Relazione: "QUALE CLASSE DIRIGENTE, PER QUALE PROGETTO E PER QUALE FUTURO?"
di Antonio Monteleone
Direzione Scientifica ILCE, Presidente Federcni
5 febbraio 2005 - Milano - Sala San Francesco -
CONVEGNO DIBATTITO CALABRIA E SICILIA: INSIEME PER LO SVILUPPO
Al momento di preparare questa relazione che accomuna Sicilia e Calabria, mi sono subito chiesto quali riferimenti, in qualche modo unificante il punto di osservazione sulle due Regioni, avrei potuto assumere.
La prima – nel senso di spontanea - risposta è stata: la mia esperienza diretta. Ho, infatti, vissuto sia in Sicilia sia in Calabria. Qui sono nato e cresciuto, lì vi ho lavorato un anno, trascorso più volte dei periodi di vacanza e organizzato un importante convegno universitario internazionale sui problemi della difesa dell’ambiente. Per non parlare di due cognate siciliane, innamorate della loro terra pur restandovi lontane per ragioni familiari e di lavoro.
Poi mi è sembrato più appropriato un punto di osservazione “istituzionale”, elevato e autorevole, ed ho tratto spunto dai viaggi fatti dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in Sicilia e in Calabria. In particolare da alcuni suoi discorsi. Quello dell’incontro istituzionale con le autorità svoltosi ad Agrigento, all’interno del Teatro Comunale "Luigi Pirandello", 11 febbraio 2003; quello dell’incontro con le autorità e i cittadini di Cosenza, il 7 febbraio 2001 e, infine, quello recente del 14 gennaio 2005 a Crotone.
Quindi mi sono posto alcune domande di fondo, come viene naturale a un meridionale che, per cultura umanistica a base filosofica, ama sviscerare i problemi ab ovo.
Che s’intende per classe dirigente? Esiste in Sicilia e in Calabria una classe dirigente consapevole di se stessa e della concreta situazione ove esprimere il proprio ruolo? Se esiste solo in una certa misura, come si forma una classe dirigente? Nella nuova cornice economico-sociale, da quando c’è uno stallo negli investimenti dovuti a fallimenti di società dai bilanci creativi e a una congiuntura internazionale poco favorevole, e si è delineata la necessità di nuovi profili per il welfare state, è cambiato il ruolo della classe dirigente? C’è un’etica della classe dirigente in generale e di quella meridionale in particolare?
A queste domande difficili e d’ampio respiro, darò delle risposte sintetiche e discorsive, ossia senza attenermi strettamente a un impianto sistematico, peraltro adatto a un convegno specialistico mentre questo è aperto a componenti varie della società. Ritengo, tuttavia che ne verranno suggerimenti utili per ulteriori riflessioni e approfondimenti.
L’espressione “classe dirigente” qui la utilizzo con un significato quale si può arguire in un sistema democratico, d’ampia esperienza e strutturalmente pluralista qual è quello in cui viviamo. Quindi non secondo criteri marxisti di tipo dialettico e contrappositivo, né secondo l’accezione emergente in caso di regimi dispotici ove il modo di ragionare e di interagire socialmente è definito dall’establishment al potere. Assume, pertanto, il valore di gruppo di persone, non necessariamente omogenee per origini, censo e preparazione e finanche del tutto estranee tra di loro, che esercitano una profonda influenza sociale, culturale, politica ed economica nella collettività in cui vivono e operano così da indurre idee e comportamenti che “dirigono”, ossia orientano e determinano il progresso umano e la crescita economica di settori ampi della società.
Sempre che siamo d’accordo, in conformità a questa semplice definizione desumiamo alcune lampanti deduzioni.
Si riconoscono nella descrizione tutti coloro che, in qualunque cerchia vitale, che vada oltre quella familiare, o in qualsivoglia ambito lavorativo e relazionale, hanno compiti di formazione o potere dispositivo, disciplinare, economico e un mandato di rappresentanza. Vengono inclusi, però, anche quanti sono in qualche modo riferimento e modello al punto da condurre al successo precise interpretazioni della realtà, regole e linee di condotta cui gli altri – chi più e chi meno - si uniformano.
