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Relazioni Tesi e Saggi

 

 

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Facoltà di Architettura
Corso di laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica ed Ambientale

L’erosione costiera in Calabria:
proposta di Piano Regionale di tutela delle coste
ed interventi sul litorale di Roccella Jonica (RC)

Relatore: Prof. Arch. Enrico Costa
Laureando: Federico Curatola
Anno Accademico: 2004-2005

“La linea di battigia non è altro
che un equilibrio tra protendimento ed erosione”

 

Premessa

Molti sono i motivi per i quali nel corso dei secoli gli uomini hanno scelto di vivere nelle zone di confine tra terraferma e mare, ignorando più o meno coscientemente i rischi di questa decisione. I popoli più evoluti hanno tenuto conto dei pericoli connessi a tale scelta conservando a tergo della costa, ove possibile, una zona di rispetto tra il mare e i loro insediamenti abitativi. Altri popoli hanno pagato e ancora oggi pagano a caro prezzo i benefici offerti dalla vicinanza del mare per la scarsa e superficiale conoscenza dei fenomeni naturali che governano l'equilibrio ambientale costiero.
Anche se negli ultimi 50 anni sono state sviluppate teorie deterministiche e probabilistiche che consentono di prevedere, con fasce fiduciarie accettabili, il verificarsi di eventi estremi, anche con periodi di ritorno elevati, di tali previsioni si è tenuto poco conto.
A fronte di un progressivo sviluppo di conoscenze per pianificare meglio l'uso del territorio costiero si è riscontrata anacronisticamente una maggiore spavalderia nell'indiscriminata utilizzazione della fascia costiera con la non lieve conseguenza di dover fronteggiare gravi problemi di conservazione delle condizioni originarie. L'equilibrio dell'ecosistema costiero, infatti, che risulta governato da varie componenti ambientali (acqua, terra, fauna, flora), è stato definito dalla natura nel corso dei secoli e presenta particolare complessità a causa della diversa occorrenza dei fenomeni idrodinamici che lo caratterizzano (corsi d'acqua, maree, correnti, moto ondoso).
Come è noto tra gli effetti più catastrofici della rottura di detto equilibrio figura il fenomeno di arretramento della costa, sulle cui cause esiste un’ampia letteratura.
Sembra però utile sottolineare che, limitandoci al nostro Paese, il 32% delle spiagge, che a loro volta costituiscono il 45% dell'intero perimetro costiero italiano (8.000 km) presenta sintomi preoccupanti di erosione.
La conservazione del territorio costiero è stata una delle prime necessità dello sviluppo urbanistico rivierasco fin dall'inizio dell'epoca storica, come testimoniano i resti subacquei di Opere marittime a protezione degli insediamenti dei primi popoli mediterranei (Fenici, Greci, Romani).
La domanda di protezione, che si è andata sviluppando nel tempo in misura più che proporzionale all’utilizzazione della fascia costiera, è dovuta essenzialmente a due ordini di motivi, spesso coesistenti: la salvaguardia dalle inondazioni marine e dalle macroscopiche divagazioni del litorale, la razionale utilizzazione delle acque costiere per la pianificazione del territorio. La storia della pianificazione costiera è improntata alla soddisfazione di queste esigenze ed è punteggiata da insuccessi e da esperienze positive. Queste ultime, ottenute sulla base dello studio dei primi, hanno costituito tappe determinanti per l'avanzamento delle conoscenze sui fenomeni di interazione tra l'ambiente meteomarino e le opere di difesa e sulle condizioni di stabilità di queste. Oggi però alla necessità di realizzare sistemi di difesa sempre più efficienti si associa quella di modificare irrimediabilmente il paesaggio costiero, sulla cui conservazione esiste una sensibilità dell'opinione pubblica e dei tecnici tanto maggiore quanto più pregevole è la zona su cui sono richiesti gli interventi. Dall'altra parte la consapevole conoscenza del rischio di danneggiamento da parte dei diversi stati di mare costituisce anch'essa un bagaglio indispensabile per qualsiasi tipo di concepimento o di miglioria in materia di opere di protezione. La ricerca di eventuali miglioramenti da apportare alle soluzioni già note deve dunque tener conto di un numero di condizioni al contorno molto elevato, alcune delle quali dipendono da scenari di pianificazione quanto meno diversi da zone a zone. Si tratta in altri termini di ricercare la compatibilità tra la finalità e lo sviluppo delle opere con la conservazione delle risorse ambientali marine. È, infatti, inaccettabile pensare che in nome della difesa della natura e dell'ambiente si possa chiedere di ritardare il "raggiungimento" di più sicure e piacevoli condizioni di vita (balneazione, diporto nautico, ecc.), come è impensabile che tali condizioni possano sopravvivere in un ambiente soggetto a sfruttamento urbanistico indiscriminato o malamente vincolato.
La triplice spinta alla balneazione, al diporto nautico e alla residenza "sportiva" ha portato qualche volta in Italia, ma più spesso all'estero ad alcune soluzioni ottimali di opere costiere alternate a spiagge attrezzate, ad approdi stagionali e piccole residenze che soddisfino le esigenze elencate. Da questi esempi se ne ricava che un ragionevole uso dell'ambiente e del territorio sia marino che costiero consiste nel conciliare le necessità umane e l’utilizzazione sociale del mare con la promozione di una qualità architettonica proporzionata alla riorganizzazione funzionale di uno spazio litoraneo nel quale tuttavia sia il mare a proiettare sulla terraferma la logica delle proprie modalità di azione.


