente, del rapporto economico tra Nord e Sud del mondo.
Le ricerche sui bambini stanno indicando quanto la loro socializzazione, la categorizzazione, l'inferenza, i modelli relazionali e la rappresentazione del mondo derivino dalla pubblicità e dall’esperienza di coinvolgimento nell'acquisto. E’ noto che i bambini costituiscano direttamente una fonte di consumo, e
indirettamente determinino ed influenzino un’altra considerevole quota di consumo.
Inoltre la rappresentazione di bambini nella pubblicità è reiterata, insistente, e modella la loro immagine di sé.
In sostanza l'interazione bambini-consumo è indubbia, cospicua e potenzialmente rischiosa.
Il consumo, però, può diventare un'arma formidabile per far cambiare il corso della storia e i consumatori possono avere potere “di vita e di morte” sulle imprese. Ma a tutt’oggi gli artifici che si nascondono dietro l'immagine di molte imprese possono essere messi a nudo solo attraverso gli strumenti di boicottaggio, del consumo critico, delle campagne di denuncia, del commercio equo e solidale.
Scegliere un prodotto con la consapevolezza che dal punto di vista sociale ed ambientale non sia condannabile significa chiedersi, ad esempio, se la tecnologia impiegata per realizzarlo sia ad alto o basso consumo energetico, quanti e quali veleni siano stati
usati durante la sua fabbricazione, quanti ne produrranno poi il suo utilizzo e il suo smaltimento, in quali condizioni di lavoro sia stato ottenuto e che prezzo sia stato pagato alla manodopera.
Invece di farsi semplicemente condizionare dalla pubblicità, i
consumatori possono influenzare il comportamento delle imprese con opportune strategie attraverso cui essi possono riappropriarsi
del proprio potere decisionale ed esercitare un consumo critico.
Nel 1989 uno dei fondatori del movimento dei consumatori in America dichiarò: “Molta gente crede che per vincere una campagna di boicottaggio sia necessario provocare una grande rivoluzione degli acquisti. Ma la sensibilità delle aziende è molto elevata ed un calo delle vendite del 2-5% è sufficiente per indurle a rivedere le loro posizioni. Detto questo rimane il fatto che non è facile ridurre le vendite di una ditta del 5% perché ci vuole un grande sforzo organizzativo"
Effettuare il consumo critico significa far la spesa scegliendo i prodotti non solo in base alla qualità e al prezzo, ma anche in base alla loro storia ed alle scelte effettuate dalle imprese produttrici.
A questo proposito importante, oltre all'esame del prodotto, è l'esame delle imprese: spesso dietro un prodotto che crediamo completamente italiano o che ci sembra del tutto innocuo ci sono interessi diversi.
Il consumo critico, quindi, può diventare uno stile di vita, un atteggiamento di scelta permanente ed ha due finalità: offrire una soluzione immediata a chi è vittima di un sistema commerciale oppressivo e sperimentare un modello commerciale basato su principi diversi per dimostrare che l'alternativa è possibile.
Interessante e decisamente anticonformista è la proposta di Michael Albert: l’economia partecipativa. Secondo lo scrittore e studioso i teorici del modello economico-sociale del libero mercato concorrenziale e capitalistico dovrebbero adempiere ad un dovere
deontologico-professionale o ad un semplice dovere morale tracciando almeno un abbozzo di istituzioni, di prassi o di strumenti economico-sociali che indichino praticabili alternative rispetto all’attuale assetto economico-sociale dominante.
Lui stesso in prima persona tenta di tratteggiare le caratteristiche salienti di un modello socio-economico alternativo che definisce Economia Partecipativa (Participatory Economics), in cui i consigli di consumatori e lavoratori devono rispettare solo i
valori generali e le strutture più importanti, ma possono pervenire a diversi approcci per fare le stesse cose, a seconda della loro storia, delle circostanze e delle preferenze.
Albert sostiene che questo sia il modello più efficace per attuare concretamente i cinque valori fondamentali che consentono di valutare uno specifico sistema economico: equità (di reddito e di condizioni lavorative), autogestione, diversità, solidarietà ed efficienza.
Le caratteristiche fondamentali di un’Economia Partecipativa sono: la proprietà sociale dei mezzi di produzione, i Consigli Autogestiti dei Lavoratori e i Consigli dei Consumatori, le combinazioni bilanciate di mansioni, la remunerazione rapportata all’impegno e del sacrificio (per chi può lavorare) o rapportata ai bisogni (per chi non può lavorare) e la pianificazione partecipativa.
Sulla base della considerazione che anche il consumo, come la
produzione, è un’attività sociale, lo scrittore sostiene che il principale strumento organizzativo dei consumatori debbano essere i Consigli dei Consumatori, organizzati fra loro a struttura annidata; infatti, “ogni individuo, famiglia o altra unità sociale costituisce i consigli più piccoli, facenti parte, a loro volta, del più ampio
consiglio dei consumatori del quartiere. Ciascun quartiere appartiene ad una federazione di consigli dalle dimensioni di un distretto urbano o di una provincia. Ciascun consiglio distrettuale appartiene ad un consiglio di consumo cittadino (…) [a sua volta appartenente] ad un consiglio regionale e ciascun consiglio regionale [appartiene ad un] consiglio nazionale.”. Albert ritiene, infatti che, “diversi tipi di consumo influenzano diversamente gruppi di persone differenti”.bilancio, ma si cura, inoltre, di mantenere il fondamentale principio generale per cui ciascun attore economico, sia in veste di consumatore che in veste di produttore, deve avere “un impatto sulle decisioni proporzionale alla misura in cui ne è influenzato”.
La divisione aziendale del lavoro produce differenti condizioni di accesso alle informazioni rilevanti, per le decisioni da prendere, e differenti possibilità di influenzare il processo decisionale; pertanto ciascun lavoratore deve svolgere all’interno di ogni unità
produttiva uno spettro di mansioni di diverso livello “tali che le
implicazioni generali di questa combinazione di mansioni siano in
media le stesse di tutte le altre occupazioni”. Nel complesso, nessuno dovrebbe fare solo lavori monotoni e sgradevoli o solo lavori
stimolanti e concettuali; solo in questo modo la divisione del lavoro non produce divisioni di classe tra chi comanda e chi obbedisce e tutti possono sviluppare adeguatamente le proprie potenzialità.