Certamente il “rispetto” può essere rivolto a farabutti che usano la sopraffazione per imporre i propri metodi - non si parla forse in questi casi di “uomini di rispetto” sia pure impropriamente?! - Come anche la corruzione e la concussione ispirano atteggiamenti diffusi di sfiducia e d’emulazione delinquenziale. Non intendo però soffermarmi sull’idea degenerata di classe dirigente limitandomi solo a un accenno circa la sua pericolosità sul medio e lungo periodo, nonostante qualche apparente vantaggio momentaneo e solo per determinati gruppi.
Riprendiamo in chiave corretta la definizione.
È chiaro che politici e amministratori pubblici, grazie alla portata del potere delegato loro dai cittadini, o gli imprenditori, grazie alla forza dei capitali che possono mettere in gioco, sono in grado di mutare le condizioni di aree territoriali più o meno ampie e di influenzare i paradigmi esistenziali di concentrazioni più o meno vaste di persone. Ma - proprio in Sicilia e in Calabria si sperimenta la validità di quanto sto per dire - cosa riuscirebbero a fare politici, amministratori e imprenditori senza una radicata cultura della legalità e senza una mentalità cooperativa capace di orientare gli interessi particolari verso benefici di lunga durata e quindi necessariamente collettivi?
Non posso, a questo punto, che fare eco all’esortazione del Presidente Ciampi dello scorso gennaio:
“L'educazione dei cittadini al rispetto della legalità, in tutti i suoi aspetti, è compito di tutti.
Chi fa costruzioni abusive, distruggendo un bene pubblico, quale è il paesaggio;
chi non paga le imposte, creando ovvie difficoltà per lo Stato o per gli enti locali;
chi, per paura o per opportunismo, non denuncia i soprusi subiti o gli episodi di corruzione;
chi abusa di sussidi cui non ha diritto;
chi non fa, insomma, il proprio dovere di cittadino, fatica poi, inevitabilmente, a farsi ascoltare quando chiede, giustamente, che lo Stato faccia la sua parte, che costruisca strade e ferrovie, che rinvigorisca la sua presenza nelle vostre terre. In questo senso, in Calabria ma ovunque nel nostro Paese, il primo problema siamo noi: i cittadini, consci dei nostri diritti, ma anche dei nostri doveri.”
Riprendiamo il filo del nostro discorso.
Neppure va trascurata la constatazione che siamo giunti nell’epoca del brain power, per cui la differenza nello sviluppo nasce dalle potenzialità intellettuali di lettura dei tempi, di previsione delle esigenze e di creatività conseguente. In altri termini i capitali senza le idee ristagnano nelle banche e perdono gradualmente valore. Ora, estro e inventiva sorgono innegabilmente su un potenziale innato di quoziente intellettuale, cui però un lungo e appropriato processo formativo abbia fornito tutti gli strumenti per passare all’azione.
Non è dunque classe dirigente di primo piano e perfettamente allineata ai tempi – almeno su un piano concettuale cui deve corrispondere un’operatività conseguente - quella categoria rappresentata dai docenti d’ogni ordine e grado, senza il cui costante impegno si scivolerebbe fuori del progresso? Questa categoria – soprattutto nelle componenti delle scuole precedenti l’Università - deve tornare ad avere autostima e stima pubblicamente riconosciuta, anche sul piano economico, come avveniva negli anni in cui andavo a scuola a Cittanova, dove sono nato.
Non per nulla, la Commissione Europea sta attuando un disegno di e-learning - apprendimento per via telematica - col fine dichiarato di accelerare l’evoluzione dei sistemi europei d’istruzione e formazione e la transizione dell’Europa verso la società della conoscenza e dell’intelligenza diffusa. A tale finalità - affinché possa essere conseguita - serve un mix di senso competitivo, ossia voglia di non farsi superare, convergenza sull’obiettivo d’ampi settori della classe dirigente e, soprattutto, un disegno per coinvolgere incisivamente e in modo concorde università, comunità educative ed enti vari interessati alla crescita culturale.
