Comunicazione & Forme



 

 

 

La Comunicazione come Disciplina

 

Giugno 2005

                    www.formedicomunicazione.com                               

 

Redazione@


Tesi finale Corso di Alta Formazione, 9/06/2005
MOBBING
: UN FENOMENO SOCIALE O ANCHE UN VUOTO GIURIDICO?

di Antonella Loffreda


 

 

TESI FINALE
del Corso di Alta Formazione in
“OPERATORE DEI CENTRI DI ASCOLTO E
RESPONSABILI DELLE UNITA’ LOCALI”


MOBBING: UN FENOMENO SOCIALE O ANCHE
VUOTO GIURIDICO?





Coordinatore Area Giuridica                                                                          Candidata
        Dott. M. Marciano Dott.ssa                                                                     Antonella Loffreda

                                  Discussione: 9/6/2005

                                  Capofila del progetto: IRSEA
                                  Partnership: Università degli Studi di Cassino
                                                    ASL di Latina
                                                    ASL di Frosinone
                                                    Comune di Cassino
                                                    Comune di Formia
                                                    La provincia di Frosinone





Anno 2004/2005

 

MOBBING:
UN FENOMENO SOCIALE O ANCHE VUOTO GIURIDICO?
(Area Giuridica)

INDICE
 
Pag.
Introduzione
CAPITOLO I: Gli strumenti di tutela nel diritto vigente
1.1 Presupposti e caratteri.
1.2 La normativa di riferimento.
      A) Precetti costituzionali.
      B) Leggi speciali.
      C) Rilevanza civile.
      D) Rilevanza penale.
1.3 Il danno biologico e morale.
1.4 La tutela.
1.5 Come fornire la prova?
1.6 Conclusioni.

CAPITOLO II: Il mobbing in tribunale: un caso

CAPITOLO III : Proposte operative
3.1 Premessa.
3.2 Sfruttare la normativa.
3.3 Buona politica aziendale.
3.4 Ascolto e consulenza.
3.5 Investire in formazione.