Albert, inoltre, contesta la consueta tesi secondo cui le uniche due opzioni concretamente configurabili per l’allocazione delle risorse sono o i mercati o la pianificazione centralizzata. Di conseguenza passa poi a descrivere un sistema alternativo di allocazione: l’allocazione partecipativa decentrata.
Per realizzarla è indispensabile un imponente circuito-rete di comunicazione ed informazione per raccogliere e smistare dati e informazioni concernenti le preferenze di consumo (e di produzione) individuali e collettive; i prezzi devono misurare il costo-opportunità sociale; inoltre è imprescindibile una buona ed
affinata capacità di previsione delle necessità di consumo per un
arco di tempo piuttosto lungo (almeno un anno), sia a livello
individuale che a livello collettivo.
L’Economia Partecipativa s’inserisce in un quadro in cui gli scienziati sociali che non vogliono limitarsi alle sterili attività di osservazione e descrizione, ma che aspirano ad indicare dei possibili percorsi di miglioramento complessivo delle condizioni di vita materiale e spirituale, devono operare come ingegneri sociali sempre pronti a ricalibrare i propri calcoli secondo le necessità del momento ed il feedback fornitogli dall’ambiente (naturale e sociale) circostante.Capitolo IV: LO STUDIO DEL CONSUMATORE
- L’attenzione verso il consumatore
La società attuale affida un ruolo sempre maggiore al consumatore, non più visto come terminale di una promozione o di una vendita o come il fine del marketing e delle strategie di impresa, bensì come il protagonista stesso del consumo. Un soggetto che deve diventare sempre più maturo, deve essere sempre più capace di orientarsi e saper scegliere.
Proprio nella ricerca di una nuova identità del consumatore-cittadino-utente risulta fondamentale che lui e le sue organizzazioni costruiscano processi di incontro e punti di contatto tra i tradizionali competitori.
La visione, tutt'altro che utopica, di un moderno ed efficace rapporto che nasce dal confronto fra consumatore e produttore, ancor più fra operatore commerciale e cliente utente, è sicuramente una strada che deve essere percorsa al fine di creare una sostanziale democrazia dei consumi.
Per favorirne il successo è opportuno progettare, pertanto, un processo di comunicazione ed informazione che consenta di realizzare tutti quegli strumenti necessari a stabilire forme di chiarezza, trasparenza e sicurezza. E’ la comunicazione il primo obiettivo da attivare per favorire l'integrazione attraverso la partecipazione dei produttori e dei consumatori, la loro presa di coscienza e la capacità di confrontarsi.
Un'azione che deve basarsi principalmente sulla diffusione, conoscenza e comunicazione costante, costituendo anche un punto di confronto permanente per la risoluzione e la manifestazione di problemi e di proposte.
Per perseguire tale obiettivo il modello di base, ossia quello di derivazione neoclassica che la teoria economica ha tradizionalmente utilizzato per descrivere il comportamento del consumatore, sembra essere sempre più inadeguato a dar conto della estrema complessità sottostante alle decisioni di consumo.
Purtroppo un atteggiamento di chiusura di una parte del mondo economico verso impulsi provenienti da altre discipline ha spesso impedito di individuare certi particolari del comportamento umano, favorendo la realizzazione di modelli che messi alla prova in una situazione reale si sono rivelati frequentemente contraddittori o che, peggio, hanno dato luogo a risultati controintuitivi.
Per evitare, quindi, il pericolo di un possibile rischio involutivo, la teoria ha bisogno di essere rinvigorita da un nuovo paradigma, cioè da nuovi principi a cui fare riferimento ed in cui si possa finalmente riflettere una struttura informativa più completa e maggiormente adeguata ad esprimere ogni possibile sfumatura del comportamento e del processo di scelta del consumatore.
Una proficua iniziativa è stata attuata dalla Regione Umbria nel progetto definito “Lo sportello del consumatore” a seguito dell’emanazione della legge regionale 10 luglio 1987, n. 34, concernente norme in materia di tutela dei consumatori ed istituzione della Consulta Regionale per l'utenza ed il consumo.
Tale legge è finalizzata ad accrescere la qualità e la fruibilità dei beni e servizi da parte di consumatori ed utenti, alla promozione ed attuazione di una politica di educazione al consumo, alla formazione dell'operatore economico ed allo sviluppo dell'associazionismo tra i consumatori.
Nei primi anni di attuazione della l'intervento regionale è stato incentrato prioritariamente nell'ambito della ricerca, con particolare riferimento al settore delle utenze, ed allo sviluppo dell'associazionismo tra i consumatori mediante la concessione di contributi per la realizzazione di progetti in materia di tutela dei consumatori.
Successivamente la Giunta Regionale e la Consulta hanno avvertito
l'esigenza di dare maggiore visibilità all'azione svolta dalle
Associazioni dei consumatori, nonchè di dotare i consumatori di
strumenti più efficaci di tutela mediante l'istituzione di una
struttura al loro servizio. Una struttura non burocratica, vicina ai cittadini, gestita unitariamente dalle Associazioni dei consumatori.
Questo servizio, rivolto alla generalità di consumatori ed utenti e ubicato in sedi senza barriere architettoniche al fine di renderlo
fruibile anche ai portatori di handicap, ha lo scopo di fornire, a livello regionale, informazioni, documentazione e consulenza su problemi specifici e generali attinenti i consumatori ed utenti, intervenendo sui soggetti interessati.