Sia per la Sicilia sia per la Calabria è utile il rafforzamento e l’ampliamento dei rapporti tra università e i settori produttivi, ad esempio con tesi di laurea e borse di studio intese a migliorare l’analisi del territorio e la previsione dei fabbisogni e delle competenze, così da fornire idee utili all’ammodernamento e allo slancio dei settori chiave dello sviluppo meridionale.
Quanto dico si estende dal campo tecnologico a quello turistico. Penso, infatti, alla possibilità di accrescere gli itinerari storico-culturali o ambientalistici purché scientificamente suffragati e ben studiati sul piano non solo del marketing, ma anche dei moderni concetti di “turismo sostenibile”, di “paese albergo” e di “turismo relazionale integrato”. Il tutto allo scopo di saper gestire l’offerta turistica per arrivare con gradualità e determinazione a gestire anche la domanda.
In questo quadro di convergenza tra programmi formativi ed esigenze sociali, giudico altresì logico che nella scuola dell’obbligo si faccia uso dell’autonomia dei piani d’offerta formativa – i POF – per far scoprire e approfondire agli studenti l’identità regionale e sapere sostenere il confronto con il nostro grande passato – come ha anche detto Ciampi - così da guardare ad altre identità senza complessi e suscitare l’ambizione di trovare vie autosufficienti alla soluzione dei problemi locali. Insomma, alla “delocalizzazione” a volta resa necessaria da un mercato globale, bisogna opporre la “riterritorializzazione”, intesa come capacità di trasformare in risorsa le caratteristiche di un contesto geografico, umano e culturale.
Ne viene ancora, ritorno alla definizione di partenza, che instradano lungo un futuro possibile e, perciò, “dirigono” lungo la giusta rotta quei professionisti e personalità in attività nelle istituzioni e nel corpo civile che promuovono cultura, difendono il rispetto per la giustizia, favoriscono la partecipazione sociale e costruiscono collaborazione.
In questo senso la Chiesa Cattolica ha voce in capitolo con il realismo di un magistero valido sul piano della coscienza individuale e in grado d’alimentare politica e società con principi etici incontrovertibili senza per questo invadere il campo dell’autonomia – e della responsabilità! - dei laici.
Un’altra deduzione. I membri di una classe dirigente vera, il cui impatto sia sostanziale e seriamente duraturo, deve saper ragionare globalmente e muoversi localmente, ossia ricontestualizzare e riterritorializzare, nel senso di cogliere in uno sguardo riassuntivo tendenze internazionali e nazionali e coniugarle con le configurazioni e gli ambiti che sono propri a ciascuno di loro. I grandi scenari di crescente coinvolgimento internazionale e di travolgente innovazione tecnologica vanno interpretati e seguiti dentro una prospettiva circostanziata, devono tradursi in progetti mirati, circoscritti in habitat concreti, provvisti di una specifica vitalità umana, professionale e d’azione.
Il grande esempio a cui guardare, quando parlo di glocalizzazione, intesa come la perizia di far rifluire dentro i grandi indirizzi le società locali e le economie di luogo, è quello dei distretti industriali della Lombardia, qui la commistione di produzioni tipiche e di culture locali ha prodotto assai riusciti e da tutto il mondo invidiatici modelli d’organizzazione socio-economica in linea con la vocazione territoriale.
Un altro modo, attualissimo, di avere la testa esposta ai venti del cambiamento mondiale e i piedi ben posti in casa propria consiste nel saper far tesoro di quanto sta avvenendo dopo il crollo della ENRON, della VIVENDI, della PARMALAT e di altre società dal bilancio creativo. Improvvisamente, in un mercato al ribasso che paga l’intorbidamento del clima di fiducia degli investitori, parole come chiarezza, attendibilità, imparzialità, onestà e senso etico sono diventate cruciali tanto da costringere negli USA lo stesso Bush a giurare il suo impegno a salvaguardia di tali valori.
