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Un Inedito di Piero Martinetti : "L'Amore"

Saggio di Domenica Crea

 

 

 

 

Domenica Crea 

 

PAVIA, 18 marzo 2005

 

L’inedito di Piero Martinetti, “L’amore”, era l’occasione per presentare alla discussione la mia tesi, che ormai da qualche anno andavo dissertando con il mio illustrissimo e stimatissimo Prof. Franco Alessio, non senza riceverne inizialmente frecciate e commenti ironici, proprio come del maestro che voglia tastare la capacità del discente di sostenere ed argomentare un enunciato. Orbene, io partivo dalla seguente incontrovertibile proposizione, non tutti gli uomini possono raggiungere tutti i gradi della conoscenza, per le diverse capacità potenziali di ciascuno, quindi ponevo la mia tesi: le capacità potenziali sviluppate al di fuori delle istanze etiche ed estetiche, non conducono a tutti i gradi della conoscenza. Un giorno il mio Prof. Alessio mi faceva recapitare un saggio: “Il valore obiettivo della morale”, di Piero Martinetti, 1943. Nel libro trovavo scritto: “…una certa vernice di moralità…lungi dal favorire il progresso morale tende piuttosto a creargli degli ostacoli”. Ecco da dove sarei partita, da Martinetti e dalla sua convinzione: solo in pochi individui si leva il bisogno di rendere ragione a sé della propria vita e dirigerla verso i fini che la ragione rivela.

 - Si può eccepire che l’amore abbia ben poco da spartire con la ragione, ma questo è vero se consideriamo la ragione come strumento asettico, usato giustamente ed esclusivamente dall’uomo per la costruzione delle scienze esatte.    Se la ragione è però, anche strumento usato da sempre dall’uomo, anche inconsapevolmente, per costruire la propria vita, che non è scienza e non è esatta, allora la ragione rivela la propria natura vera, intrisa d’emozioni, tutt’altro che asettica.

 

Parlando d’amore –sia pure per dire/mediare altro-, pare opportuno soffermarci sui suoi significati e tra questi, su quelli che appartengono allo stesso “filone” di Martinetti. Cercheremo di fare questo, prima di leggere la tesi.

 

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L’amore designa in ogni caso, un tipo specifico di rapporti umani, caratterizzato dalla solidarietà e dalla concordia degli individui che ne partecipano. -Il desiderio, e in particolare il desiderio di possesso, non entra necessariamente a costituire l’amore, giacchè, se è discutibile che entri nell’amore sessuale, si deve escludere che entri negli altri casi-

 Ora, il carattere specifico della solidarietà e della concordia, costitutivi dell’amore, non può essere determinato una volta per tutte, giacchè esso è diverso a seconda delle forme o delle specie diverse dell’amore ed implica anche gradi diversi d’intimità, di intrinsichezza e di forma emotiva. Per esempio, l’amore tra uomo e donna o quello tra padre e figlio o quello tra cittadini o quello tra uomini che si considerano l’un l’altro come “prossimo”, hanno differenti basi biologiche, culturali o sociali e non si lasciano ricondurre ad uno stesso tipo o forma di solidarietà, di concordia e di compartecipazione emotiva.

Pertanto, i significati che il termine amore presenta nel linguaggio comune, ma anche nella tradizione filosofica, sono molteplici, disparati e contrastanti. Nel nostro caso, con la parola amore intendiamo designare il rapporto intersessuale, quando questo rapporto è selettivo ed elettivo ed è perciò accompagnato dall’amicizia e da affetti positivi (sollecitudine, tenerezza, ecc.). -Dall’amore in questo senso si distinguono spesso le relazioni sessuali a base puramente sensuale, che sono fondate non già sulla scelta personale ma sull’anonimo ed impersonale bisogno di rapporti sessuali-.