Gli obiettivi sono:
- aumentare il livello di conoscenza dei cittadini sul funzionamento delle strutture pubbliche e private che erogano servizi,
- raccogliere le segnalazioni di disservizi ma anche proposte e suggerimenti per il miglioramento dei servizi,
- promuovere l'educazione dei consumatori al fine di orientare le loro scelte in materia di consumo,
- far crescere il livello di consapevolezza dei propri diritti, stimolando un ruolo attivo dei cittadini,
- dare risposte alle problematiche sollevate, sia in termini di tutela dei diritti dei singoli cittadini che in termini di interesse generale, adottando comportamenti propositivi e non conflittuali, e perseguendo, laddove possibile, procedure di conciliazione,
- relazionarsi con i soggetti che nel territorio regionale operano nei servizi (gli ambiti di intervento dello Sportello sono: servizi pubblici, servizi privati, sanità, commercio, artigianato, turismo e servizi culturali), stimolando un miglior rapporto con l'utenza e la crescita della formazione professionale degli operatori,
- promuovere la creazione di un sistema rete delle strutture di tutela dei cittadini messe in atto dalle istituzioni e dai movimenti ed associazioni.
I soggetti interessati, ossia la Regione, le Associazioni di consumatori e le istituzioni locali, hanno investito tutti nel progetto, mettendo a disposizione risorse finanziarie ed umane, strutture, esperienze e competenze.
Al fine di valorizzare e dare continuità ad un’esperienza valutata positivamente, la Regione Umbria ha approvato la L.R. 17/96,
concernente modificazioni alla L.R . 34/87. In base a tale nuova normativa, lo Sportello, istituito presso la Giunta Regionale, viene riconosciuto come servizio di pubblico interesse, con gestione affidata alle Associazioni dei consumatori sulla base di un rapporto di convenzione.
L'attuazione del progetto e la funzione di monitoraggio di tale struttura possono favorire la realizzazione di politiche ed interventi regionali, in materia di tutela dei consumatori, più incisivi ed articolati rispondendo in tal modo alle esigenze dei consumatori ed utenti.
In termini più generali, questa iniziativa può contribuire a
migliorare la qualità dei servizi e ad incidere sulla trasparenza e sulla semplificazione delle procedure nella pubblica amministrazione,
cogliendo la centralità del cittadino.2. La società dell’informazione
Durante l’ultimo decennio, il forte sviluppo delle tecnologie informatiche e di telecomunicazione ed il loro impatto sulle attività economiche e sociali dei paesi più evoluti hanno indotto ad un forte cambiamento nel mondo in cui viviamo portando alla nascita di una nuova “società”. Si tratta della cosiddetta “società dell'informazione” costituita da un contesto socio-economico in cui il bene maggiormente scambiato e acquistato è rappresentato da informazioni.
Forse riferendoci ad un contesto in cui l'impegno delle nuove tecnologie informatiche e di telecomunicazione è largamente diffuso, sarebbe più opportuno parlare di una nuova società digitale.
A questa combinazione di fattori, l’informazione e la telecomunicazione, viene solitamente dato il nome di Information Comunication Technology (ICT). L'ipotesi di fondo dell'ICT è, quindi, quella di un nuovo ambiente in cui lo scambio di informazioni domina tutti i processi e le operazioni svolte dai vari operatori privati, commerciali e pubblici; tale scambio è reso possibile dall'avvento di nuovi strumenti informatici, tra i quali il più importante è indubbiamente la “rete” che permette di interconnettere tutti gli operatori.
Durante gli ultimi decenni il mercato è profondamente cambiato anche a causa della velocità con cui la tecnologia riusciva, e riesce tutt'oggi, ad offrire nuovi strumenti per migliorare sempre di più la gestione e l'organizzazione aziendale.
Il mercato è mutato attraversando numerose fasi e passando da una logica di orientamento al prodotto, e quindi di produzione di massa, ad una in cui la figura centrale è costituita dal consumatore. Mentre in passato, infatti, l'attenzione era rivolta alla ricerca di prodotti standardizzati che potessero essere immessi sul mercato indipendentemente dalle reali necessità del consumatore, oggi la tendenza è completamente opposta. Il consumatore è divenuto il perno di tutta l'attività svolta ed il soggetto su cui focalizzare l'attenzione. Egli non è più considerato un elemento passivo del processo, ma si è trasformato in elemento attivo del quale si ascolta la voce.
Negli anni '80 si è affermato un nuovo criterio di gestione del rapporto con il mercato; è in quel periodo, infatti, che le aziende si resero conto che il coordinamento dei canali distributivi e del mercato a valle, attraverso le vecchie logiche push, era sempre meno efficace perché metteva al centro il prodotto e non il cliente.
Furono quindi introdotte logiche pull che spostarono l'attenzione di tutti gli operatori della filiera sul cliente a valle fino ad arrivare al consumatore finale.
Questo netto cambiamento nel modo d’intendere e vivere il mercato ha spinto le aziende a concepire nuovi criteri di gestione, basati sull'uso intensivo dell'informazione in modo da soddisfare in maniera precisa i bisogni sempre nuovi e diversi dei consumatori.
La sfida del futuro consisterà nella capacità delle aziende di gestire, attraverso le tecnologie informatiche e le telecomunicazioni, relazioni personalizzate con una larga base di clienti mantenendo un'efficace relazione d'affari con ciascuno di essi.
Il forte sviluppo delle tecnologie informatiche ha portato alla nascita di nuovi strumenti, i quali hanno permesso all'impresa di mettere in atto alcune operazioni di sostanziale importanza in una società e in un mercato come quello attuale. Ad esempio quella di integrare le diverse funzioni aziendali, di monitorare l'attività dei concorrenti, di analizzare in maniera più precisa e veloce i bisogni del consumatore e di stabilire con quest'ultimo un rapporto continuo e stabile.
La globalizzazione dell'economia e la conseguente rapida propagazione degli stimoli, in un contesto di dimensioni mondiali, comportano, come conseguenza, un'evoluzione sempre più rapida dei mercati e quindi una necessaria rivisitazione, da parte delle aziende, dei propri modelli economici, operativi e organizzativi: un mutamento che sta andando sempre più verso il concetto di integrazione, ossia verso la necessità di ricomporre ad unità la gestione dell'azienda.