Shoshana Zuboff, professore all’Harvard Business School e coautore di un libro dal titolo The Support Economy afferma che un abisso separa ormai individui e organizzazioni e tale abisso è contrassegnato da frustrazione, sfiducia, disillusione e persino rabbia. Si dice, tuttavia, ottimista giacché da tutto ciò emergerà un nuovo modo di condurre affari secondo linee di maggiore responsabilità non solo verso gli shareholders (gli azionisti) ma verso tutti gli stakeholders (i portatori d’interesse quali impiegati, clienti, fornitori, ecc.).
Noi, nel meridione, forse siamo ancora distanti da questi vertici ma guai a pensare che ne siamo del tutto estranei e che l’agenda della classe dirigente nostra non ne debba tener conto spingendo qualcuno a dare briglia sciolta a furberie e illegalità come se non dovesse mai pagarne lo scotto. E purtroppo insieme con loro anche gli onesti.
Un’altra tendenza ormai affermata, anche se a volte in forme controverse e forse solo apparenti, è quella del federalismo regionale, il quale comporta un ampio uso della devolution, ovvero della decentralizzazione con delega d’ampi poteri decisionali e gestionali alle Regioni, di cui peraltro la Sicilia gode da sempre, a fini principalmente di efficienza allocativa delle risorse.. Un modo lungimirante di farsi incontro ben attrezzati alle trasformazioni che ciò induce è di fornirsi di serie e ampie cognizioni, tanto più ampie quanto maggiori sono le responsabilità in ambito civile e politico, in economia politica e in scienza delle finanze.
Presenziamo, anche, al riassestamento del Welfare State (lo Stato Sociale o Assistenziale) a motivo della necessità di utilizzare razionalmente risorse che non sono inesauribili. Da attribuire soprattutto all’aumento dell’indice di vecchiaia e del crescente divario tra popolazione inattiva e popolazione attiva, quella che paga i costi sociali e che si sta riducendo nonostante l’afflusso di stranieri
Il comparto che più viene colpito da tale necessario e non indolore riordino è quello della Sanità, in quanto grava pesantemente sulla spesa pubblica. Si vuole istituire una crescente presenza del management in grado di comporre gli obblighi di un servizio pubblico con la gestione propria di un’azienda privata molto accorta sul budget e precisa nella programmazione.
Su tale sfondo operativo, nella Conferenza Stato-Regioni dell’agosto 2001 si è advenuti ad un accordo per portare gradualmente a 4 ogni 1.000 abitanti il numero dei posti letto per pazienti affetti da patologia acuta, e nel nuovo Piano Sanitario Nazionale si esprime l’intento di ridisegnare la rete ospedaliera puntando ai centri d’eccellenza. Ciascuna Regione si sta regolando in modo consequenziale, ma sembrano inevitabili accorpamenti, abolizioni o riconversioni, pur se si cerca di mantenere piccoli presidi quali il pronto soccorso, un poliambulatorio e un reparto di riabilitazione. Si cerca, anche, di ristrutturare la medicina territoriale così da ottenere, grazie alla creazione di studi medici associati, una disponibilità di dodici ore il giorno per sette giorni la settimana.
Già si è potuto sperimentare che le ricadute sull’occupazione di un tale riordino non sono senza proteste. Conviene, pertanto, pensare e attuare deliberazioni che abbiano anche un tocco d’originalità adeguata alle condizioni siciliane e calabresi e non limitandosi a copiare i provvedimenti attuati altrove, perciò commisurate su esperienze diverse e non necessariamente omologhe.