Quadro normativo e competenze in materia


Il processo di concentrazione della popolazione e delle attività umane lungo i litorali (che ha dimensioni planetarie ma è particolarmente evidente in aree costiere già fortemente popolate come quelle mediterranee) ha da tempo richiamato l'interesse di discipline diverse e messo in luce la necessità di predisporre opportune politiche di governo.
Già negli anni Cinquanta e Sessanta, lungo le coste italiane si assisteva a una proliferazione spontanea di aree urbanizzate in continua crescita che ha prodotto gli irreparabili danni che oggi tutti riconoscono; in Francia invece si producevano analoghe operazioni di pianificazione dello sfruttamento turistico di intere regioni costiere, con esiti non sempre felici nelle scelte localizzative e nella produzione architettonica, ma, nel complesso, positivi e di grande significato esemplare, perché capaci di conciliare lo sviluppo economico con la salvaguardia di vaste aree naturali, e di impedire la costituzione del continuum urbanizzato in fregio alla costa.
Il principio della crescita continua, teoricamente illimitata, che ispirava quelle metodologie d'intervento, è ormai superato dalla consapevolezza che lo sviluppo non sempre coincide con la crescita fisica, e certamente non vi coincide nell'attuale condizione delle coste europee mediterranee, già pesantemente urbanizzate.
Resta invece valido l'altro principio informatore della pianificazione delle coste, che vuole l'inevitabile trasformazione del territorio supportata da adeguate misura di controllo della crescita e di indirizzo dello sviluppo.
La specificità della zona costiera come zona "sensibile", come risorsa irriproducibile e sempre più ridotta ha portato alla sviluppo di strumenti legislativi e all'approfondimento di tecniche di pianificazione specifiche.
A partire dal Coastal Zone Management Act approvato dal governo federale degli USA nel 1972 sino ai più recenti schemi di Integrated coastal and marine areas management (UNEP,1995), il modello di pianificazione che emerge è costituito dal coordinamento fra piani di diversa natura cui contribuiscono ai rispettivi livelli i vari enti (dal governo nazionale alle amministrazioni locali) e che necessita di una diffusa sensibilizzazione e coinvolgimento del pubblico e degli operatori privati.
A livello internazionale possono distinguersi due filoni di attività: quello che riguarda la stipula di accordi e convenzioni e quello che attiene la predisposizione di piani relativi ad ambiti sovranazionali.
La stipula di accordi internazionali ha riguardato già all'inizio del secolo scorso lo sfruttamento delle risorse ittiche, per poi spostarsi successivamente sulle questioni relative allo sfruttamento del fondo e del sottofondo marino.
Negli ultimi decenni gli accordi si sono principalmente rivolti alla lotta contro l'inquinamento marino (MARPOL) e alla conservazione di ambienti costieri che necessitano una particolare protezione (RAMSAR). Nell'ambito specifico del Mediterraneo è obbligo richiamare la Convenzione di Barcellona (1978) e i successivi protocolli che da questa discendono.
Ad un altro livello si pone il documento uscito dalla Conferenza di Rio del 1992, la cosiddetta Agenda XXI, che individua il quadro delle azioni, di natura economica, sociale, ambientale su cui i governi si impegnano nell'ambito della prospettiva dello sviluppo sostenibile.
Nell'Agenda XXI uno specifico capitolo è dedicato ai mari e alle zone costiere, con particolare attenzione ai problemi dell'inquinamento, della pesca, dell'innalzamento del livello del mare, delle piccole isole delle zone tropicali.
A livello di pianificazione è importante richiamare l'attività del Piano d'azione del Mediterraneo, promosso dalle Nazioni Unite, che ha prodotto importanti documenti quali il Plan Bleu - che definisce le prospettive di sviluppo del bacino mediterraneo - e ha curato la redazione di documenti impostati sui principi della gestione integrata (come il Piano per l'isola di Rodi).
A livello comunitario, l'attenzione per i problemi delle zone costiere, che data almeno dal 1973 (Raccomandazioni circa la protezione delle zone costiere) è stata confermata nel V Programma d'azione (1993) e nei documenti prodotti nell'ambito di programmi specifici (ENVIREG, LIFE).
L'attenzione, oltre agli aspetti ambientali che coinvolgono l'insieme dei paesi membri, è specificatamente rivolta, per i paesi del Mediterraneo, a controllare l'uso indiscriminato del suolo costiero laddove lo sviluppo turistico rappresenta la principale opportunità di sviluppo economico. Tale tendenza è confermata anche dal programma dimostrativo lanciato nel 1996 dalla Commissione Europea sulla Gestione Integrata delle Zone Costiere concentrato, per il Mediterraneo, nelle zone obiettivo 1.
In Italia la situazione della pianificazione costiera risulta ancora estremamente contraddittoria e frammentata tra le diverse competenze dello Stato, delle Regioni, dei Comuni.
La prima Legge italiana in materia di difesa delle spiagge è la n. 542 del 14 luglio 1907 ed i principi fondamentali espressi in merito sono condensati nell’art. 14 e possono esser così riassunti:
“per opere di difesa delle spiagge si intendono pennelli di imbonimento, dighe di protezione "ed ogni altra opera che abbia lo scopo di arrestare il processo di corrosione; alla esecuzione di tale opere si provvede soltanto su domanda del Comune interessato ed a cura dello Stato, quando "si tratti di difendere gli abitati dalle corrosioni prodotte dal mare; la spesa è per 3/4 a carico dello Stato ed 1/4 a carico del Comune interessato il quale può a sua volta cointeressare, per non oltre 1/3 della propria quota (1/12 del totale), i privati "direttamente beneficiati dalle opere eseguite"; la manutenzione delle opere "è obbligatoria e posta ad esclusivo carico del Comune"”.
Il dettaglio procedurale e la ricchezza di contenuti della Legge 542/1907 costituiscono un punto di riferimento giuridico ancora valido e vigente.
La legge 31 dicembre 1982 n° 979, che disponeva un "Piano Mercantile Generale di difesa del mare e delle coste", redatto dal Ministero della Marina d'intesa con le Regioni, avrebbe dovuto segnare una svolta importante nella gestione delle politiche di tutela dell'ambiente marino e costiero. Purtroppo di questo piano si è ancora in attesa. Un altro contenuto della legge, l'individuazione delle aree di riserva marina, ha invece avuto un progressivo sviluppo attuativo, almeno per quel che riguarda l'istituzione delle riserve stesse, mentre più problematico appare l'avvio delle singole gestioni.
Relativamente al territorio costiero emerso, al di là della generica individuazione della fascia costiera dei primi 300 metri come bene da sottoporre a vincolo paesaggistico, fissata dalla Legge 8 agosto 1985, n. 431 (Legge Galasso), non esistono in Italia, contrariamente a quanto succede in altri paesi, indirizzi o misure di tutela attiva che permettano di contrastare la sempre crescente domanda di trasformazione del suolo costiero.
Analogamente l'occupazione progressiva del demanio marittimo può essere ricondotta, al di là dei diffusi fenomeni di abusivismo, alla carenza di efficaci criteri di gestione orientati alla tutela dell'uso pubblico e degli spazi sensibili.
La legge che regolamenta oggi la materia è la n. 183 del 18 maggio 1989, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” che in particolare all’art. 3 disciplina “Le attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione” e nel comma 1g esplicita “la protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi”. La stessa legge e le sue successive modificazioni, hanno previsto l’istituzione delle Autorità di Bacino Nazionali, Interregionali e Regionali.
Questo mutamento del quadro giuridico, che ha comportato il passaggio delle principali competenze sulla costa dallo Stato alle Regioni, ha inoltre comportato l’individuazione del livello regionale come ottimale per l’attuazione di politiche di pianificazione e gestione integrata della costa. In base a queste nuove responsabilità, le Regioni, attraverso le Autorità di Bacino, hanno redatto i Piani di Assetto Idrogeologico, strumento importante di analisi, di valutazione dei rischi e di individuazione di metodologie per la mitigazione di questi ultimi. La competenza regionale in materia è attribuita in maniera definitiva dalla Legge 31 luglio 2002, n. 179 "Disposizioni in materia ambientale": art. 21 comma 1: Autorizzazione per gli interventi di tutela della fascia costiera. “Per gli interventi di ripascimento della fascia costiera, nonché di immersione di materiali di escavo di fondali marini, o salmastri o di terreni litoranei emersi all'interno di casse di colmata, di vasche di raccolta o comunque di strutture di contenimento poste in ambito costiero, l'autorità competente è la Regione”.