Inoltre oggi il problema cruciale non è informatizzare, ma saper usare ed integrare le nuove tecnologie a supporto della visione e della missione dell'impresa, rendendo l'ICT la chiave efficiente per il successo dell'organizzazione.
I grandi mutamenti nelle tecnologie e negli assetti competitivi investono le imprese di ogni ordine e grado e le conseguenze sono evidenti in tutti gli ambiti della gestione e del governo strategico delle imprese. L'importanza assunta dalle relazioni con i clienti è una delle conseguenze più rilevanti che gli sviluppi delle tecnologie e delle forme di concorrenza abbiano sinora generato.
La gran parte dei mercati è caratterizzata da rapida obsolescenza delle tecnologie e delle politiche di differenziazione competitiva, di conseguenza nelle imprese stanno mutando le fonti del vantaggio concorrenziale e le forme di ricchezza.
La tecnologia diviene, quindi, driver di sviluppo, un fattore propulsivo per il business; essa rappresenta uno stimolo per ripensare all'approccio al mercato, e non solo uno strumento per aumentare la produttività dell'azienda generando nuove idee e formule imprenditoriali. Difatti l'introduzione di una nuova tecnologia genera opportunità: modalità innovative di rispondere ai bisogni dei clienti o, addirittura, di crearne di nuovi: nuovi mercati e maggiori sorgenti di profitti.
Al giorno d’oggi Internet è considerato una tecnologia, un canale distributivo, un media e un nuovo modo di fare business a seconda della diversa visione e del differente approccio all'utilizzo da parte delle imprese. Indubbiamente esso costituisce una discontinuità tecnologica forte che ha modificato i tempi e le procedure in molte attività.
La rete presenta anche uno straordinario potenziale quale canale distributivo che annulla gli spazi tra l'azienda e i clienti, accorcia la catena distributiva e riduce costi e il time to market.
Per questi motivi la diffusione di internet sta progressivamente cambiando l'ambiente esterno di riferimento e modificando le aziende, anche sotto il profilo organizzativo.
L'evoluzione verso nuovi modelli di business sta ridefinendo gli equilibri nei mercati, mentre, all'interno delle imprese, stanno mutando le sinergie tra le aree d'affari e i rapporti tra le diverse funzioni. Tutto questo implica una revisione delle gerarchie, dei compiti e delle competenze. La crescente esigenza di skill specifici si riflette, inoltre, sulla gestione delle risorse umane, che sempre più deve confrontarsi con la scarsità di profili professionali specializzati.
Le trasformazioni alle quali le aziende vanno incontro sono, d'altra parte, molto significative in quanto le Information and Comunication Technologies (ICT) costituiscono una modalità per accrescere la loro competitività. Riorganizzando la struttura delle imprese in modo da sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove tecnologie sono, infatti, possibili margini di recupero all'interno della filiera industriale e distributiva: vendite, acquisti, logistica, marketing e pressoché tutte le altre aree ne sono interessate.
L'attenzione allo sviluppo ed al consolidamento di una base di clienti fedeli e collaborativi è ormai considerata la principale forma di ricchezza di un'impresa; e questo non solo per il suo contributo al conto economico e ai flussi di cassa prospettici, quanto per il potenziale valore che la stabilità delle relazioni può generare.
In tale contesto la risorsa che più di ogni altra determina il valore è certamente la “relazione con i clienti”. Si ricorre quindi all'utilizzo di un'espressione, il capitale relazionale, per indicare lo stock di fiducia, fedeltà e lealtà che deve essere accumulato dall'impresa per poter accrescere la sua capacità competitiva e il suo valore di mercato nel tempo.
È il valore delle risorse relazionali, infatti, che determina la possibilità di accrescere i flussi di cassa futuri ed il loro orizzonte temporale, riducendo al tempo stesso il tasso al quale vengono attualizzati. In questa prospettiva, le relazioni con i clienti diventano l'origine e la finalità delle performance d'impresa e, quindi, di tutte le attività di gestione.3. Il CRM, il Customer Relationship Management
Considerando, ad esempio, la digital net economy, le relazioni con i clienti non sono solo un fattore che determina il successo e la performance delle imprese, ma sono anche l'essenza stessa del business. In un mercato, cioè, dove la concorrenza è “a portata di mouse”, le imprese esistono solo se sono in grado di sviluppare solide rapporti e collaborazioni.
Da un altro punto di vista, come tutte le risorse che generano valore, il capitale relazionale non è facilmente accumulabile. Esso, infatti, richiede tempi lunghi e corposi investimenti, sia commerciali sia organizzativi.
Innanzitutto è importante condividere un modello che, partendo dall'analisi del comportamento del cliente (customer behavior,) deve consentire all'impresa ed ai suoi manager di gestire le diverse fasi del ciclo di vita della relazione.
È quindi attraverso le tecnologie informatiche e le telecomunicazioni che l'azienda è in grado di gestire dei rapporti personalizzati con una larga base di clienti, mantenendo un'efficace relazione d'affari con ciascuno di essi. Le impresee devono moltiplicare le occasioni di interazione con i clienti ed il loro numero, gestendo nel contempo la quantità di informazioni che si ottengono in merito ai loro comportamenti, alle loro prospettive e ai loro bisogni.
L'informazione, il suo trattamento e la sua archiviazione sono diventati elementi importanti nella gestione dell'intera azienda. In questo contesto il database clienti, inteso come contenitore dell'esperienza maturata con il cliente, è divenuto uno strumento fondamentale per un'efficace ed efficiente gestione della relazione con lo stesso.
Il Customer Relationship Management è l’insieme degli strumenti per la gestione dei rapporti con la clientela; è un approccio integrato che coinvolge più dimensioni della struttura aziendale ponendo al centro del business il cliente. Essendo questo un partner sempre più esigente ed in rapida evoluzione, l’innovazione tecnologica offre alle aziende strumenti gestionali sempre più utili ed efficaci da un lato, ma dall’altro essa attribuisce ai consumatori una straordinaria libertà di movimento, ne eleva le aspettative e ne incoraggia il nomadismo.