La vigente legislazione concernente il ripiano dei disavanzi del sistema Sanitari Nazionale, inserita nel più ampio contesto normativo sul federalismo fiscale, prevede che a ciascun livello istituzionale venga attribuita la responsabilità di spesa derivante dalle rispettive potestà decisionali. Le Regioni, pertanto, devono provvedere con proprie risorse agli effetti finanziari conseguenti agli eventuali maggiori costi di produzione per l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e/o di livelli di assistenza superiori a quelli ritenuti essenziali, all’adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione della quota capitaria di finanziamento. Solo per la maggiore spesa imputabile a provvedimenti presi a livello nazionale e attinente i Livelli Essenziali di Assistenza, si prevede la possibilità di finanziamento aggiuntivo e/o di ripiano a carico dello Stato.
Ora, per quanto riguarda il consumo dei farmaci nel 2004 la responsabilità maggiore del disavanzo ricade quasi esclusivamente su sei Regioni (Lazio, Sicilia Campania, Calabria, Sardegna e Puglia), che da sole determinano il 99,8% dell’extratetto; Lazio e Sicilia da sole fanno il 58% dello sfondamento, con una spesa al 19%.
Inoltre, il disavanzo accumulato dalle Regioni per erogare i Lea è concentrato strutturalmente in 5 regioni (Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna).
Problemi di grande serietà che non si possono affrontare con superficialità, con l’atteggiamento “qualcuno – magari lo Stato – provvederà” né con forme di tradizionale fatalismo meridionale: dobbiamo riuscire a dimostrare di essere responsabili, preparati e correttamente creativi
Riguardo i cosiddetti “viaggi della speranza” relativi alla ricerca di una sanità affidabile. La Regione (dati concernenti il 2002), con il più alto saldo migratorio passivo (mobilità passiva meno mobilità attiva), è la Campania (195.564), ma subito seguita dalla Sicilia (155.712) e dalla Calabria (152.973). Di cui arrivano in Lombardia: dalla Calabria 13.355 pari al 6,8 del saldo attivo e dalla Sicilia 22.411 apri all’11,5 del saldo attivo.
Per ridare fiducia ai seri professionisti che lavorano dalle nostre parti, a volte si tratta di agire su tecniche di comunicazione (far sapere che esistono professionisti e strutture di ottimo livello in loco senza necessità di spostarsi altrove), a volte di migliorare effettivamente gli standards strutturali, organizzativi, tecnologici, professionali della sanità nel sud.
Lo stesso settore agricolo non si sottrarrà alla nuova visione del Welfare e ha urgenza di un’impostazione moderna in grado di traghettare questo comparto produttivo, la cui importanza non è certo trascurabile dalle nostre parti, da un impianto essenzialmente assistenzialistico (volto più alla "distribuzione" che alla "gestione" degli aiuti pubblici, nazionali e comunitari) ad uno decisamente più imprenditoriale, capace di individuare e privilegiare forme di investimento lungimiranti, legate al territorio ed alla promozione di prodotti di qualità delle tipicità locali. Come sta avvenendo nelle regioni ad agricoltura moderna.
Le caratteristiche fondamentali per una classe dirigente rispondente ai tratti abbozzati sono:
1 sentirsi ricca d’identità, ossia all’altezza della storia, tradizione, cultura cui si appartiene,
2 avere coscienza della complessità senza lasciarsene angustiare,
3 sottoporre le proprie competenze a un programma di continuing formation, che comprenda anche i risvolti etici del proprio operare (compresi quelli relativi all’impatto ambientale per una questione di equità generazionale),
4 avere la capacità di contestualizzare proprie cognizioni e abilità grazie a precisi dinamismi organizzativi, ossia managerialità. Tale managerialità trova senso, e non secondario, anche in campi finora rimasti fuori della portata di questo termine, quali la scuola e soprattutto le burocrazie amministrative.
A tutto ciò occorre aggiungere:
1 attitudine a fare scuola, a trasferire sapere ed esperienze ai propri collaboratori essendo indispensabile un’ampia e autonoma intraprendenza di tutti gli individui di un insieme,
2 bravura per l’interconnessione, per la creazioni di reti, attraverso cui accelerare i processi conoscitivi, lo sforzo di ammodernamento e la ricerca di partnership locali e di alleanze nazionali e internazionali.