 

La nozione fondamentale dell’amore alla quale si riconduce Piero Martinetti, è quella illustrata da Platone, Aristotele, S. Tommaso, Cartesio, Leibniz, Scheler, Russell.        Vediamo:

- Platone ci ha dato la prima trattazione filosofica dell’amore: da essa vengono assunti e conservati i caratteri dell’amore sessuale; nello stesso tempo tali caratteri vengono generalizzati e sublimati. In primo luogo, l’amore è mancanza, insufficienza, bisogno e nello stesso tempo desiderio di acquistare e conservare ciò che non si possiede. In secondo luogo l’amore si dirige verso la bellezza la quale non è altro che l’annuncio e l’apparenza del bene, ed è quindi desiderio del bene. In terzo luogo l’amore è desiderio di vincere la morte ed è quindi la via attraverso la quale l’essere mortale cerca di salvarsi dalla mortalità, non rimanendo sempre lo stesso, come fa l’essere divino, ma lasciando dopo di sé in cambio di ciò che invecchia e muore, qualcosa di nuovo che gli somiglia. In quarto luogo, Platone distingue tante forme dell’amore quante sono le forme del bello, a cominciare dalla bellezza sensibile e a finire alla bellezza della sapienza, che è la più alta di tutte e il cui amore, cioè la filosofia, è quindi il più nobile. Il Fedro è diretto appunto a mostrare la via attraverso la quale l’amore sensibile può diventare amor di sapienza, cioè filosofia, e il delirio erotico diventare una virtù divina che allontana dai modi di vita consueti.

 - Aristotele si ferma invece, alla considerazione positiva dell’amore. Per lui l’amore o è l’amore sessuale o è l’affetto tra consanguinei o tra persone comunque congiunte da un rapporto solidale, o è l’amicizia. In generale l’amore e l’odio come tutte le altre affezioni dell’anima, appartengono non all’anima come tale, ma all’uomo in quanto è composto di anima e corpo e pertanto vengono meno col venir meno dell’unione di anima e corpo.         Aristotele inoltre riconosce all’amore quel fondamento di bisogno, imperfezione o deficienza, sul quale Platone aveva insistito. La divinità, egli dice, non ha bisogno di amicizia giacchè essa è il suo proprio bene a se stessa, mentre a noi il bene viene da altro (Etica Eudemia, VII, 12). L’amore è quindi un fenomeno umano e non c’è da meravigliarsi che di esso Aristotele non faccia alcun uso nella sua teologia. Esso è un’affezione, cioè una modificazione passiva, mentre l’amicizia è un abito, cioè una disposizione attiva (Etica Nicomachea, VIII, 5).         All’amore si congiunge la tensione emotiva e il desiderio: nessuno è preso da amore se non sia stato prima colpito da godimento della bellezza; ma questo godimento di per sé non è ancora amore, che si ha soltanto se si desidera l’oggetto amato, quando è assente e se lo si brama, quando è presente.         L’amore che è legato al piacere può cominciare a finire rapidamente, ma può anche dar luogo alla volontà di vivere insieme; e in questo caso assume la forma dell’amicizia (Ibid.,VIII, 3).         Se l’analisi aristotelica dell’amore è priva di riferimenti metafisici teologici, bisogna ricordare che l’ordinamento finalistico del mondo e la teoria del primo motore immobile conducono Aristotele a dire che Dio, come primo motore, muove altre cose “come oggetto d’amore”, cioè come termine del desiderio che le cose hanno di raggiungere la perfezione di lui (Metafisica, XII, 7).

Questa notazione sarà largamente adoperata dalla filosofia medievale. Sul finire della filosofia greca, il neoplatonismo ha adoperato la nozione dell’amore non già per definire la natura di Dio, ma per indicare una delle fasi della via che conduce a Dio.