Il cliente è diventato un “bersaglio mobile” e le aziende devono affrontare una nuova sfida organizzativa per sopravvivere, per crescere e per generare nuovo valore. Il CRM è la risposta che rappresenta appunto una “nuova cultura di business” nata con l'intento di ottimizzare la gestione della relazione con il cliente.
Le aziende italiane approcciano con interesse, ma anche con molta prudenza, soluzioni di CRM poiché la loro implementazione richiede la trasformazione da organizzazioni incentrate sui prodotti ad organizzazioni focalizzate sulla relazione con i clienti. Questo naturalmente non può avvenire in poco tempo e necessita di risorse economiche e di competenze professionali di livello.
Ridisegnare l'organizzazione secondo una visione customer centric significa anche rivedere processi e struttura organizzativa; questo è quindi forse il punto più critico e causa di dubbi ed incertezze perché coinvolge direttamente le persone che compongono l'impresa: se non vengono effettuate scelte oculate, infatti, si corre il rischio di compromettere la vecchia struttura senza sostituirla con una nuova.
Se da un lato è ormai opinione comune che l'adozione di soluzioni di Customer Relationship Management determina un salto di qualità nel livello di integrazione tra tecnologia ed organizzazione aziendale, dall'altro è necessario avvalersi dei modelli di business in modo preciso per non rischiare di investire in progetti in sé validi, ma disallineati dai propri bisogni e soprattutto dalle reali priorità.
Pertanto per le imprese è difficile riuscire a stimare i benefici che potranno ottenere, a seguito di investimenti, con l'implementazione di questi sistemi.
Per il grande fermento e continuo scambio tra gli attori economici, ossia produttori e consumatori, si sente dire che viviamo nell' “Economia della complessità”.
In quest’ottica l'avvento del marketing multicanale (multi-channel marketing strategy) favorisce la completa espressione delle esigenze del cliente e quindi l'interazione tra produttore e consumatore. Esso, pertanto, costituisce una delle risposte competitive dell'impresa alla complessità del mercato.
Per marketing multicanale s’intende l'utilizzo di una pluralità di canali, sia innovativi sia tradizionali, assortiti, coerenti ed integrati per le attività di comunicazione, commercializzazione e assistenza ai clienti.
Con la multicanalità si moltiplicano le occasioni di contatto e di business con il consumatore, ma allo stesso tempo si aumenta in modo esponenziale sia la complessità, sia il volume delle attività di marketing da gestire.
La ricchezza di canali offre un mix formidabile di occasioni di contatto: per interagire ci si può recare in un punto vendita diretto o indiretto, si può telefonare attraverso la rete fissa o con un cellulare, inviare un fax, un sms, una e-mail, collegarsi ad un sito e reperire direttamente le informazioni, oppure compilare un modulo e richiederle via e-mail, posta, telefono, ecc.
Di questa varietà beneficia sicuramente il rapporto cliente-impresa con i seguenti risultati:
- miglior servizio verso i clienti;
- maggiore fidelizzazione dei clienti tradizionali;
- acquisizione di clientela in nuovi segmenti/nicchie di mercato;
- maggior ricchezza di informazioni riguardanti i clienti.
Tuttavia tali scelte comportano dei dilemmi per l'organizzazione dell'impresa; se si intende creare un nuovo canale di contatto si deve tenere conto dei rischi e delle nuove attività che questo comporta.
Infatti un nuovo canale deve rappresentare all'esterno un'immagine coerente dell'azienda, deve evitare la cannibalizzazione di altri canali con i quali, invece, deve integrarsi veicolando, ricevendo la clientela e mantenendo un livello di servizio adeguato, deve alimentare il sistema informativo aziendale e deve potervi agevolmente accedere nelle operazioni di gestione della clientela.
Esso, quindi, deve essere in grado di offrire al cliente un'esperienza di contatto e di rapporto soddisfacente.
La stessa organizzazione deve effettuare scelte che rendano possibile il raggiungimento degli obiettivi evidenziati: se si vuole rendere coerente ed integrata la gestione di canali di contatto diversi sarà infatti necessario porli sotto una guida comune, se si intende offrire un livello di servizio elevato è necessario inserire risorse nuove e “skillate”, se si enfatizza l'importanza dell'informazione, che può essere scambiata con il mercato, e si ritiene essenziale allineare la comunicazione interna ed esterna è opportuno investire sull'adeguamento del sistema informativo interno.
Tuttavia tali variabili non si declinano né si integrano facilmente e attualmente ancora non si dispone di un sistema di valori e di esperienze tali da guidare le imprese in uno sviluppo di pura imitazione. Sono infatti le persone, con la loro professionalità e formazione, a dover gestire il cambiamento.
Così la nascita di nuovi profili professionali, caratterizzati da un'impostazione multidisciplinare trasversale alle funzioni aziendali e focalizzata sul processo, testimonia questa esigenza, la quale trova difficilmente un corrispondente nel mercato del lavoro.
Pertanto è l’organizzazione che deve svolgere i difficili compiti di definire il livello di complessità che ritiene sostenibile in una finestra temporale limitata, di ponderare di volta in volta finalità, mezzi e percorsi di sviluppo e, di conseguenza, di dotarsi delle risorse umane e materiali necessarie a conseguire il cambiamento.4. Il consumatore multicanale
Nei mercati globali e in condizioni competitive di eccesso di offerta, cioè di produzioni che superano largamente le capacità di acquisto dei consumatori, le performance di successo delle imprese che operano su vasta scala si fondano, in modo apparentemente paradossale, sulle abilità di frammentazione pilotata della domanda e sulle capacità di innovazione guidata dalla “customer satisfaction”.
Le odierne condizioni di mercato, che hanno imposto un’evoluzione dal marketing al market-driven management, evidenziano infatti profondi cambiamenti nell’individuazione e nella gestione delle aspettative dei consumatori.