Bibliografia

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INTRODUZIONE

Il termine mobbing è l’ennesimo anglismo introdotto nella lingua italiana, cui va però il merito di aver tradotto sinteticamente una complessità di comportamenti sino ad oggi privi di una definizione unificante. Bisogna però dire che questa volta la contaminazione linguistica è davvero utile ed efficace, in quanto permette di appropriarci di un concetto che, per quanto intuito da molti, non aveva ancora trovato la forza di assurgere a categoria tipizzata dell’agire umano e, come avvenuto in tempi recentissimi, anche a categoria del diritto.
Il termine mobbing deriva dal verbo “to mob”, che nella lingua corrente inglese indica essenzialmente due tipi di azioni: 1) affollarsi, accalcarsi intorno a qualcuno; 2) assalire tumultuando, malmenare, aggredire. Il sostantivo “mob”, dal latino “mobile vulgus”, significa invece folla tumultuante, spesso nell’accezione dispregiativa di gentaglia, plebaglia, banda di delinquenti. I dizionari parlano di “mob law”, legge imposta dalla piazza a furore di popolo. Il contesto, di cui stiamo trattando, è dunque centrato sul concetto cardine dell’aggressione.
Il termine mobbing risulta mutuato dalla trazione etologica: Konrad Lorenz utilizzava questa espressione per indicare l’aggressione di un gruppo di animali a danno di un altro animale del gruppo.
Le prime teorizzazioni del fenomeno del mobbing nell’ambito della psicologia del lavoro si sviluppa in Svezia, nel corso degli anni ottanta, grazie ad un gruppo di psicologi del lavoro, capitanati da Heinz Leymann .
Nel giro di pochi anni il lavoro di questo gruppo ha trovato consensi in tutta Europa: in Germania dapprima , quindi in Francia e, da qualche anno, anche in Italia .
Con la parola mobbing, inteso come fenomeno sociale, ci indica una forma di prevaricazione fisica e/o mentale, di maltrattamento ripetuto nel tempo attuato in ambiente di lavoro, fatta in modo intenzionale o strategico, da parte di un superiore (mobbing verticale o bossing) o di uno o più colleghi (mobbing orizzontale) che ha come scopo l’allontanamento dal mondo del lavoro o dall’ambiente lavorativo, provocando un danno alla salute della persona.
Il termine mobbing ha, quindi, il potere di raggruppare una universalità di comportamenti diversi, ma accomunati da due elementi: la modalità, aggressiva e vessatoria, e la finalità, l’eliminazione di questo o di quei dipendenti.
Il fatto grave, e ciò che le fa diventare mobbing, è la loro ripetizione per un periodo di tempo sufficientemente lungo , e quindi la loro riconducibilità ad una logica unitaria, di attuazione di una vera e propria strategia comportamentale premeditata, tesa a colpire vittime ben precise con l’intento di distruggerle.
Il mobbing si verifica in diverse fasi, creando spesso complicità tra colleghi che isolano la vittima e trasformano il lavoratore anche più efficiente in una persona terrorizzata che finisce per commettere errori e assentarsi spesso per malattia. Nella maggior parte dei casi il mobber è in una posizione superiore a quella della vittima e agisce da solo, ma c’è una buona percentuale di casi in cui viene supportato dai colleghi della vittima. Il capo può essere il promotore del mobbing il quale, quindi, comincia per sua iniziativa e coinvolge i colleghi che lo assecondano o lo aiutano sperando in una qualche forma di gratificazione o semplicemente per amore del quieto vivere.
Perché il mobbing?
Le cause dei problemi vanno ricercate nelle condizioni di lavoro reale: a monte di queste forme di persecuzione possono esserci carenze relative all’organizzazione del lavoro, del sistema informativo interno, una gestione inadeguata del modo di lavorare, un carico eccessivo o, al contrario, insufficiente del lavoro, il tipo di prestazione lavorativa richiesta, ma anche carenze nella politica del personale scelta dal datore di lavoro o, ancora, il tipo di atteggiamento tenuto dal datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti e le sue eventuali reazioni.
Un altro fattore rilevante, nella nascita del fenomeno, è il mondo esterno: la trasformazione del lavoro, dell’economia e della politica, che gravano su chi lavora, promuove spinte contrastanti tra profitto e diritti, imponendo fusioni e licenziamenti; flessibilità in entrata e in uscita, etc.
Ma quali sono le conseguenze dannose del fenomeno?
Il mobbing è fonte di danno principalmente per chi lo subisce, ma non solo. Innanzitutto è possibile riscontrare un forte calo di produttività nei reparti colpiti dal fenomeno, nonché il costo sociale che comportano forme di malattia psichica grave, in termini sia di indennità di malattia che di eventuali pre-pensionamenti forzosi. Ma è soprattutto nei confronti del soggetto mobbizzato che il mobbing può produrre una serie impressionante di conseguenze.
In prima battuta, questa forma di violenza può colpire il patrimonio della persona, attuale e futuro, diminuendo anche sensibilmente i benefici che egli trae dal rapporto lavorativo: il danno qui può spaziare dalla semplice perdita di chance, intese come prospettive di maggior guadagno, progressione di qualifica, miglior spendibilità di carriera all’estero, ecc., fino alla perdita del posto di lavoro, conseguenza di un licenziamento o di dimissioni ormai divenute inevitabili.
Ma il danno peculiare del soggetto vittima di mobbing è il disagio psico-fisico: non per nulla il fenomeno è stato teorizzato, e continua ad essere studiato, proprio a livello di psicologia del lavoro.
La prima conseguenza del fenomeno è la perdita, da parte della vittima, della capacità lavorativa e della fiducia in se stesso.
D’altro canto, il disagio della vittima non può non ripercuotersi anche sulla serenità dell’ambiente famigliare, che resta colpito dalla malattia di un suo componente. Con il rischio concreto che il soggetto finisca per perdere, oltre al posto di lavoro, anche la famiglia: è il fenomeno definito come “doppio mobbing”.
Il mobbing, quindi, è una condotta sicuramente in grado di provocare un danno alla salute: di tipo temporaneo, quando la sofferenza si trasforma in malattia destinata a risolversi nel tempo, di tipo permanente, se invece i danni arrecati diventano ineliminabili.
Possiamo ritenere, quindi, che la vittima di mobbing sia sempre e comunque, prescindendo da un suo eventuale danno alla salute, una persona ingiustamente colpita nella sua personalità e nella sua dignità di uomo e di lavoratore.