 


L’erosione costiera in Calabria

La fascia costiera calabrese, nella quasi generalità dei casi, è sottoposta ad un notevole e diversificato intervento dell’uomo. Una pressione antropica dovuta a una molteplicità di usi, spesso tra loro conflittuali, che hanno finito per arrecare gravi danni alle risorse costiere ed a compromettere lo sviluppo dell’economia complessiva.
L’intensa cementificazione delle coste, la realizzazione di varie tipologie di opere costiere e marine ad alto impatto, le reti di trasporto che si sono sviluppate in modo disordinato e senza alcuna pianificazione, hanno contribuito a definire il grave quadro attuale. Per modificare questo quadro e lenire i problemi riscontrati su tutto il litorale calabrese è indispensabile compiere un’analisi dei sistemi antropici e naturali che influenzano la zona costiera, individuare tutti i possibili usi delle risorse definendo i limiti e le potenzialità in termini di sostenibilità ambientale, coinvolgere tutti gli attori locali, istituzionali e non, interessati alla gestione di tali risorse.



Figura 1. In rosso i Comuni interessati dall'erosione

Le problematiche riscontrate

Le spiagge, in una regione tettonicamente “tranquilla”, sono il risultato di un complesso e delicato equilibrio che si stabilisce sul litorale determinato dall’azione combinata del moto ondoso, delle correnti marine e di altri fattori secondari che, in continua dinamica evolutiva, distribuiscono e modellano gli apporti solidi della terraferma immessi dai corsi d’acqua o prodotti dalla disgregazione delle coste alte.
La Calabria, è invece una regione geologicamente molto giovane, con un’attività neotettonica importante (con velocità di sollevamento che raggiungono anche valori di 0.8-0.9 mm/anno).
Di conseguenza, lungo molti tratti delle sue coste, sono in atto significativi sollevamenti, mentre altre aree sono soggette ad abbassamento. Ciò determina la mancanza di una stabile piattaforma continentale; pertanto, in alcuni tratti di costa, il raggiungimento del suddetto equilibrio risulta problematico, essendo i materiali, prodotti dall’erosione o trasportati dai torrenti, in precario equilibrio granulometrica e quindi soggetti a trasporto e non a deposito. Questo crea smottamenti sottomarini che sottraggono in modo definitivo i sedimenti del litorale.
A questa serie di fenomeni naturali è da aggiungere l’azione antropica che nell’attuale degrado del sistema costiero non ha certo recitato il ruolo di comparsa.
E’ quindi evidente che il problema dell’erosione costiera ha assunto proporzioni allarmanti danneggiando maggiormente quei comuni che vivono di turismo estivo, basato sull’esistenza stessa della spiaggia. Infatti i gravissimi dissesti provocati dagli eventi erosivi, hanno alterato le naturali caratteristiche e depauperato l’amenità d molte aree litoranee, anche rinomate.

Analisi delle coste calabresi

La Calabria presenta uno sviluppo costiero di circa 740 Km ed una fisiografia del litorale variabile, con le spiagge (615 km circa) che prevalgono sulla costa alta (125 Km circa).
Sul versante Tirrenico sono ubicate le grandi spiagge sabbiose, le spiagge ciottolose sono localizzate in prevalenza lungo la porzione di litorale Jonico che si affaccia sul golfo di Taranto. Su entrambi i versanti si rinvengono, altresì, numerose e variamente distribuite, sottili spiagge sabbiose alimentate dalle fiumare. I litorali con costa alta sono concentrati lungo il versante Tirrenico, tranne qualche sporadico episodio su quello jonico.
Le modificazioni che subiscono le aree costiere calabresi per effetto dei fenomeni di erosione hanno da tempo destato serie preoccupazioni per il rischio che essi comportano sia per gli insediamenti umani e per le strutture turistiche che per le grandi infrastrutture di trasporto.
Alla base dei processi erosivi stanno, com’è noto, molteplici fattori. Le notevoli ampiezze delle onde in alcuni periodi dell’anno, i processi di rifrazione del moto ondoso, le variazioni climatiche, i mutamenti dei percorsi fluviali nelle zone di foce, il trasporto longitudinale e trasversale dei sedimenti marini, ma anche le cause antropiche dell’erosione delle coste hanno, effetti commensurati alle attività dell’uomo. Basti citare al riguardo i lavori estensivi di rimboschimento nei bacini montani, i rinfoltimenti, la sistemazione ed il rivestimento vegetale di terreni franosi, le escavazioni in alveo di sabbia e ghiaia che depauperano gli apporti detritici dei fiumi al mare; la costruzione di manufatti lungo i litorali, che allontanano i getti di foce dalla spiaggia e impediscono i trasferimenti lungo le coste; l’estrazione incontrollata di acqua dal sottosuolo, che determina effetti di subsidenza; la costruzione di casse di espansione delle piene che sottraggono sedimenti fluviali al mare; la distruzione di barre sabbiose naturali sommerse e delle dune costiere, che espone le spiagge all’azione violenta del moto ondoso.
Tra le cause antropiche è opportuno ricordare gli stessi interventi strutturali come alcuni porti ed altri interventi messi in opera per contrastare l’erosione stessa, progettati però spesso su indicazioni di studi insufficienti e carenti della comprensione dei meccanismi della dinamica meteomarina che, se, da un lato, hanno sortito l’effetto voluto per le aree interessate dall’intervento, dall’altro hanno accentuato, se non addirittura innescato, i processi erosivi lungo tratti di litorale contigui.