In effetti, la segmentazione della domanda segna il passaggio dalla protoeconomia di scarsità, con una domanda generica e largamente superiore all’offerta per cui tutto ciò che si produce è sicuramente venduto, a condizioni competitive più complesse e definite come welfare state. Queste ultime sono infatti caratterizzate da numerose domande specialistiche, ognuna delle quali soddisfa specifiche esigenze della clientela: nel settore automobilistico, ad esempio, il bisogno primario di trasporto si ripartisce in una gamma di funzioni secondarie che riguardano berline, station wagon, coupé, spider, ecc.
In concreto, per soddisfare le note condizioni di individuabilità, raggiungibilità e misurabilità, i diversi segmenti di domanda presuppongono una precondizione di stabilità nel tempo e nello spazio competitivo di riferimento. Di conseguenza la produzione può decidere di specializzare una data offerta, e così soddisfare le attese di un particolare segmento, solo se la domanda è stabile, cioè se esprime comportamenti di consumo costanti e quindi trasferibili in piani e programmi di vendita di prodotti poco soggetti al cambiamento.
La stabilità di comportamento presuppone, a sua volta, un’elevata fedeltà di acquisto, il quale diviene, pertanto, il vero fattore critico di successo.
Nei mercati in eccesso di offerta la stabilità ripetitiva degli acquisti viene a mancare e si determina il predominio di una non-fedeltà di comportamento. In altri termini si crea uno stato di discontinuità da governare mediante l’obsolescenza delle offerte e un’innovazione continua di prodotto, la quale viene pianificata indagando le attese dei consumatori attraverso tecniche e strumenti nuovi (come business intelligence, data mining, fidelity card, ecc.), e quindi frammentando le domande preesistenti per poi ricomperle in fasce instabili di acquirenti variamente sensibili al prezzo, ma comunque molto informati e pronti ad accettare soluzioni alternative più idonee.
Affinché gli operatori di marketing possano affrontare un consumatore sempre più “multimediale” o, per meglio dire, multicanale ed imprevedibile nelle sue scelte così come nei suoi comportamenti, è stato proposto un modello di riferimento che si regge su tre grandi pilastri: marca, multicanalità e CRM.
Il nuovo consumatore, definito da Yoram Wind come il “consumatore centauro”, ossia un consumatore che si muove con familiarità e autonomia in un universo fatto di attività on e off line, dispone di un ventaglio di strumenti per soddisfare nuove e pressanti categorie di bisogno:
- la personalizzazione: ancora troppo spesso si pensa che la customizzazione vada di pari passo con la volontà di spesa da parte del cliente, mentre è sempre più evidente come la necessità di avere sistemi di offerta che parlino ai singoli individui sia dato sempre più per scontato da parte del consumatore. In questo senso la rete ha avuto un effetto a dir poco dirompente sugli approcci più tradizionali al tema della personalizzazione;
- l’interazione sociale: la rete ha permesso la creazione di comunità di individui delocalizzando di fatto la relazione. Le comunità on line, tuttavia, non hanno cancellato il bisogno di fisicità della relazione, la quale si manifesta con sempre maggior peso nei luoghi di consumo che diventano spazi di aggregazione, di divertimento e di socialità;
- la multicanalità: la rete, congiuntamente con il proliferare dei luoghi del consumo anche al di fuori di quelli tradizionali, ha generato nel consumatore l’aspettativa di poter fare acquisti sempre ed ovunque;
- la convenienza: mai come oggi vi sono tante opzioni di prezzo disponibili per il consumatore centauro. Le aste on line, sistemi di prezzo fai da te ed altre forme di definizione del prezzo da parte del cliente hanno radicalmente modificato il modo di pensare al prezzo all’interno delle imprese. Mentre tradizionalmente il pricing viene stabilito dal marketing sulla base dei diversi segmenti di clientela, oggi questa logica appare minacciata dalla forte proattività del consumatore nella definizione del prezzo d’acquisto;
- l’ottimizzazione delle proprie scelte: la “vicinanza”, in termini di abbattimento dei costi di ricerca, dei possibili modi di soddisfare un bisogno rende drammaticamente diversa la relazione azienda - cliente.
Il “centauro” è un soggetto pienamente autonomo, attore di mercati atomizzati, al limite composti da un singolo individuo, in relazione con l’azienda e con altri consumatori con modalità inattese, libere e molto meno generalizzabili all’interno dei segmenti di mercato.
Il vero cambiamento portato dalla rete non è stato, dunque, meramente tecnologico, ma, soprattutto, sociale e caratterizzato da dinamiche culturali individuali e collettive.
Per poter far fronte a questo radicale mutamento nelle abitudini d’acquisto è necessario sviluppare un modello gestionale in grado di seguire il comportamento dei clienti dentro e fuori la rete, tenendo conto che la multicanalità risulta essere uno strumento formidabile per le vendite e lo sviluppo dei consumi. Difatti un cliente compiutamente multicanale è in grado di generare vendite pari a quattro volte quelle del cliente monocanale.
In questa logica, una prima grande rivoluzione nei modelli di marketing è data dalla perdita d’importanza del luogo d’acquisto inteso come spazio. La distribuzione, infatti, ha pervaso ormai ogni spazio, tanto che oggi i consumatori si attendono di fare acquisti in ogni momento e in ogni luogo.
Questa pervasività delle occasioni di consumo si accompagna al desiderio del cliente di essere “riconosciuto” e di poter disporre del canale di volta in volta più idoneo alle sue aspettative. Questo fenomeno comporta, per le imprese sia di distribuzione che di produzione, la necessità di garantire al consumatore un’esperienza integrata; perché questo abbia luogo occorre integrare il mondo on line con quello off line, cercando di massimizzare i punti di forza e minimizzare le debolezze dei diversi media.
Questo mix di canali dipende dalla natura dei prodotti scambiati, dalle attese del cliente e dall’identità di marca che s’intende veicolare. Un ulteriore elemento che presiede le scelte relative alla multicanalità è legato alla comprensione dei modi e dei tempi più idonei per l’interazione con il cliente: la scelta del mezzo o del canale in uno specifico momento è legata alle attività che il consumatore compie, così come ai bisogni di interazione (acquisto, comunità, informazione, ecc.) che tale attività comporta.