CAPITOLO PRIMO
GLI STRUMENTI DI TUTELA NEL DIRITTO VIGENTE

1.1 Presupposti e caratteri.
Qualora volessimo utilizzare una definizione la più giuridica possibile possiamo definire mobbing una qualsiasi condotta antigiuridica ripetuta nella continuità che si manifesti attraverso atti volontari, comportamenti, parole, atti scritti idonei ad arrecare danno alla personalità, dignità o all’integrità fisica e psichica al fine di mettere in pericolo l’impiego del lavoratore e di provocarne l’allontanamento dal posto di lavoro.
Il fenomeno pur certamente non nuovo nella storia dell’uomo, anche all’interno dei rapporti di lavoro si rileva di estrema attualità e tale da indurre a delimitarne l’ambito di valenza ed i profili di tutela.

1.2 La normativa di riferimento.
La salute, la dignità, il decoro, l’immagine, il diritto alla prestazione professionale e la personalità morale dell’individuo, sono i beni, costituzionalmente rilevanti, compromessi dalle persecuzioni operate in ambienti di lavoro ai danni del lavoratore. Nonostante l’assenza di una specifica legislazione in materia di mobbing, la tutela di tali beni compromessi trova riconoscimento giuridico sia nei precetti costituzionali, sia nelle leggi speciali (statuto dei lavoratori, legislazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro, di molestie sessuali, di assicurazione obbligatoria INAIL) sia in quelle ordinarie (norme civili e penali).

A) Precetti costituzionali.
Un primo strumento di tutela contro il fenomeno mobbing ci giunge dalle numerose norme di rango costituzionale che vengono richiamate dalla giurisprudenza di legittimità e di merito a salvaguardia del lavoratore aggredito, offeso e perseguitato dai propri mobbers. Prima fra tutti, la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, così come sancita all’art. 2 della Costituzione , che attribuisce all’individuo un vero e proprio diritto soggettivo alla dignità professionale.
Né si può prescindere dal dettato normativo dell’art. 32 della Costituzione che, in tema di risarcibilità del danno alla salute, sia essa del lavoratore o dell’individuo, la fa da padrone. Ed, infatti, non a caso, è stato invocato dalla Corte Costituzionale un simile precetto, onde consentire, al di fuori delle ipotesi di risarcibilità del danno patrimoniale e del danno morale, quella del danno biologico quale lesione dell’integrità psicofisica dell’individuo.

B) Leggi speciali.
Un decisivo passo in avanti, infatti, sul piano della tutela effettiva della stabilità del posto di lavoro è stato compiuto proprio con la Legge 20/5/1970 n. 300, meglio nota come Statuto dei Lavoratori. La Legge è pur sempre uno dei più autorevoli strumenti di tutela: contiene, infatti, una serie di previsioni che riguardano la tutela del singolo lavoratore sotto il profilo della sua dignità. Numerose sono le norme statutarie che andrebbero richiamante per specifica rilevanza contro le vessazioni e persecuzioni in ambiente di lavoro. Si ricordino principalmente la tutela delle mansioni del lavoratore da comportamenti di dequalificazione professionale (art. 13 di riforma dell’art. 2103c.c.) , l’obbligo di specifica procedura disciplinare per evitare abusi di potere del datore di lavoro (art. 7) , la tutela della nullità degli atti che abbiano finalità discriminatorie ai danni del lavoratore (art. 15) , la tutela della salute e dell’integrità fisica (art. 9) ed infine l’art. 18 sul reintegro nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento.
Tra la legislazione speciale, non va poi dimenticata, la legge contro le molestie sessuali (Legge n. 66 del 1996) e quella di igiene e sicurezza sul lavoro (D.Lgs n. 626 del 1994) riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Definisce che il datore di lavoro (art. 4 comma 5 lett. c), nell’affidare i compiti ai lavoratori, deve tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza (vedi tavola n. 1). Né può essere trascurato, sempre in materia di legislazione speciale, il recente D.Lgs. 23/2/2000 n. 38, che ha introdotto la tutela assicurativa INAIL del danno biologico. La salute e la personalità del lavoratore trovano, nell’ordinamento vigente, ampio riconoscimento.