Metodologie e criteri per la valutazione del Rischio

Alla data odierna non si dispone ancora di adeguate conoscenze di dettaglio in ordine alla batimetria, al trasporto longitudinale e trasversale dei sedimenti marini; mancano le reti di monitoraggio relativi alla mareografia, peraltro poco diffuse in tutto il Paese; scarse sono le conoscenze relative alla morfologia ed alla sedimentologia marina.
Per questi motivi la Regione Calabria ha avviato la realizzazione di una “Indagine conoscitiva dello stato delle conoscenze delle coste calabresi, predisposizione di una banca-dati dell’evoluzione del litorale e individuazione delle aree a rischio e delle tipologie di intervento – studi su aree campione e previsione delle relative opere di difesa”. L’indagine ha previsto lo studio particolareggiato per 26 siti campione, con rilievi topografici e batimetrici per uno sviluppo complessivo di litorale di 100 Km nonché indagini di vario tipo tra cui quelle sedimentologiche. In particolare è stato previsto lo studio dei climi di moto ondoso al largo e sottocosta; lo studio del trasporto litoraneo; lo studio del regime del litorale e l’individuazione delle zone critiche; la realizzazione di un sistema informativo; la individuazione e programmazione di interventi.
Il problema dell’erosione costiera richiede dunque un approccio sistemico all’analisi delle dinamiche fluviali e marine nell’ottica dell’ unitarietà del bacino idrografico e degli ambiti costieri sottesi, che esula dalle finalità specifiche del PAI. Ciononostante, in conseguenza delle considerazioni predette, la quantificazione dei processi di variazione della linea di costa e la valutazione del rischio ad essi connesso, benché non espressamente previsti dalla normativa vigente, sono stati assunti come obiettivi del PAI.
E’ stato realizzato pertanto un primo dossier sul rischio di erosione costiera che ha alla sua base la definizione qualitativa delle matrici di pericolosità, dedotta dall’analisi dell’evoluzione della linea di riva, e di vulnerabilità, sulla base delle informazioni relative ai danni arrecati dalle mareggiate ed alla loro frequenza. Da queste è stata dedotta la matrice di rischio.
La valutazione quantitativa delle modificazioni delle aree costiere è stata condotta attraverso l’analisi delle variazioni della linea di riva espresse in termini di avanzamento/arretramento nell’arco arco temporale 1954 -1998.
La ricostruzione geometrica della linea di riva è stata dedotta dalla cartografia a scala 1:10.000 CASMEZ, 1956 (volo IGM 1954), dalle ortoimmagini digitali a colori della CGRA del 1998, nonché dalla levata aerea SCAME 1978 realizzata dalla Regione Calabria.
Le variazioni della linea di riva hanno consentito di valutare il bilancio apporti/ prelievi che risulta positivo o negativo, a seconda che i materiali che costituiscono le spiagge, depositati nelle fasi di sedimentazione, siano superiori o inferiori ai materiali asportati nelle fasi di evacuazione.
Particolare attenzione è stata posta all’individuazione della linea di separazione spiaggia asciutta/spiaggia bagnata che consente di superare la difficoltà connessa alle periodiche variazioni del livello del mare ed alla univoca determinazione della linea di riva. Il problema ha trovato soluzione attraverso l’osservazione delle variazioni di tono nelle ortoimmagini digitali a colori del 1998.
L’ operazione successiva è consistita nel raffronto con la linea di riva 1954 dedotta dalla Carta Tecnica 1:10.000. Controlli intermedi sono stati eseguiti per raffronto sia con documentazione a carattere storico (rilievi delle Ferrovie del 1875) che con fotogrammi della ripresa aerea eseguita dalla Regione Calabria nel 1978.
Il raffronto digitale mediante overlap tra i due strati informativi predetti, riferiti al medesimo sistema di coordinate, ha consentito la misurazione di lunghezze di tratti in erosione od in ripascimento utilizzando il software GIS Geomedia professional. Il grado di approssimazione è stato sufficiente per il livello di analisi prescelto e per la scala adottata (1:10.000).
L’analisi multitemporale dell’evoluzione della linea di riva ha riguardato l’intero perimetro costiero calabrese e fa seguito agli studi già avviati dalla stessa Regione Calabria (Veltri, 1999) i cui risultati hanno rappresentato la base di partenza.

Proposta di Piano Organico di Riassetto del Territorio Costiero

 

La situazione delle coste calabresi ed il fallimento delle azioni puntuali e non pianificate, suggeriscono la necessità e l’urgenza di esaminare il fenomeno a più larga scala e con maggiori livelli di approfondimento, al fine di procedere alla definizione di un futuro Piano Organico Regionale in cui le tipologie d’intervento risultino opportunamente inserite in una strategia di controllo, sviluppo e riqualificazione della fascia costiera.
Appare evidente la necessità di studiare i fenomeni erosivi per pervenire alla conoscenza del regime del litorale, per valutare ex ante la prevedibile evoluzione, mediante l’analisi quantitativa dei fattori che concorrono alla dinamica costiera. Ciò significa disporre anzitutto un’analisi dettagliata del sistema costiero allo stato attuale e successivamente attivare una politica di gestione atta a pianificare interventi per la tutela, la conservazione e la riqualificazione della fascia costiera. Contestualmente va equilibrata la pressione edilizia e demografica, valutando l’impatto di ogni singola iniziativa che possa apportare significative modificazioni all’ambiente costiero prima che essa venga realizzata.

Idea guida per la definizione del Piano

L’assetto morfodinamico delle coste, dipende da più fattori, tra cui vanno ricordati: il contesto geologico, il clima, il regime fisico, l’apporto sedimentario e gli interventi antropici.
I criteri fondamentali del Piano devono essere forniti da un’approfondita e sistematica analisi della dinamica dei litorali e del comportamento della fascia costiera e, nel contempo, dalla formulazione di indicazioni strategiche a medio e lungo termine per la gestione del territorio costiero.
Essendo l’analisi che precede un Piano settoriale per le coste, dovrebbe riguardare in particolare: le caratteristiche morfologiche e sedimentologiche della fascia costiera; le caratteristiche meteomarine ed idrodinamiche al largo ed in prossimità della costa; la valutazione del trasporto solido fluviale ed una particolare attenzione va conferita all’analisi prognostica dell’evoluzione della spiaggia emersa e sommersa per i tratti di maggior pregio turistico-ambientale.
Dal momento che l’obiettivo è quello di fornire elementi di pianificazione costiera attraverso una preventiva conoscenza della situazione geologicosedimentologica ed oceanografica delle coste in esame, è ovvio che base imprescindibile di questa prospettiva diventa l’analisi sistematica di tutti i fattori che concorrono al regime dei litorali e dei corsi d’acqua tributari i mari Tirreno e Jonio lungo la costa calabra. Pertanto, le attività necessarie alla definizione del Piano, devono essere finalizzate ai seguenti obiettivi: ottenere un affidabile quadro conoscitivo sull’assetto morfo-dinamico delle coste calabre; definire un programma di interventi finalizzati alla difesa, alla conservazione ed allo sviluppo in termini turistici della fascia costiera; formare il personale delle strutture tecniche regionali per consentire il trasferimento, l’utilizzo e la gestione operativa del patrimonio informativo esitato dal progetto; costruire un Sistema Informativo Territoriale Costiero Regionale per aggiornare in modo agevole e corretto, le informazioni sull’evoluzione delle coste.