Affinché la multicanalità sia effettivamente attuata è necessario che si creino sistemi ed interfacce, in grado di parlare tra loro, e che si sviluppino reti complesse di distribuzione che possano raccogliere gli ordinativi attraverso tutti i punti di contatto (negozio, sito, TV interattiva, call centre, catalogo, ecc.) e che possano gestire l’intero processo fino alla consegna dei beni. La consegna dei beni, a seconda dei casi, può avvenire direttamente nel punto di vendita, a domicilio o tramite il computer se i beni offerti possiedono la natura di servizi scaricabili.
Tale sistema, inoltre, dev’essere improntato alle logiche tipiche del CRM in modo da non perdere informazioni preziose relative all’attività del cliente ed ai suoi bisogni specifici, favorendo, tra l’altro, le possibilità di personalizzazione dell’offerta.
Come conseguenza a questa capacità di dialogo tra le interfacce vi è la possibilità che i clienti siano riconosciuti e trattati sempre allo stesso modo, sia in rete che fuori dalla rete.
I clienti sono sempre più attivi nel definire le proprie politiche d’acquisto e le attività che intendono svolgere all’interno del portafoglio di canali disponibile. Gli elementi più innovativi rispetto ai modelli classici di marketing si riscontrano nella volontà del cliente di progettare il proprio valore all’interno del sistema d’offerta e di usare i luoghi del consumo, virtuali e reali, per svolgere attività sociali, per condividere interessi e per divertirsi in modi difficilmente controllabili dall’impresa.
L’intenzione del consumatore di progettare il proprio valore richiede all’impresa l’abilità di trasferire la customizzazione dalla rete ai canali off line in maniera integrata.
Ancora una volta l’azienda deve disporre di una capacità di lettura dei bisogni del cliente in una prospettiva più ampia rispetto a quella tradizionale: entrare in un supermercato e, tramite una carta elettronica, essere indirizzati verso i prodotti che acquistiamo più spesso e verso le novità cui siamo più sensibili (come si fa nello shopping on line) permetterebbe di aggiungere personalizzazione anche nella spesa reale oltre che in quella virtuale.
Leggere i bisogni in maniera più ampia rispetto a quanto non si sia fatto finora permetterebbe di progettare servizi molto più personalizzati senza dovere, nel contempo, complicare eccessivamente la gamma delle opzioni: se si acquista un biglietto aereo on line, ad esempio, l’utente potrebbe scegliere se prenotare anche un albergo o noleggiare una macchina e, visto che il sistema già conosce la destinazione, gli potrebbero essere presentate rapidamente delle proposte o dei link utili.
Ancora più complessa è la sfida della gestione delle relazioni con comunità reali e virtuali: l’impresa deve possedere la capacità di collegare le due tipologie di comunità e di bilanciare gli elementi di natura sociale con quelli di natura economica; i luoghi dell’acquisto sono anche, e forse soprattutto, luoghi di socialità, di relazioni interpersonali di grande importanza, di creazione di identità sociale, per cui l’approccio “comunitario” risulta essere fondamentale per sostenere il flusso stesso degli acquisti.
Alla luce dei profondi cambiamenti sul fronte del consumo, delle tecnologie e delle sfide che tali mutamenti comportano per le imprese, appare opportuno riflettere sulla necessità di ripensare il modello di marketing tradizionale.
Nell’approccio di marketing classico la tecnologia era patrimonio dell’offerta che, di fatto, aveva un potere infinitamente superiore a quello della domanda finale: i clienti (effettivi o potenziali) venivano suddivisi in gruppi omogenei su cui erano attuate azioni mirate in termini di prezzo, promozione, distribuzione e prodotto, al fine di offrire il valore che il produttore riteneva idoneo per i diversi segmenti.
Nel caso dell’internet marketing la tecnologia è comune sia alla domanda che all’offerta, ma la sua valenza è principalmente di natura sostitutiva rispetto al mondo reale; in altri termini il marketing on line ipotizza che il cliente virtuale, più informato e razionale, sia una specie sociale diversa dal cliente tradizionale e che richieda un approccio ad hoc basato sulla co-produzione di valore in rete.
Nell’attuale scenario di mercato la tecnologia ha assunto direzioni impreviste ed ha moltiplicato il potere di scelta di un cliente on e off line, emotivo e razionale, bisognoso di socialità e al contempo spietatamente orientato alla convenienza.
Per affrontare questa nuova realtà è necessario disporre di un marketing capace di gestire una relazione forte coi consumatori in una prospettiva multicanale, all’interno della quale creare esperienze il più possibile coinvolgenti e personalizzate, sviluppando intense relazioni fiduciarie attraverso un’adeguata politica di marca.
Pertanto occorre superare la rigida logica funzionale e creare team interfunzionali, comprendenti figure professionali provenienti dal marketing, dal commerciale e dall’area tecnologica, con la duplice finalità di massimizzare la qualità globale dell’esperienza del cliente e di ripensare continuamente i fattori critici di successo nell’interazione con gli utenti. Secondariamente i processi di relazione sul cliente non possono essere affidati ai soli supporti tecnologici, ma devono in qualche modo compenetrare l’intera azienda.
In altri termini si tratta di creare un’organizzazione convergente composta da team che si possono attivare a partire dalla tradizionale struttura funzionale, in grado di sviluppare una profonda conoscenza del cliente e legati tra loro dal tessuto informatico che raccoglie, elabora e distribuisce le informazioni sul cliente.5. Conclusioni
In una prospettiva di marketing, il concetto di comportamento del consumatore identifica l’insieme delle reazioni degli individui in un contesto commerciale e, dunque, individua il “come” ed il “perché” essi acquistano ed utilizzano i prodotti, quali sono le loro reazioni di fronte al prezzo, alla pubblicità ed agli altri strumenti promozionali, quali sono i meccanismi che ostacolano o favoriscono il consumo.