IGIENE E SICUREZZA SUL LAVORO

Principali fonti normative Art. 35 Cost.
Art. 41 Cost.
Art. 2087 c.c.
D.Lgs 626/94
Art. 9 L. 300/70 (cd. Statuto dei Lavoratori)
Misure generali di tutela Valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza.
Rispetto dei principi ergonomici.
Prevalenza di misure di tutela collettive su quelle individuali.
Controlli sanitari dei lavoratori.
Informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei
lavoratori.
Manutenzione degli ambienti di lavoro.
Nomina obbligatoria di no o più rappresentanti dei lavoratori per
la sicurezza.
Destinatari degli obblighi di tutela Datore di lavoro, dirigenti e loro preposti.
Il datore di lavoro si identifica nel titolare del rapporto di lavoro
con il lavoratore o in chi ha la responsabilità dell’impresa o unità
produttiva.
Nel pubblico impiego per datore di lavoro si intende il dirigente cui spettano poteri gestionali.
Beneficiari della tutela Persone che abbiano stipulato un contratto di lavoro subordinato, anche se speciale.
Ai portieri ed ai lavoratori domestici si applicano solo le norme espressamente richiamate.
Soggetti tenuti
alla vigilanza sul rispetto
delle norme di prevenzione
Aziende sanitarie locali.
Direzioni provinciali.
Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano.
Uffici di sanità aerea e marittima.
Autorità marittime, portuali ed aeroportuali.
Servizi sanitari e tecnici istituti per le Forze armate e di Polizia.
Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente.

Tavola n.1

C) Rilevanza civile.
In materia civile, rilevano, a salvaguardia dei diritti dell’individuo, in quanto lavoratore, non solo i generali principi del “neminem laedere” (art. 2043 c.c.) e del rispetto dei doveri di buona fede (art. 1375 c.c.) e correttezza (art. 1175 c.c.) , ma anche quelli specificatamente previsti in ragione del rapporto di lavoro in essere tra le parti.
Grava, infatti, sul datore di lavoro, l’obbligo di tutela della integrità fisica e della personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.) , anche per fatti illeciti dei propri dipendenti (art. 2049 c.c.) , oltre al doveroso rispetto del diritto del lavoratore all’esplicazione della propria prestazione professionale (art. 2103 c.c.) .Un ulteriore istituto a tutela dei diritti del lavoratore è quello che sancisce il divieto delle rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c. , effettuate dal prestatore di lavoro su diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti o accorso collettivo di lavoro.

D) Rilevanza penale.
La tutela del lavoratore, non è solo civilistiva, essendo penalmente sanzionabile l’autore del mobbing anche per comportamenti tali da integrare la fattispecie di reato. Spesso i comportamenti che integrano la condotta mobbing assumono anche rilevanza penale. In questi casi potranno risultare applicabili una serie di norme che si elencano a titolo meramente esemplificativo:
• l’art. 590 c.p., rubricato “Lesioni personali colpose” che sanziona, con previsione generale, chi cagioni con colpa una lesione personale ad altri;
• l’art. 594 c.p., “Ingiuria”, che punisce l’offesa all’onere o al decoro di una persona presente, anche quando l’ingiuria sia commessa attraverso comunicazione telefonica o scritta;
• l’art. 595 c.p., “Diffamazione”, che sanziona il comportamento di chi leda la reputazione di un altro soggetto;
• l’art. 323 c.p., “Abuso d’ufficio”, che punisce chi procura ad altri un danno ingiusto;
• l’art. 609 bis c.p., “Violenza sessuale”, che punisce il comportamento di chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali, fattispecie questa applicabile anche a tutti i casi di molestia sessuale;
• l’art. 610 c.p. “Violenza privata”, che riguarda tutti i casi in cui si costringa altri a fare, tollerare od ometter qualcosa con violenza o minaccia.