Figura 2. Roccella Jonica: il lungomare


Le Opere di difesa dall’erosione costiera:il caso di Roccella Jonica

 

Roccella Jonica, cittadina di quasi 8.000 anime situato lungo l’alto litorale jonico reggino, rientra tra i Comuni calabresi che, come emerge dal P.A.I., è fortemente toccato dal problema dell’erosione costiera. Le cause di questo fenomeno sono comuni alla quasi totalità dei centri interessati: il mancato apporto di sedimenti verso costa causato dall'alterazione dei cicli sedimentari per intervento antropico nei bacini idrografici (sbarramenti fluviali, regimazioni idrauliche, estrazioni di materiali alluvionali) ed influenza sulla dinamica litoranea dei sedimenti intercettati dalle opere marittime (quasi sempre portuali) e delle infrastrutture viarie e urbanistiche costiere.


Figura 3. Localizzazione rispetto al litorale provinciale


L’erosione costiera che interessa la cittadina jonica è da imputare principalmente al porto, costruito tra Roccella Jonica e Caulonia Marina. Storicamente, si è rilevato che sotto l’azione delle correnti, il mar Jonio ha sempre teso a sottrarre la spiaggia, ma tornata la bonaccia l'ha poi restituita. Dal momento in cui è stato costruito il porto, realizzato non sulla terra ferma, ma proiettando le sue strutture all'interno delle acque marine e probabilmente trascurando l’andamento delle correnti, si è innescato il pericoloso processo di erosione. Infatti quando le correnti si muovono in direzione nord-sud, da Catanzaro verso Reggio Calabria, la sabbia viene sospinta fino allo sbarramento artificiale di Roccella e lì si deposita. Quando le correnti hanno direzione inversa è lo stesso sbarramento a non consentire alla sabbia di ritornare nel luogo di partenza con il rischio concreto di insabbiamento dell’imboccatura portuale (fig.)



Figura 4. Schema dell'erosione

Le problematiche correlate all’erosione non riguardano solo l’abitato di Roccella ma anche quello di Caulonia Marina come si evince dalla Tav. 2 – Evoluzione della linea di riva.
Lo studio ha seguito le linee guida indicate dal PRG: un intervento che protegga, ripristini e valorizzi le spiagge a ridosso al centro abitato ed una proposta che miri allo sviluppo turistico-ricettivo e ricreativo del litorale.



Figura 5. Ortofoto che raffigura le zone di erosione e ripascimento sul litorale di Roccella Jonica


L’INTERVENTO A DIFESA DELLA COSTA: ANALISI

La fase di analisi è propedeutica all’intervento e consta di tre momenti:
a) Rilievo topografico e batimetrico;
b) Misure mareografiche e del moto ondoso;
c) Indagini geologiche e prove di laboratorio;
Con riferimento alle funzioni e alle tipologie delle opere di difesa e partendo dalle soluzioni ormai consolidate dall'esperienza giova far presente che un ausilio, tutt’altro che trascurabile, per la progettazione e l’esecuzione delle stesse è reperibile nelle "Istruzioni tecniche per la progettazione e l’esecuzione delle opere di difesa costiere" approvate dall'Assemblea Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, frutto di meditate riflessioni da parte di Esperti del settore e Dirigenti di uffici consultivi, di provata capacità in materia.
Anche nelle succitate istruzioni si ravvisa una linea di tendenza dominante che deve essere fatta propria da coloro che sono chiamati a svolgere i compiti della protezione dall’erosione costiera e che non è mai superfluo richiamare. Si tratta di acquisire una visione globale della difesa e cioè di far prevalere il criterio di procedere alla protezione attraverso "sistemi integrati" di opere (non attraverso singoli interventi) che possono essere anche di tipologia diversa tra loro. Nel sistema possono rientrare sia le opere “rigide”, sia quelle “modellabili” o “morbide” dal punto di vista strutturale; sia quelle ubicate parallelamente (foranee, radenti) che ortogonalmente alla linea di costa iniziale (pennelli) ed infine i ripascimenti artificiali, più o meno protetti al piede.
Tutte presentano una comune caratteristica che è quella di essere ubicate in quella zona di mare in cui i fenomeni idrodinamici raggiungono maggiore complessità e cioè la zona delle "acque basse" (surf zone).
Storicamente i sistemi “di difesa” hanno preceduto quelli “di ripascimento”, per motivi facilmente comprensibili, che vanno dalla possibilità di limitare gli interventi alle sole zone interessate dai fenomeni erosivi a quella di un’agevole misura e contabilizzazione e alla certezza di un’efficacia prolungata nel tempo. Peraltro anche i ripascimenti possono dare luogo a ripercussioni sfavorevoli da considerare in fase progettuale.
In primo luogo è da considerare che per una reale efficacia dell'intervento è preferibile impiegare materiale di granulometria superiore a quella presente sulla spiaggia emersa (secondo alcuni Autori di diametro medio almeno doppio). In caso contrario si verifica un incremento della capacità di trasporto del moto ondoso,