- S. Tommaso afferma che è comune ad ogni natura l’avere una qualche inclinazione, che è l’appetito naturale o l’amore.         Questa inclinazione è diversa nelle diverse nature e c’è quindi un amore naturale e un amore intellettuale; l’amore naturale è anch’esso un retto amore perché è un’inclinazione posta da Dio negli esseri creati; ma l’amore intellettuale che è carità e virtù, è più perfetto del primo, quindi, aggiungendosi ad esso, lo perfeziona, nel modo stesso in cui la verità soprannaturale si aggiunge, senza contrastarla, alla verità naturale e la perfeziona (Summa Teologica, I). Quanto all’amore intellettuale, cioè alla carità, questa è definita da S. Tommaso come “l’amicizia dell’uomo verso Dio”: intendendosi per “amicizia”, secondo il significato aristotelico, l’amore che è congiunto con la benevolenza (amor benevolentiae) cioè che vuole il bene di colui che si ama, e non vuole semplicemente appropriarsi del bene che è nella cosa amata (amor concupiscientiae) come accade in chi ama il vino o un cavallo. Ora, l’amicizia suppone non solo la benevolenza ma anche il mutuo amore e così si fonda su una certa comunicazione, che, nel caso della carità, è quella dell’uomo con Dio, che comunica a noi la Sua beatitudine (Ibid., II).         Questa comunione è, secondo S. Tommaso, ciò che c’è di proprio nell’amore: esso è una specie d’unione o vincolo (unio vel nexus di natura affettiva, che è simile all’unione sostanziale in quanto chi ama si comporta verso l’amato come verso se stesso. Un’unione reale è poi anche l’effetto dell’amore; ma si tratta di un’unione che non altera o corrompe coloro che si uniscono, ma si mantiene nei limiti opportuni e convenienti: per esempio, fa sì che parlino e dialoghino insieme o si congiungano in altri modi siffatti. In quanto “amare” significa voler il bene di qualcuno, l’amore appartiene alla volontà di Dio e la costituisce. Ma l’amor di Dio è diverso da quello umano perché mentre quest’ultimo non crea la bontà delle cose, ma la trova nell’oggetto da cui è suscitato, l’amore di Dio infonde e crea la bontà nelle cose stesse.

Il platonismo rinascimentale accentua la reciprocità dell’amore tra Dio e l’uomo, conformemente alla tendenza propria del Rinascimento ad insistere sul valore e la dignità dell’uomo come tale.

- Le notazioni di Cartesio intorno al fenomeno dell’amore, riportato alla scala umana, sono importanti. “L’amore, egli dice, è un’emozione dell’anima prodotta dal movimento degli spiriti vitali che la incita a congiungersi volontariamente con gli oggetti che le appaiono convenienti”. In quanto è prodotta dagli spiriti l’amore, che è un’affezione e dipende dal corpo, è diversa dal giudizio che anche induce l’anima, di sua libera volontà, ad unirsi con le cose che essa crede buone (Passions De l’âme, II, 79). L’amore si distingue altresì dal desiderio, che è rivolto al futuro; esso consente invece di considerarsi subito uniti con ciò che si ama “in modo tale che noi immaginiamo un tutto di cui siamo solo una parte e di cui la cosa amata è l’altra parte” (Ibid., 80). Cartesio rigetta la distinzione medievale tra amore di concupiscenza e amore di benevolenza perché, egli dice, questa distinzione concerne gli effetti dell’amore ma non l’essenza di esso: in quanto siamo volontariamente congiunti con qualche oggetto, quale che sia la natura di questo, abbiamo per esso un senso di benevolenza e questo è uno dei principali effetti dell’amore. Ci sono tuttavia varie specie dell’amore, relative ai diversi oggetti che possiamo amare: l’amore che un uomo ambizioso ha per la gloria, il povero per il denaro, l’ubriacone per il vino, un uomo brutale per una donna che desidera violare, l’uomo d’onore per l’amico o per la moglie e un buon padre per i suoi figli, sono specie diverse e tuttavia simili dell’amore. Le prime quattro tuttavia, sono amore solo del possesso degli oggetti ai quali l’emozione si dirige e non sono amore degli oggetti in se stessi; le altre invece si dirigono verso questi stessi oggetti e desiderano il bene di essi. Di questa natura è anche l’amicizia; la quale, per di più, è legata alla stima della persona amata; sicchè non si può avere amicizia per un fiore, un uccello, un cavallo, ma solo per gli uomini. In generale, quando stimiamo l’oggetto dell’amore meno di noi stessi, proviamo per esso un semplice affetto; quando lo stimiamo come noi stessi, proviamo amicizia; e quando lo stimiamo più di noi stessi proviamo per esso, devozione. Di quest’ultima il principale oggetto è ovviamente Dio, ma essa può dirigersi anche alla patria, alla città e a qualsiasi uomo che stimiamo molto più di noi stessi.