1.3 Il danno biologico e morale.
In caso di mobbing, quale può essere l’oggetto di tutela?
Dalle definizioni fin ora espresse, l’offesa appare essere prima di tutto alla dignità delle persone, evento che porta con sé molteplici conseguenze, ecco perché è giusto dire che il mobbing ha un carattere “plurioffensivo”. Quali possono essere i risarcimenti adeguati?
Spesso si sente parlare di danno biologico. Ma che cos’è esattamente? Negli anni ottanta, ci fu una lunga e contrastata giurisprudenza che lavorò intorno al tentativo di adeguare il riconoscimento giuridico del danno alla realtà molto più complessa delle persone che lo subiscono.
Punto di partenza era il riconoscere i limiti di un modello di diritto privato che relega tutta la tutela della persona in sede civile alla sola dimensione dell’avere (reddito, professionalità, ecc.); così se condotte illecite portano alla eventuale perdita di questi beni (o parte di essi) di conseguenza si ha il diritto ad essere risarciti. E’ possibile ottenere tutela risarcitoria come persone, espressioni cioè di interessi differenziati e di bisogni molteplici ed anche immateriali?
La tutela di questo tipo di “interessi immateriali” esiste: è il risarcimento del cosiddetto danno patrimoniale, cioè il riconoscimento di quel “turbamento personale e interiore” che consegue a talune condotte illecite come le lesioni personali, le ingiurie, le calunnie, la violenza.
La compromissione del bene “salute”, riconosciuto come diritto primario, determina il diritto di un risarcimento che non può essere limitato alle conseguenze che incidono sulla capacità di produrre reddito, ma deve considerare anche quelle menomazioni dell’integrità psicofisica di un soggetto che riflettono sulla globalità della sua personalità, intesa quindi anche nelle sue componenti biologiche, estetiche, sociali, culturali, ossia sull’integrità psicofisica del soggetto. In questo caso, considerando un evento lesivo dell’integrità personale, la Suprema Corte ha specificato che il danno biologico e quello patrimoniale attengono a due distinte sfere di riferimento: il primo riguarda il cosiddetto danno alla salute ed il secondo fa riferimento alla capacità di produrre reddito .
Il danno biologico (art. 2087 c.c.), non può essere sovrapposto al danno morale di cui all’art. 2059 c.c. , che deve ritenersi tanto consequenziale quanto concettualmente distinto dal danno biologico; il danno morale comprende tutte le sofferenze psichiche e morali subite a causa del comportamento illecito dell’agente.

Nei casi di mobbing tale danno sarà riscontrabile in termini statisticamente rilevanti ogni qual volta risulti accertata l’insorgenza di una malattia.

1.4 La tutela.
La disposizione chiave per la tutela contro qualsiasi condotta persecutoria, discriminatoria o vessatoria che, incidendo sulla figura personale e professionale del lavoratore, provochi conseguenze lesive per la salute è rappresentata dall’art. 2087 del codice civile, a norma del quale: “L’imprenditore è tenuto a adottare nell’esercizio dell’impresa la misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (…)”.
Tale norma è stata interpretata dalla giurisprudenza alla luce degli articoli 32 e 41 comma 2 della Costituzione , che rispettivamente tutelano il diritto alla salute come diritto di rango primario e limitano la libertà di iniziativa economica privata, vietandone l’esercizio con modalità tali da pregiudicare la sicurezza e la dignità umana, e degli articoli 1175 e 1375 c.c., disciplinanti il principio di correttezza e di buona fede in tutti i rapporti dotati di rilevanza giuridica per il nostro ordinamento, quale è certamente quello di lavoro. Seguendo questo orientamento, i giudici di legittimità hanno riconosciuto in capo al datore di lavoro un vero e proprio obbligo di mettere in atto tutte le misure generiche di prudenza e diligenza necessarie e sufficienti per la tutela psicofisica del lavoratore. Ciò implica per il datore non solo il divieto di comportarsi in modo lesivo dell’integrità fisica e della personalità morale del dipendente, ma anche il dovere di prevenire e scoraggiare simili condotte nell’ambito dello svolgimento dell’attività lavorativa. L’inadempimento di tale obbligo genera la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, vale a dire la responsabilità per non avere adempiuto ad un’obbligazione oggetto del contratto di lavoro stresso.
Integra un caso di mobbing e, quindi, di responsabilità contrattuale del datore di lavoro (che nasce sempre dalla combinazione degli artt. 2087 c.c e 32 e 41 Cost.), anche la sottoposizione del lavoratore a un’attività estenuante, o la richiesta di un impegno eccessivo che superi la normale tollerabilità.
Secondo parte della giurisprudenza la responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. può concorrere con quella extracontrattuale originata dalla violazione di diritti soggettivi primari (artt. 32 e 41, comma 2 Cost.). Sul datore di lavoro grava, infatti, oltre alla specifica responsabilità stabilita dall’art. 2049 c.c., che disciplina la responsabilità datoriale per il fatto illecito commesso dai dipendenti nell’esercizio delle incombenze lavorative, anche il generale obbligo previsto dall’art. 2043 c.c., disposizione in base alla quale: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