Figura 6. Valutazione quantitativa degli effetti di Opere di difesa

con necessità di interventi manutentivi frequenti e costosi. Può inoltre aversi un peggioramento delle caratteristiche di fruibilità della spiaggia. Ciò induce a sconsigliare in molti casi l'impiego di materiale proveniente dai fondali marini, poiché necessariamente esso deve essere prelevato a profondità tali da non ingenerare turbativa alla spiaggia. Occorre cioè escludere dall'area di possibile prelievo tutta la spiaggia “attiva”, che comprende la fascia di possibili movimenti trasversali (si rammenta che l'estensione della fascia è piuttosto ampia e dipende dalla posizione della linea dei frangenti; nelle condizioni mediterranee il limite si può collocare fra i -10 m e i –15 m.s.m.).
Talvolta anche questa precauzione può rivelarsi insufficiente, perché l'escavazione di profonde fosse al largo può ingenerare fenomeni di rifrazione tali da perturbare le condizioni di attacco del moto ondoso; nella letteratura tecnica sono illustrati casi nei quali la linea di battigia ha assunto una forma arcuata, a fronte del precedente assetto praticamente rettilineo, a causa delle mutate condizioni meteomarine in acque basse.
Un altro punto molto importante da richiamare, a proposito dei prelievi da mare, è che i volumi da movimentare sono in generale molto superiori (da 2 a 3 volte) a quelli strettamente necessari a causa del fenomeno denominato “overlifting” cioè delle perdite immediate di materiale in fase di trasporto e di sversamento. Ciò significa che le cave sottomarine possono assumere grande estensione, con ripercussione non trascurabili sull'ambiente sommerso (fauna e flora).
Infine è da considerare che i problemi di manutenzione di un ripascimento morbido, se accettabili in una condizione di trasporto litoranee di modesta importanza, possono divenire insostenibili nel caso di trasporto litoranee rilevante. È stato più volte dimostrato che il costo “attualizzato” di interventi di difesa di puro ripascimento cresce rapidamente quando si riducono i tempi di asportazione del materiale versato per azione del moto ondoso. Ciò può giustificare ampiamente l'inserimento, all'interno di un intervento di ripascimento “puro”, di opere atte a limitare l'asportazione del materiale versato. Le indicazioni valide per assunzione di livello del mare sufficientemente costante, divengono ancora più chiare se si tiene conto dell'incremento di livello marino che determina per proprio conto un aumento della velocità di asporto del materiale.
Le considerazioni precedenti hanno spinto spesso ad eseguire ripascimenti con materiali estratti da cave terrestri e di granulometria anche molto grossolana. Si ottiene in tale modo una spiaggia artificiale senza dubbio più stabile, ma meno gradevole di quella originaria, anche se talora spesso mareggiate primaverili tendono a riportare sulla "base" grossolana il materiale più fine presente nella fascia intorno alla linea di battigia, conferendo alla spiaggia condizioni di buona fruibilità balneare.
Più spesso si è tentato di fare ricorso ai cosiddetti ripascimenti “protetti” e “controllati” unendo cioè all'intervento di apporto di materiale esterno una serie di opere tese a minimizzare le perdite, sia trasversali che longitudinali.
Il tipo di ripascimento “controllato” più prossimo a quello “puro” è quello che prevede il contenimento del piede del materiale versato con una barra artificiale di materiale di granulometria molto più elevata del materiale di riporto (al limite una vera e propria scogliera). La barra ha lo scopo precipuo di fissare l'altezza limite dell'onda che può aggredire il ripascimento retrostante, provocando il frangimento di tutte le onde di altezza incompatibile con quella di sommità della barra stessa. Un altro risultato che si consegue con l'interposizione della barra è quello di concentrare su di questa i fenomeni dissipativi impedendo la messa in sospensione di rilevanti quantitativi di sabbia, che costituiscono una quota parte importante del trasporto longitudinale. La presenza della barra riduce quindi sensibilmente sia il trasporto trasversale che quello longitudinale. I problemi progettuali più importanti riguardano la quota di sommità della barra, che deve essere tale da non disturbare la balneazione (indicativamente almeno 1.50 m : 1.80 m al di sotto del livello di bassa marea), la sua lunghezza e la granulometria dei materiali costituenti.
Oggetto di studi deve essere anche il comportamento del materiale di ripascimento nella zona più prossima alla barra, ove si verificano i fenomeni più intensi di modellazione per interazione fra onde frangenti e materiali di diversa capacità di resistenza. L'impiego della barra al piede è stato abbastanza frequente in molte spiagge dette “sospese” (perched beaches) realizzate anche in prossimità di coste rocciose in Francia ed Italia per rendere più gradevole l'uso del litorale. Meno frequente è il suo impiego per interventi di grande estensione.
La progettazione di opere a difesa dall’erosione costiera dovrà essere preceduta da una campagna di rilievi batimetrici finalizzati alla definizione, alla scala idonea in funzione delle opere in progetto, delle caratteristiche geometriche dei fondali nelle zone contigue alle opere stesse. Tali rilievi dovranno essere estesi ad una congrua zona esterna all’intervento, da definirsi sulla base delle schematizzazioni utilizzate per la definizione del moto ondoso e dei fenomeni legati al trasporto litoraneo.

 

Proposta progettuale

La progettazione degli interventi dovrà comprendere l’esecuzione di specifiche indagini geognostiche, sempre in relazione alla consistenza dell’intervento, finalizzate alle verifiche di stabilità della fondazione (rottura suolo e cedimenti). Le indagini andranno approfondite nel settore a mare quando la configurazione del fondale fa presupporre un’indotta instabilità del complesso opera-litorale.
La progettazione dovrà essere elaborata anche tenendo in considerazione i popolamenti biologici dei fondali nell’area di influenza dell’opera progettata.
Il progetto deve inoltre contenere delle specifiche analisi sedimentologiche eseguite su campioni rilevati in sito sia sulla spiaggia emersa che sommersa, in numero totale e a distanza l’uno dall’altro rapportata all’estensione dell’opera in progetto. Deve essere valutata l’ampiezza della spiaggia sommersa che risulta coinvolta dai processi di trasporto solido litoraneo longitudinale e trasversale.
Gli interventi previsti per il litorale di Roccella Jonica sono:
a) Aumento della dimensione di pennelli;
b) Realizzazione di frangiflutti distanziati emergenti;
c) Collocazione di barriere soffolte;
d) Ripascimento morbido del litorale;
e) Monitoraggio costante degli interventi realizzati;

a) Aumento delle dimensioni dei pennelli di imbonimento.
I pennelli sono opere dotate di una certa permeabilità e vengono disposti all’incirca ortogonali alle rive, lungo litorali con forte trasporto solido longitudinale. Tali opere creano un avanzamento delle spiagge nelle zona sopraflutto come nel caso di Roccella Jonica. Per la loro costruzione vengono impiegati: scogli, fascine, legname, gabbioni d’acciaio, elementi di calcestruzzo. Sia dal punto di vista estetico che da quello ecologico non presentano particolari effetti negativi.


Figura 7. Esempio di "pennelli di imbonimento"

Il progetto di pennelli deve contenere le valutazioni di calcolo relative alla determinazione della loro lunghezza ed al dimensionamento degli elementi costitutivi. Molto probabilmente tale analisi non è stata effettuata in modo corretto al momento della progettazione dei pennelli esistenti a Roccella Jonica, altrimenti non si spiega come mai il ripascimento non sia avvenuto. Ed anche dal punto di vista estetico, tali pennelli necessitano di miglioramenti. La proposta è:
• Realizzazione di un corretto radicamento dei pennelli alla base per adeguarli alla configurazione naturale delle scogliere, delle spiagge e/o delle strutture esistenti;
• Estensione dell’altezza fuori terra ed al di sopra del livello medio marino nonché della lunghezza dei pennelli non pregiudicando le visuali paesaggistiche pubbliche.

 

b) Realizzazione di frangiflutti distanziati (barriere emerse).
Le barriere frangiflutti vengono posizionate parallelamente ai fronti d’onda incidenti, ad una distanza dalla linea di costa di circa 100 metri. Le onde infrangendosi contro le barriere in parte le scavalcano tracimando, operando così una sorta di erosione sulle barriere stesse con il conseguente trasporto di materiale che va a depositarsi nella zona al largo, detta 'zona d’ombra'.