In generale gli scrittori del ‘700 insistono sulla connessione dell’amore con la benevolenza, che è il tratto su cui aveva insistito Aristotele a proposito dell’amicizia.

- Leibniz ha espresso nella forma più chiara, che doveva essere ripetuta più volte nella letteratura del ‘700, questa nozione dell’amore: “Quando si ama sinceramente una persona, egli dice (Op. Phil., ed. Erdmann, pag. 789-790), non si cerca il proprio profitto né un piacere staccato da quello della persona amata, ma si cerca il proprio piacere nell’appagamento e nella felicità di questa persona; e se questa felicità non piacesse di per se stessa, ma solo a causa di un vantaggio che ne risulta per noi, non si tratterebbe più di un amore sincero e puro. Occorre dunque che si provi immediatamente piacere in questa felicità e che si provi dolore nell’infelicità della persona amata; giacchè ciò che dà immediatamente piacere di per se stesso è anche desiderato di per se stesso come costituente (almeno in parte) lo scopo dei nostri intenti e come qualcosa che entra nella nostra propria felicità e ci dà sodisfazione”. Questa nozione dell’amore toglie, secondo Leibniz, il contrasto fra due verità, cioè tra quella che è impossibile per noi di desiderare altra cosa se non il nostro proprio bene e quella che non c’è amore se non quando cerchiamo il bene dell’oggetto amato di per se stesso e non per nostro proprio vantaggio. Questa nozione ha anche il vantaggio, secondo Leibniz, di essere comune all’amore divino e all’amore umano perché esprime ogni tipo d’amore “non mercenario”, qual è, per esempio, la caritas o “benevolenza universale” (Ibid., pagina 218). Va da sé che in questo senso l’amore può rivolgersi solo a “ciò che è capace di piacere o di felicità”; sicché non si può dire, se non per metafora, che amiamo le cose inanimate di cui godiamo (Nouv. Ess., II, 20).

Notazioni di questo genere sono assai frequenti negli scrittori del ‘700.         Sull’amore esteso a tutta l’umanità hanno fondato la loro etica gli scrittori positivisti e il neo-criticismo tedesco.        In questi indirizzi i termini “umanità” e “amore” diventano sinonimi perché significano l’unità degli esseri umani e qualche volta, addirittura, l’unità cosmica secondo il concetto romantico. Le forme dell’amore vengono da questo punto di vista classificate secondo la maggiore o minore estensione del circolo di oggetti cui l’amore si estende. Così l’amore della patria sarebbe inferiore all’amore dell’umanità, l’amore della famiglia inferiore all’amore della patria e l’amore di se stesso inferiore a quello che si prova per un amico.