1.5 Come fornire la prova?
Sembra opportuno fare riferimento alla difficoltà per il lavoratore di fornire la prova, in sede giudiziale, che i danni subiti di cui richiede l’accertamento e il risarcimento, siano diretta conseguenza di condotte mobbizzanti. Secondo la giurisprudenza e la dottrina, per dimostrare la sussistenza del nesso causale, non basta stabilire l’esistenza di un rapporto di consequenzialità tra un comportamento e un evento, ma occorre che tale evento rappresenti una conseguenza normale del comportamento. La prova del nesso di causalità tra condotta e danno è complicata dal fatto che, quando si parla di danno biologico, psichico, o da mobbing non esiste “la causa”, ma una genesi multifattoriale della lesione prodotta.

1.6 Conclusioni.
In assenza di una disciplina normativa, il fenomeno mobbing trova difficoltà ad essere inquadrato in formule di rigorosa tecnica giuridica data la complessa natura degli interessi violati. Perciò, non resta che interpretare disposizioni già presenti nel nostro ordinamento in modo estensivo.
L’analisi e la tutela del fenomeno mobbing, quindi, non può prescindere da un’analisi sistematica delle norme del codice civile dettate in materia di rapporto di lavoro. Al fenomeno del mobbing saranno, dunque, applicabili, in quanto compatibili, tutti quegli aspetti del rapporto di lavoro regolati da norme inderogabili.
Il problema è, purtroppo, di grande difficoltà e richiede una pronta e sollecita definizione attraverso la predisposizione di strumenti giuridici efficaci e deterrenti, dal momento che questo fenomeno ha assunto particolare dimensione proprio per la natura sociale degli interessi violati, che hanno rilievo non solo per il lavoratore ma anche per la società minandone seriamente la crescita e lo sviluppo.

CAPITOLO II
IL MOBBING IN TRIBUNALE: UN CASO

Qui si seguito sarà raccontata una delle tante storie finite in tribunale e che il tribunale ha voluto come causa per “mobbing”, sebbene non ci sia ancora una legge che punisca questo tipo di violenza. La lettura di questa sentenza, come tutte le altre d’altronde, finisce, di fatto, per delineare una sorta di definizione del fenomeno e per identificare una forma di risarcimento (danno biologico, ma anche esistenziale) più adeguata al caso. Nonostante l’assenza di una legge nazionale che sanzioni e definisca il mobbing, ciò non ha impedito ai giudici, ai quali è stata chiesta tutela, di decidere utilizzando principi generali già contenuti nel nostro diritto.

Questa storia è stata tratta dal libro: Antonella Marrone, Mobbing, Nuova Iniziativa Editoriale S.p.A., 2004 (supplemento al numero del quotidiano l’Unità).