Figura 8. Esempio di "frangiflutti distanziati"

Il risultato che si ottiene è la formazione di una estroflessione di sedimenti che si congiunge alla barriera formando un 'tombolo'. I materiali generalmente utilizzati sono: scogli, sacchi di sabbia, speciali blocchi di calcestruzzo.
I principali inconvenienti di questo tipo di opere sono un maggiore impatto estetico-visivo sul paesaggio costiero ed un pericolo, anche se contenuto, alla navigazione costiera ed ai bagnanti.
Il progetto deve contenere le valutazioni relative all’ altezza d’onda riflessa, all’altezza d’onda trasmessa attraverso la barriera ed al dimensionamento degli elementi costitutivi. La scelta di questa tipologia di opera dovrà essere limitata, di norma, ai tratti di costa privi di arenili, cioè al tratto di levante rispetto al porto, in maniera da evitare effetti negativi sulla dinamica litoranea longitudinale e interruzioni della dinamica trasversale.
Per quanto attiene in particolare gli aspetti paesistici il progetto dovrà prevedere la limitazione della quota di coronamento al di sopra del livello medio marino al fine di salvaguardare le principali direttrici di percezione paesaggistica;

c) Collocazione di barriere soffolte
Un altro sistema che si propone di utilizzare sono le barriere soffolte poste a notevole distanza dalla riva (150-200 m.). Questo punto deve contenere le valutazioni per la determinazione dei seguenti elementi: l’altezza d’onda residua onshore alla soffolta (smorzamento dell’onda) ed il dimensionamento degli elementi costitutivi.
Questo sistema, verificato anche su modelli fisici nei laboratori della Delft Hydraulics (NL), oltre a caratterizzarsi per un impatto ambientale molto più contenuto, consente un ripascimento "protetto" della spiaggia e quindi la ricostituzione dello storico assetto del litorale.


d) Ripascimenti morbido del litorale.
Si tratta non di ripascimenti stagionali, volti alla ricostituzione del profilo di spiaggia precedente gli eventi erosivi, ma di interventi volti ad aumentare la superficie dell’arenile ed a modificare il profilo trasversale della spiaggia. Attraverso questo intervento si avrà un innalzamento medio del livello marino dovuto ai fenomeni di frangimento (set-up), nonché agli effetti di storm-surge e di marea.
Bisognerà tener conto del livello di risalita massima (run-up), fare una stima del quantitativo di sedimento necessario per costituire il profilo di progetto e quello necessario per mantenerlo nel tempo e valutare il livello di stabilità trasversale del materiale di ripascimento.
Per quanto attiene in particolare gli aspetti paesistici il progetto dovrà prevedere l’utilizzo di materiale lapideo con caratteristiche cromatiche simili a quello locale, tipico e prevalente lungo la costa roccellese nonché il dimensionamento del ripascimento in relazione alle caratteristiche paesaggistiche del contesto.

e) Monitoraggio costante degli interventi realizzati
Le attività di monitoraggio costiero possono essere effettuate per molteplici scopi: definire la tendenza evolutiva del litorale, individuare gli effetti prodotti da nuove opere valutare il comportamento degli interventi di protezione del litorale e pianificare la progettazione di futuri interventi.
Le azioni di monitoraggio, da porre in atto dopo l’avvenuta realizzazione dell’opera, finalizzate a verificarne l’impatto sulla dinamica costiera, sulle biocenosi presenti e sulla qualità delle acque, è da calibrare in funzione della entità delle opere ed in funzione delle caratteristiche tipologiche dell’intervento. In particolare per il monitoraggio della dinamica costiera potranno essere svolte, in funzione della tipologia dell’opera e dei fondali interessati, le seguenti attività:
• rilievi della spiaggia emersa
• rilievi batimetrici della spiaggia sommersa fino alla profondità di chiusura del profilo di spiaggia
• prelievo ed analisi granulometrica di campioni di spiaggia dalla battigia alla profondità di chiusura del profilo di spiaggia.
Tali controlli dovranno permettere un confronto tra lo stato della spiaggia ad intervento ultimato, ad un anno di distanza, a più anni di distanza.

 

Valutazione di impatto ambientale

A seconda delle modalità con le quali si prevede di realizzare le opere, se da mare o da terra, le cautele che si intende mettere in atto ai fini di contenere gli impatti derivanti dalla fase di realizzazione (impatti secondari: traffico indotto, rumore, polveri), le modalità di gestione dei cantieri stessi, si avranno diversi impatti sull’ecosistema del sito.
Bisogna agire con la consapevolezza che gli interventi realizzati interagiscono con l'assetto idrodinamico (moto ondoso, correnti) e sedimentologico dell'unità fisiografica e valutare i possibili effetti sull’assetto stesso. Deve in particolare essere verificata la possibilità di alterazione significativa di tali dinamiche (ad esempio induzione di fenomeni erosivi localizzati nell'area vasta).
Si deve inoltre tener conto delle probabili modificazioni delle caratteristiche sedimentologiche dei fondali non direttamente interessati dalle opere: intese come modificazioni delle caratteristiche granulometriche indotte da versamenti di materiale lapideo soggetto a essere disperso nell’area antistante; fenomeni di sedimentazione o erosione indotti dalle opere fenomeni di torbidità persistente delle acque dovute alla sospensione e risospensione di materiali limo-argillosi.
Tale valutazione dovrà essere effettuata prendendo in considerazione non solo gli interventi di progetto ma anche le previsioni di manutenzione, quali i ripascimenti previsti per mantenere nel medio e lungo temine il profilo della spiaggia di progetto.
Anche lo specchio d’acqua sul quale realizziamo le opere può andare incontro a modificazioni, e cioè:
• possibili fenomeni di compattazione e cementazione della spiaggia ad opera della interazione tra acqua marina e frazione fine del materiale costituente la spiaggia di progetto;
• possibile torbidità delle acque dovuto alla sospensione e risospensione di limo e argilla;
• ricambio idrico delle acque antistanti il tratto di costa protetto.
E in ultimo, ma non per ordine di importanza, deve essere esplicitato l'impatto delle opere emergenti sul paesaggio, mediante fotoinserimenti delle stesse o simulazioni tridimensionali.
Ai fini della mitigazione degli impatti delle opere emerse, la progettazione deve tendere a realizzare il miglior compromesso tra dimensioni ed efficacia (ad es. l'emergenza di una barriera deve essere contenuta entro i valori di altezza minimi in grado di garantire la funzione protettiva nei confronti del moto ondoso). I materiali devono inoltre essere cromaticamente coerenti con il contesto e con le eventuali preesistenze.
Devono essere confrontate le diverse alternative rispetto all'uso di materiali naturali o artificiali mettendoli a confronto ai fini dell'impatto visivo, dell'approvvigionamento e dei traffici indotti.