- Scheler ha mostrato (Natura e forma della simpatia, 1923) il carattere fittizio di questa gerarchia che pretende ridurre le varietà autonome dell’amore ad un’unica forma che avrebbe gradi diversi a seconda dell’estensione del circolo umano che costituisce il suo oggetto. Le sue osservazioni a questo proposito coincidono con quelle di Freud: il valore dell’amore diminuisce, non s’accresce, a misura che l’amore si estende ad un numero d’oggetti maggiore; giacché, in generale, l’amore di ciò che è prossimo ha più valore dell’amore di ciò che è lontano, almeno finchè si rivolge ad un essere vivente; e Nietzsche ha avuto torto a contrapporre (in Così parlò Zaratustra) l’amore del lontano all’amore del prossimo. Scheler ha negato il presupposto stesso della dottrina dell’amore universale, ha negato cioè la nozione romantica dell’amore come unità o identificazione. L’amore, e in generale la simpatia in tutte le sue forme, implica, e nello stesso tempo, fonda, la diversità delle persone.         Il senso dell’amore consiste proprio nel non considerare e nel non trattare l’altro come se fosse identico a sé. “L’amore vero, dice Scheler (Sympathie, I, cap. IV, § 3), consiste nel comprendere sufficientemente un’altra individualità modalmente differente dalla mia, nel potermi mettere al suo posto pur mentre la considero altra da me e differente da me e pur mentre affermo, con calore emozionale e senza riserva, la sua propria realtà e il suo proprio modo d’essere”. L’amore si dirige necessariamente al nucleo valido delle cose, al valore: tende a realizzare il valore più alto possibile o a sopprimere un valore inferiore.         Esso si può dirigere alla natura, alla persona umana e a Dio, in ciò che hanno di proprio, cioè altro da colui che ama. Scheler riconosce con Freud che “l’amore sessuale rappresenta un fattore primordiale fondamentale, nel senso che tutte le altre varietà dell’amore vitale e della vita istintiva derivano la loro forza e la loro vivacità da quell’amore” (Ibid., II, cap. VI, § 5). Esso però no si riduce all’istinto sessuale perché implica scelte, che in linea di principio si orientano verso le qualità vitali che chiamiamo più “nobili”. Ma se l’amore sessuale domina la sfera vitale esistono altre forme d’amore corrispondenti alla sfera spirituale e alla sfera religiosa; queste forme sono varietà qualitativamente diverse, qualità primordiali e irriducibili le une alle altre, che fanno pensare ad una preformazione, nella struttura psicologica dell’uomo, dei rapporti elementari che esistono tra uomo e uomo. Tra queste forme non c’è tuttavia l’amore dell’umanità. L’umanità può essere amata come individuo unico ed assoluto solo da Dio; il cosiddetto amore dell’umanità è perciò soltanto l’amore dell’uomo medio di una certa epoca, cioè dei valori correnti in quest’epoca, che interessano i sostenitori di questa forma d’amore; la quale, Secondo Scheler, non è altro che risentimento, cioè odio per i valori positivi impliciti in “paese natale”, “popolo”, “patria”, “Dio”, odio che sostituendo l’umanità a questi portatori di valore specificatamente superiori cerca di darsi e di dare l’illusione dell’amore.         Le analisi di Scheler sono, nella filosofia contemporanea, il primo tentativo di sottrarre la nozione dell’amore all’ideale romantico dell’assoluta unità.

Questa tendenza anti-romantica della filosofia contemporanea, a togliere all’amore il suo carattere d’infinità, cioè la sua natura “cosmica” o “divina” e circoscriverlo in limiti più ristretti e precisabili, è palese.

- Russell ha messo in luce la fragilità dell’amore romantico che pretende di essere la totalità della vita e va invece rapidamente incontro all’esaurimento e al fallimento. “L’amore, egli ha detto, è ciò che dà valore intrinseco ad un matrimonio e, come l’arte e il pensiero, è una delle cose supreme che fanno la vita degna di essere vissuta. Ma sebbene non ci sia un buon matrimonio senza amore, i migliori matrimoni hanno uno scopo che va al di là dell’amore. L’amore reciproco di due persone è troppo circoscritto, troppo separato dalla comunità per essere per se stesso lo scopo principale di una buona vita. Esso non è in se stesso una fonte sufficiente di attività, non è sufficientemente prospettivo per costituire un’esistenza in cui si possa trovare una sodisfazione ultima. Esso diventa presto o tardi retrospettivo, è una tomba di gioie morte, non una sorgente di nuova vita. Questo male è inseparabile da ogni scopo che può essere raggiunto solo in un’unica emozione suprema. I soli scopi adeguati sono quelli i quali insistono sul futuro che non possono mai essere pienamente raggiunti, ma sono sempre in crescendo e infiniti come l’infinità della ricerca umana. Solo quando l’amore è legato a qualche scopo infinito di questa specie, può avere la serietà e la profondità di cui è capace” (Principe of Social Reconstruction, pag. 192). Con ciò l’amore non è negato, ma ricondotto ai limiti che lo definiscono. “ Un uomo, dice ancora Russell, che non ha mai veduto le cose belle in compagnia della donna amata, non ha conosciuto appieno il magico potere che tali cose possiedono. Inoltre l’amore è in grado di spezzare il duro nòcciolo del proprio io perché è una specie di collaborazione biologica nella quale le emozioni dell’uno sono necessarie alla soddisfazione degli istintivi propositi dell’altro” (La conquista della felicità; trad. ital., pag. 42). In questo senso esso, tuttavia, non richiede il sacrificio delle persone che si amano, ma costituisce piuttosto un arricchimento e un compimento delle loro personalità. Non richiede neppure l’ammutolimento dello spirito critico da ambe le parti ma piuttosto il rispetto della reciproca autonomia e la fedeltà agli impegni presi. Per questo è indispensabile la realizzazione dell’uguaglianza di condizione morale e giuridica tra i sessi ed anche una trasformazione e una liberalizzazione delle regole morali che ora restringono e inibiscono in modo troppo rigido i rapporti sessuali. Dall’altro lato però, “il rapporto sessuale senza amore ha un valore minimo e deve essere considerato come un primo esperimento, tale da dare un concetto approssimativo dell’amore” (Marriage and Morals, cap. IX; trad. ital., pag. 118).