Il vigile urbano e il sindaco.
Tempio Pausania 10 luglio 2003
Nel comune di Loiri Porto San Paolo, in Gallura, A. fa il vigile urbano. E’ una giovane donna rigorosa, poco incline a favoritismi e compromessi nell’applicazione della legge. Ma al sindaco non piace. Il sindaco è un tipo che urla, il tipo “te la faccio pagare io!”, è il tipo che pochi mesi prima della sua elezione dice:“Se vuoi che andiamo d’accordo devi cancellare dalle tue amicizie i miei nemici politici”. Il tipo che da del “tu” e riceve del Lei. I rapporti si deteriorano in breve tempo. Il sindaco chiede ripetutamente ad A. di impegnarsi in compiti che non hanno niente a che fare con le sue competenze. Cerca di criminalizzarla davanti ai colleghi, di ghettizzarla sotto il profilo umano e professionale sottoponendola ad un controllo particolarmente intenso e persecutorio. Nel maggio del 1998, per motivi familiari, A. chiede il trasferimento nel comune di Olbia. Il sindaco rigetta la sua richiesta con una lettera sprezzante. A. viene colta da uno stato depressivo senza precedenti nella sua vita e nel maggio del 2000 deposita un ricorso al Tribunale di Tempio Pausania lamentando una condotta mobbizzante nei suoi confronti. Il Tribunale ricostruisce il rapporto di lavoro e trova che all’origine del deterioramento c’è un episodio:A. aveva avviato una pratica per ottenere la qualifica di agente di pubblica sicurezza e il Sindaco, invece di inoltrare la documentazione alla Prefettura, richiese espressamente la sospensione della pratica. Si comincia a delineare così un intento persecutorio da parte del Sindaco: i provvedimenti nei confronti di A., sono illegittimi e la danneggiano; le contestazioni che vengono fatte nei suoi confronti mortificano la sua personalità perché fondata su generiche critiche al suo cattivo carattere. Che ci fosse un “intento persecutorio” risulta confermato da ulteriori vicende, prima fra tutte il fatto di aver fisicamente separato A. dagli altri agenti di polizia municipale, facendole prestare l’attività lavorativa in un locale distinto da quello del comando di polizia municipale, in uno stanzino ricavato da un sottoscala, nel quale, secondo quanto è emerso dalle dichiarazioni di un teste, nessun dipendente era mai stato collocato. Il Tribunale va avanti nell’istruttoria, trova episodi, li collega una all’altro.
2 novembre 1999: A. sta parlando di una questione di lavoro con l’addetta del Ufficio Servizi Elettorali. Il sindaco le vede, le apostrofa dicendo loro: “Smettete di fare salotto e lavorate” e si rivolge solo a A. urlando: “Questo non è il tuo posto di lavoro. Torna al tuo posto di lavoro!”. Il fatto è stato pienamente confermato dalla teste la quale ha anche precisato che, in un successivo incontro con il sindaco (sollecitato da lei stessa per chiedere spiegazioni sull’accaduto e del quale si era recata con un proprio rappresentante sindacale), costui si era limitato ad affermare che non ce l’aveva con lei, ma bensì con A.
Ancora novembre: un richiamo scritto con cui il Sindaco afferma: “Ho personalmente potuto verificare che la S.V. continua ad assentarsi dal posto di lavoro per recarsi al bar dopo le ore 9.00 contravvenendo a precise disposizioni verbali e scritte in questa Amministrazione”. “Non occorre, in questa sede, esaminare la vicenda in modo particolarmente analitico - scrive il giudice – basti rilevare che, secondo quanto deposto dalla teste, la disposizione per cui i dipendenti non si potevano recare al bar dopo le ore 9.00 era da tutti disattesa”.
Ancora: un ultimo provvedimento con cui il Sindaco comunica al Responsabile del Servizio Vigilanza che deve essere applicata ad A. una multa di importo pari a 4 ore di retribuzione perché il 25 novembre 1999, alle ore 14.05 nel passare in prossimità del rilevatore delle presenze non gli avrebbe rivolto il saluto ed, invitata ad essere rispettosa e a salutare, avrebbe risposto: “E poi se voglio la saluto e se non voglio non la saluto”.
Che cosa ne pensa il giudice? “Va sottolineato che ciò che si rileva in questa sede, indipendentemente dalla legittimità o meno della segnalazione disciplinare, è se la stessa sia stata utilizzata con una finalità persecutoria. A tale quesito può ad opinione di questo Giudice, rispondersi positivamente, solo se si consideri che il mancato saluto, da parte della ricorrente, si inserisce in una situazione di conflitto personale ormai esacerbato. In tale situazione di accentuata tensione, la richiesta di sanzionare il mancato saluto (verificatosi in una occasione) con la multa di importo pari a 4 ore di retribuzione pare comunque eccessiva – anche perché da un lato, sembra che neppure il Sindaco abbia rivolto il saluto alla ricorrente, e, dall’altro, non può sottacersi che egli, per primo, non ha improntato il proprio comportamento nei confronti della ricorrente, secondo canoni di formale rispetto. Basti pensare, a questo proposito, al fatto che le contestazioni orali sono state talvolta formulate, alla ricorrente, alla presenza di terzi e alzando la voce, nonché al fatto che mentre la ricorrente si rivolge al Sindaco usando il “Lei” il Sindaco, nei confronti della ricorrente, usa disinvoltamente il “tu”. Sono state inoltre dedotte, dalla ricorrente, varie prove testimoniali aventi ad oggetto i rapporti tra il Sindaco ed altri dipendenti, onde dimostrare che in varie occasioni costui avrebbe adottato un atteggiamento di contrapposizione con coloro che non la pensavano esattamente come lui. Riassumendo, dunque, quanto emerso dall’istruttoria, nel caso in esame, si ravvisano le caratteristiche tipiche della condotta di mobbing”.