Un ceto politico, regionale e locale, mostra d’essere coerente con i requisiti appena tracciati se è molto attento al cambiamento, se ne coglie le opportunità per lo sviluppo di un piccolo paese, di una città o di un’intera regione, se ricerca e costruisce coesione e condivisione d’obiettivi.
Probabilmente, l’accento va posto proprio su questa volontà coesiva, vale a dire su una volontà tesa al dialogo e alla collaborazione tra i tre livelli d’amministrazione, regionale, provinciale e comunale. Risultati importanti per la crescita del territorio e per la realizzazione unitaria d’interventi d’ampio respiro si avranno solo se si crea un abituale fattivo dialogo, fra comune, provincia e regione. Un dialogo niente affatto scevro da pur energici contrasti, emergenti non solo per differenza di schieramento politico ma per molteplicità d’esperienze e di bisogni, che si dovrà tuttavia mantenere alieno da qualsivoglia ostilità e risentimento ancora così difficili da sradicare dalla permalosità individualistica tipicamente meridionale.
Già i Fondi Sociali Europei obbligano a stretti legami di collaborazione con un’equa e razionale distribuzione delle spese tra i vari soci, senza sbilanciamenti a favore dell’uno piuttosto dell’altro. Il VI Programma Quadro mette un forte accento sui consorzi, in grado di coinvolgere partners molteplici e di avanzare un cospicuo volume di proposta. Tale condizione del raggiungimento di un’appropriata massa critica rende indispensabile sia un coordinamento orizzontale tra enti locali, imprese e università per aggregare bisogni e capacità d’iniziativa in un piano organico, sia un’integrazione verticale per rendere partecipi dei propri obiettivi istituzioni sempre più vaste fino al governo nazionale e organismi dell’UE.
Gli imprenditori, da parte loro, devono saper costruire una concreta abilità ad attirare capitali e ad usufruire dei piani di sviluppo messi a punto a livello europeo e nazionale assecondandone con talento lo stimolo alla crescita da essi perseguito, senza evitare aprioristicamente il rischio ed evitando invece, ad ogni costo, comportamenti predatori che si pagano poi in termini d’inaffidabilità e perciò con l’esclusione dai circoli virtuosi degli investimenti. Mi consta, inoltre, che molte piccole e medie imprese debbono avere coscienza di dover trattare al più presto il trapasso generazionale, dai genitori-padroni ormai attempati e con schemi gestionali obsoleti, ai figli o managers preparati ad affrontare i cambiamenti in atto.
La politica delle grandi opere, una delle quali è la costruzione del ponte sullo stretto, è un decisivo banco di prova degli anni avvenire. Si prospetta una grande opportunità per impedire che il ponte ci trasformi in un semplice luogo di transito per investimenti e iniziative commerciali pensati altrove e con benefici altrove goduti. Il ponte consentirà all’Italia di affacciarsi in modo efficiente sui Paesi a sud del Mediterraneo, il cui sviluppo in questo secolo è certo e deve trovare anche il sostegno di energie siciliane e calabresi. Non dimentico che abbiamo già pronta un’altra infrastruttura, il porto di Gioia Tauro, con una lampante proiezione mediterranea tutta ancora da sfruttare.
Parlando più in generale, senza limitarci solo al ceto politico e a quello imprenditoriale, la classe dirigente meridionale può crescere in autorevolezza scrollandosi di dosso la sonnolenza del provincialismo, dell’assistenzialismo e dell’autocommiserazione. Ha spazio per elaborare consapevolezza e buona considerazione di se stessa, che consentano di agire efficacemente in proprio, il che comporta fra l’altro premiare il merito, tenendo lontani coloro che ricorrono a espedienti e compromessi fuori dalle corrette mediazioni fra interessi non convergenti. Altrimenti lo sviluppo sarà sempre rachitico e le risorse più interessanti saranno gestite da entità esterne al meridione.
La nostra classe dirigente, con un gioco di parole, può avere più classe, più distinzione, signorilità e prestigio.