Riqualificazione del waterfront cittadino

La seconda parte riguarda una più generale proposta di riqualificazione dell’area portuale e del Lungomare, strada di collegamento tra il porto ed il centro abitato. Ricucire il rapporto tra la città ed il mare, rappresenta infatti un momento da cui non può prescindere qualsiasi programma di sviluppo turistico di Roccella Jonica e di valutare le potenzialità di sviluppo dell'area che sta tra il limite del sito urbano ed il Porto.
Le proposte elaborate riguardano la viabilità e la mobilità, la localizzazione e la sistemazione delle attrezzature ricettive.
VIABILITA’
Le principali scelte progettuali in materia di viabilità sono rappresentate dal collegamento tra il porto e la S.S. 106, e tra il porto ed il centro cittadino.
Con tale scelta viene data una priorità viabilistica al traffico pesante legato al porto che viene così indirizzato direttamente nella zona e separato dal traffico urbano.
Contemporaneamente a questa soluzione si creano sottopassi e zone omogenee pedonali che ambiscono a connettere il centro storico con il fronte mare creando così l’agognata ricucitura del tessuto urbano.
Sfruttando le aree limitrofe al suddetto collegamento si ottengono due parcheggi, uno specifico a servizio dell’attività portuale e l'altro, di 300 posti auto che serve l’area ricreativa in progetto.
SPIAGGIA DI LEVANTE
La spiaggia di levante, ovvero quella interessata dal forte ripascimento, a ridosso dello sbarramento artificiale, diviene spiaggia a servizio dei campeggi. E’ prevista la ristrutturazione della viabilità con la realizzazione di una strada litoranea a ridosso delle strutture ricettive. Inoltre viene realizzata una fascia di parcheggi a servizio della spiaggia, intervallate da interruzioni verdi.
Gli altri servizi alla spiaggia (bar, ristoro, bagni ecc.) sono collocati al di sotto del livello stradale, facilmente raggiungibili dalla spiaggia.

ZONA CENTRALE
Si avrà in questa zona la riorganizzazione dello spazio libero: la proposta prevede una piazza semicircolare con strade circostanti pedonali nel periodo estivo in cui è consentito l’accesso dei soli mezzi di emergenza. La piazza, con sfondo scenico sulle colonne greche, tendenzialmente potrà essere usata per spettacoli all'aperto durante la stagione estiva.

SPIAGGIA DI PONENTE
Si prevede un intervento di riqualificazione sulla recente litoranea di ponente (Lungomare), con la creazione di zone di parcheggio a servizio della spiaggia, strutturate su doppia fila e interrotte in corrispondenza delle strisce pedonali.
Tale area diventa quindi una interconnessione tra città e mare, attraverso viabilità pedonali che tendono a ripristinare l'uso cittadino della passeggiata sul fronte mare.

RICETTIVITA’ TURISTICA
La proposta vede interessata l’area tra il centro abitato ed il porto. La zona è caratterizzata da terreni agricoli con piccoli dislivelli verso il mare, e da una viabilità secondaria che arriva ad essere tangente alla spiaggia. La proposta si basa sulla creazione di una viabilità che parte dal tratto asfaltato della litoranea di ponente e si allontana progressivamente dal mare fino a raggiungere lo snodo previsto per la statale SS. N 106 Jonica già realizzata ma non ancora aperta al traffico.
E' prevista una zona residenziale relativamente lontana dal fronte mare con una lottizzazione a bassissimo indice di edificabilità per salvaguardare il carattere non urbanizzato della zona. La viabilità interna di tale lottizzazione è organizzata con strade di servizio che penetrano verso il centro dei gruppi di villette e terminano con uno spazio di manovra. Le tipologie edilizie sono bifamiliari ad un piano.
Avvicinandosi al mare si evidenzia una zona in cui si prevedono quattro lottizzazioni delimitate e "puntiformi" con un indice di edificabilità più alto per agevolare un incremento del settore ricettivo e turistico. La conformazione di queste lottizzazioni è disegnata a settori di tipo ippodamico e rettilineo verso la spiaggia; inoltre tale schema permette di individuare aree verdi di pertinenza agli alberghi, dove si possono collocare le attrezzature ricreative e balneari. In ogni settore da lottizzare è prevista una viabilità retrostante di distribuzione e di accesso all'ampio parcheggio (destinato non solo agli ospiti degli alberghi ma anche alle presenze non stanziali). Per garantire continuità in tutte le stagioni all'area, si propone come nodo tra l'area prettamente residenziale e quella ricettiva, un area commerciale e di attività culturale (centro congressi).
Il centro commerciale vuole essere un polo di attrazione per gli ospiti degli alberghi e gli eventuali residence che si possono sviluppare in futuro, nonché le abitazioni private della vicina lottizzazione residenziale. Il centro congressi collegato sia pedonalmente che carrabilmente con la vicina area degli alberghi, accentua l'importanza che può svelare l'intero territorio dal centro città fino al porto. Abbinato all'area turistico-ricettiva, assicura un funzionale svolgimento delle attività che vi si possono ospitare (attività congressuali, attività culturali, eventi, incontri ecc.).
Si prevedono inoltre delle attività integrative all'area per creare dei rapporti di flusso diretti e indiretti sia tra i cittadini e i residenti della nuova area residenziale, che tra i presenti non in maniera stabile e gli ospiti nelle aree turistico-ricettive.
A questo scopo si prevede una vasta area verde da destinare ad attività di grandi manifestazioni (all'aperto o teatri tenda), presente alle porte della città sulla prosecuzione della litoranea. Nelle vicinanze del porto, per garantire anche al turismo itinerante la possibilità di "approdo", si propongono due aree destinate a campeggi organizzati, completi di tutti i servizi e le tipologie per avere un'accoglienza più diversificata (tende, campers e roulottes, bungalows, piscine, ecc). Inoltre a completamento dei servizi che potrà offrire l'intera area studiata, si propongono un’area da destinare preferibilmente ad Acquaparco ed a Maneggio che sicuramente saranno poli d'attrazione sia per la città che per l'intera zona del porto.
Tutte le aree hanno un carattere prevalentemente naturalistico perché le attività previste sono facilmente abbinabili alla creazione di aree verdi. Tali aree possono presentarsi in forma boschiva (macchia mediterranea costituita da Pini marittimi ecc.), o in altre come arbusti, o alberi da frutto.
Infine è previsto il mascheramento naturalistico dell’area di pertinenza della ferrovia nonché l’insonorizzazione della stessa tramite l’installazione di pannelli fonoassorbenti trasparenti, a basso impatto ambientale e visivo.

Bibliografia

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Federico Curatola

 

 

                                                                  

 Tesi :L’erosione costiera in Calabria: proposta di Piano Regionale di tutela delle coste
ed interventi sul litorale di Roccella Jonica (RC)

di Federico Curatola

a cura di Maria Richichi