 

   Uno sguardo d’insieme alle teorie di cui si è fatto cenno, mostra che in esse ricorre una nozione fondamentale dell’amore che è quella di un rapporto che non annulla la realtà individuale e l’autonomia degli esseri tra i quali intercorre, ma tende a rafforzarle, mediante uno scambio reciproco emotivamente controllato di servizi e di cure d’ogni genere, scambio nel quale ognuno cerca il bene dell’altro come suo proprio. In questo senso l’amore tende alla reciprocità ed è sempre reciproco nella sua forma riuscita, la quale tuttavia potrà sempre dirsi un’unione (d’interessi, d’intenti, di propositi, di bisogni, nonché delle emozioni correlative) ma mai un’<unità> nel senso proprio del termine. In questo senso l’amore è un rapporto finito tra enti finiti, suscettibile della più grande varietà di modi in conformità con la varietà di interessi, propositi, bisogni, e le relative funzioni emotive, che possono costituirne la base oggettiva. “Rapporto finito” significa rapporto non necessariamente determinato da forze ineluttabili, ma condizionato da elementi e situazioni atte a spiegarne le modalità particolari. Significa altresì rapporto soggetto alla riuscita come alla non riuscita e, anche nei casi più favorevoli, suscettibile di riuscite solo parziali e di stabilità relativa. In questo caso, ovviamente, l’amore non è mai “tutto” e non costituisce la soluzione di tutti i problemi umani. Ogni tipo o specie d’amore, e, in ogni tipo e specie, ogni caso di esso, sarà delimitato e definito, nel rapporto che lo costituisce, da quei particolari interessi, bisogni, aspirazioni, preoccupazioni, ecc., la cui compartecipazione costituirà di volta in volta la base o il motivo dell’amore. Specificamente, l’amore potrà essere definito come il controllo emotivo di tali tipi o modi di compartecipazione e dei comportamenti corrispondenti. Il valore di questo controllo emotivo può essere reso ovvio da qualche osservazione, per esempio, la fedeltà nell’amore non ha valore se deriva non dal controllo emotivo, ma da una fredda nozione del dovere; e d’altra parte certe infedeltà non intaccano necessariamente l’amore. In questi limiti in cui l’amore è un fenomeno umano, per la descrizione del quale termini come “unità”, “tutto”, “infinito”, “assoluto” sono fuori luogo, l’amore perde di sostanza cosmica quanto guadagna d’importanza umana; e il suo significato, oggettivamente constatabile per la formazione, la conservazione, l’equilibrio della personalità umana, diventa fondamentale. La nozione dell’amore in questo senso, è quella che si trova anche in Piero Martinetti, quando tra il 1933 ed il 1940, il filosofo scrive un discorso filosofico-culturale che intitola “L’AMORE”.                                      

 

 

 

 

 

 

 

                                                                  

 Saggi : UN INEDITO DI PIERO MARTINETTI: "L'AMORE"

di Domenica Crea

a cura di Maria Richichi