L’impressione che riporto dall’esterno – e cha ha riportato lo stesso presidente Ciampi - è, tuttavia, che ci sia una maggiore credibilità dell’impegno dei meridionali, frutto di una generalizzata elevazione culturale e professionale. Si percepisce, inoltre, un amore per la propria terra più ragionato e meno convenzionale – che non passi cioè solo per vecchi luoghi comuni - e una non più timida indignazione per le cose che non vanno e per i nemici della legalità che sono anche nemici delle libera intraprendenza.
Tali progressi sono ascrivibili all’inserimento – nelle ultime due decadi - di forze giovani e più motivate, magari formatesi fuori ma che, una volta rientrate, hanno esercitato una spinta allo svecchiamento di tipo bottom-up, nel senso che hanno condizionato con la loro preparazione e il loro spirito critico anche le generazioni precedenti ad adeguarsi ai tempi mutati e ad attrezzarsi per reggere la sfida giunta dal basso.
Tuttavia, a mio parere, la pressione più forte all’ammodernamento nasce dall’enorme rapidità di scambi e possibilità di spostamento rese possibili dalle nuove tecnologie e dal moltiplicarsi della viabilità, per terra, mare e aria.
Gli scambi culturali, resi facili da viaggi accessibili a tutti e dalla rapidità dei mezzi di trasporto, hanno portato molti a definirsi cittadini del mondo. La necessità di cambiare domicilio e residenza per motivi di studio o per destinazione lavorativa o per cercare migliori condizioni di vita ridisegna spesso il legame col territorio e i vincoli sociali creando un continuo rimescolamento della popolazione, quindi delle esperienze e del modo di vivere e di giudicare.
Poi c’è internet!
“Internet è un ambiente tecnologico ed elettronico ove si rende possibile un contatto tra l’utilizzatore di un computer e un altro soggetto – singolo o collettivo, privato o pubblico – pur esso collegato o collegabile a un computer o ad altri strumenti informatici, in forma diretta e attiva – attraverso la posta elettronica, gruppi di discussione per mezzo di scrittura e trasmissione audiovideo – o indiretta e passiva – attraverso pagine Web, o in una forma variamente combinata delle due precedenti.
Il contatto – da cui può scaturire comunicazione o ricezione d’informazioni o la prestazione di un servizio digitalizzabile – costituisce il sostantivo di Internet, ciò che gli dà sostanza e ragion d’essere. Esso può essere qualificato come veloce e delocalizzato, senza intermediari – tranne l’interfaccia tecnoelettronica – e interoperativo, multilaterale e produttivo – può connettere persone che lavorano o consentire acquisti –, in grado di rastrellare e archiviare gran quantità di dati nazionali e internazionali. Sono questi attributi di rapidità, semplificazione, dematerializzazione, multidirezionalità e tesaurizzazione a fornire luce sulle potenzialità positive e sui rischi di tale tecnologia”
Questo continuo e veloce flusso di notizie e nozioni, che diventano di dominio pubblico, rendono più arduo l’isolamento e bloccano le rendite di posizioni fondate sul potere o superate dai tempi, costringendo al rinnovamento delle menti e alla riqualificazione delle istituzioni.
Chiudo con un pizzico d’enfasi e faccio mie le parole di Martin Luther King: ho un sogno, come esiste un Modello Lombardia (di cui io stesso mi sono occupato avendo organizzato un seminario internazionale per amministratori pubblici dell’Est Europa), mi aspetto che in questa prima metà del primo secolo del terzo millennio prenda forma anche un Modello Magna Grecia la cui efficacia sia esportabile e il cui presupposto sia il rapporto tra persone e non il dominio massificante degli scambi di merci e servizi dotati di logo. In questo senso spero si possa parlare dei “distretti economico-relazionali” del Sud Italia.
Relazione : QUALE CLASSE DIRIGENTE, PER QUALE PROGETTO E PER QUALE FUTURO? di Antonio Monteleone
a cura di Maria Richichi