Marketing e comportamento del consumatore sono territori strettamente affini: si può affermare, infatti, che il primo dipende dal secondo poiché gli operatori di mercato hanno bisogno di fornire risposte adeguate agli interrogativi che emergono in seguito alle azioni di marketing da loro stessi intraprese.
L’impiego di strategie come gli incentivi sui prezzi, le campagne pubblicitarie o il lancio di nuovi prodotti utilizzando nomi di marca già esistenti (estensione del marchio), è legato a precise ipotesi sulle reazioni del consumatore, come l’incremento degli acquisti.
Il successo di una campagna promozionale di sconti, però, dipende da quale incremento subiscano le vendite a fronte di una riduzione di prezzo; diventa allora necessaria una ricerca sistematica che fornisca una stima dell’entità delle possibili conseguenze, spiegando anche i meccanismi in base a cui queste stesse conseguenze si verificano. Contemporaneamente il Governo e, in particolare, le Autorità Garanti della Concorrenza e dei Mercati sono delegate a controllare il mercato ed a stabilire, ad esempio, regole sull’etichettatura dei prodotti, sulla correttezza in campo pubblicitario e sulla forma delle confezioni.
Solo un’accurata raccolta di dati sul comportamento del consumatore può rispondere alle domande poste dagli operatori di mercato e dalle competenti Autorità di Governo.
A questo fine entrano in gioco i metodi di ricerca di mercato, dell’analisi dei dati, della psicologia e delle scienze sociali.
Nel marketing, però, a causa della continua evoluzione del mercato, i responsabili non possono sempre aspettare gli esiti di studi ampi ed esaustivi per prendere le proprie decisioni, anche se è importante che essi siano pronti ad accogliere i nuovi dati man mano che questi si rendono disponibili: talvolta, infatti, anche strategie apparentemente efficaci possono necessitare di modifiche in seguito a nuove scoperte.
Alcuni dati oggettivi possono risultare particolarmente utili in quanto si adattano a molte situazioni diverse. Nel 1994, ad esempio, Ehrenberg, Hammond e Goodhart, analizzando un ampio numero di dati ricavati da precedenti ricerche di marketing, rilevarono che, una volta ripristinato il prezzo normale dopo uno periodo di sconti, le vendite tornano al livello pre-promozionale. Ma se da un lato promozioni capaci di aumentare le vendite del 50% o più non producono effetti duraturi, dall’altro quest’azione genera nuovi clienti per il marchio.
La ricerca di mercato sul consumatore si trova alla base di gran parte del marketing e delle analisi economiche ed è l’elemento
centrale nella strategia del management. Ma, nonostante il paradigma cognitivo sia molto diffuso quale spiegazione del comportamento di consumo, non tutti ritengono che ad esso possa essere attribuita
una capacità esplicativa generalizzata.
Olshavsky e Granbois osservano che “per molti acquisti non si prende mai una decisione, nemmeno nel caso si tratti di un primo acquisto (...), anche nel caso in cui l’acquisto viene preceduto da un processo di scelta questa è destinata con ogni probabilità a risultare molto limitata”.
E’ comunque vero che le esperienze passate e le caratteristiche della situazione di consumo possono sostituirsi al processo decisionale: gli esperti di consumo sono d’accordo sul fatto che una parte del comportamento di consumo dipende da fattori intrinseci alla situazione di consumo, mentre l’altra parte è intenzionale e conseguente ad una pianificazione consapevole.
Affinché il consumatore sia libero è necessario sapere che egli può scegliere senza pressioni di alcun genere tra più opzioni e che, al limite, ha la possibilità rifiutare tutte le proposte qualora nessuna risulti gradita.
In molti settori la tecnologia sovrasta il consumatore così da limitarne la scelta per carenza di informazione; altre volte può esserci poca libertà di azione a livello di prodotto, come nel caso della benzina per l’auto o di marche quasi identiche tra loro, per cause come la frustrazione, ossia la condizione in cui la motivazione viene bloccata creando una situazione limite in cui non esistono opzioni di scelta praticabili, o per via di abitudini che escludono determinate alternative: da una distribuzione circoscritta, in particolare nelle economie sottosviluppate, alla dipendenza psicologica da prodotti come sigarette e alcolici.
In altri ambiti è la scarsità di offerta a fare in modo che la gente non abbia la possibilità di fare ciò che desidera, come nei settori delle case spaziose e delle macchine di lusso che solo pochi possono permettersi.
La tesi della sovranità del consumatore, quindi, è indubbia solo se ci si focalizza sullo studio in settori in cui i produttori devono competere tra loro per conquistarsi la propria base di clientela. Si tratta di settori importanti che incorporano aspetti particolari del comportamento del consumatore, ma che costituiscono pur sempre una descrizione non esaustiva dell’argomento “consumo”.
Bibliografia:
. “Come pensano i consumatori”, Gerald Zaltman, 2003, Etas
. “Clienti e consumatori”, Laurie Windham e Ken Orton, 2002, Apogeo
. “Consumatore e processo. La tutela degli interessi collettivi dei consumatori. Atti del convegno (Torino, 28-29 maggio 2004)”, 2005, Giappichelli editore. “I diritti dei consumatori e l’Europa”, Anna Bartolini, 2003, BUR
. “Comportamento del consumatore”, Robert East, 2003, Apogeo
. “CRM. La guida completa per l’analisi e il miglioramento dei processi CRM”, Francoise Tourniaire, 2003, McGraw Hill
. “Il libro dell’economia partecipativa. La vita dopo il capitalismo”, Albert Michael, 2003, Il Saggiatore, (La Cultura), Milano
. “Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo solidale”, Francesco Gesualdi, 2005, Feltrinelli editore
. “La psiche del consumo. Consumatori, desiderio e identità”, Giovanni Siri, 2001, Franco Angeli editore
La Dott.ssa Maria Richichi
Tesi :"IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE E L'ANALISI DI MERCATO "
di Maria Richichi
a cura di Maria Richichi