 

CAPITOLO III
PROPOSTE OPERATIVE

3.1 Premessa.
Una parte consistente dei fattori di rischio risiedono nelle modalità di funzionamento tipiche di ogni organizzazione: nello stile di comando dei suoi capi, ad esempio, nel modo di organizzare le attività nei posti di lavoro, nella capacità di offrire un clima di lavoro se non positivo almeno accettabile. Ne deriva che le cosiddette “buone pratiche” sono utili ma sino ad un certo punto. Sono utili, in quanto permettono di utilizzare l’esperienza altrui senza pagare tutti i costi della sperimentazione di soluzioni nuove. Sono tuttavia inutili quando vengono copiate da un’organizzazione all’altra senza considerare le specificità che hanno portato una certa procedura o una certa soluzione ad essere efficace in quel determinato contesto.
Ciò detto una tipologia di intervento, che l’ente o l’azienda potrebbe utilizzare, è quello di investire nella prevenzione.

3.2 Sfruttare la normativa.
Il D.Lgs. 626/1994 e le sue successive modifiche offrono l’opportunità, e impongono l’obbligo, di inserire la valutazione dei rischi relativi all’organizzazione del lavoro nella normale attività produttiva. E’ assodato che la sicurezza sul lavoro va perseguita come attività preventiva che passa al vaglio tutto il processo produttivo per mappare le situazioni di rischio potenziali. Molti fattori che costituiscono rischio lavorativo generale ai sensi di questa normativa sono ugualmente fattori di rischio specifici per il mobbing. Sfruttare la normativa, dunque, significa potere occuparsi di prevenzione al mobbing senza dover richiedere risorge aggiuntive, che enti e aziende potrebbero essere riluttanti a fornire. Significa anche segnalare ad enti ed aziende non solo l’opportunità etica di tali investimenti, ma anche la natura delle conseguenze civili e penali del mancato assolvimento di questi obblighi.


3.3 Buona politica aziendale.
Potrebbe essere utile stipulare e comunicare una politica aziendale nei confronti dei comportamenti impropri sul posto di lavoro. E’ necessario che la volontà dell’ente o dell’azienda di non tollerare comportamenti di intimidazione, aggressione, vessazione sia affermata in modo ufficiale e non ambiguo. Questo tipo di politica comunicata a tutti i livelli gerarchici offre inoltre le parole per dirlo anche a chi, trovandosi oggetto di questi comportamenti, potrebbe scambiarli per situazioni sgradevoli ma da sopportare purché congruenti con “il modo in cui vanno le cose qui dentro”. La presenza di molte persone che sono o si ritengono ricattabili aumenta la possibilità di affermare ufficialmente che alcuni comportamenti non sono tollerati.

3.4 Ascolto e consulenza.
Considerare l’opportunità di offrire ai lavoratori una istanza professionale di ascolto e di consulenza per quanto riguarda le possibili vicende della propria carriera lavorativa e del proprio sviluppo professionale. La consulenza di carriera (career counseling) può assumere svariate forme, tutte accomunate dall’offrire la possibilità di fare il punto sulla propria situazione personale in momenti di particolare rilevanza: combiamenti di lavoro o di obiettivi professionali, constatazione di aver bisogno di formazione, eventi non previsti che mettono in luce propri punti di forza che si vogliono sfruttare o punti di debolezza ai quali si vuole porre rimedio. Predisporre, quindi, figure specifiche di garanzia per offrire forme diverse di aiuto a chi è già in difficoltà o sottoposto a comportamenti vessatori.

3.5 Investire in formazione.
Potrebbe esser utile investire nella formazione dei dipendenti, ma in particolare sui capi, per quanto riguarda le dinamiche tipiche del mobbing e in generale dei comportamenti impropri sul lavoro. Questa attività di formazione ha due effetti: un effetto diretto, legato ai contenuti, perché aiuta a riconoscere i fattori di rischio e i primi segnali di difficoltà delle persone coinvolte; un effetto indiretto, di rafforzamento dei processi generali di buona gestione delle risorse umane, perché rende evidente l’interesse dell’organizzazione per alcuni obiettivi. Va segnalato il rischio di privilegiare la sola trasmissione di contenuti (quali comportamenti vanno evitati, come si riconoscere il mobbing, ecc.) e di precetti standard di comportamento, soprattutto in un momento di grande effervescenza del mercato dell’offerta formativa su questi temi. Un corso standard che si limita a tenere in aula per qualche ora o qualche giorno i capi ha poche probabilità di garantire risultati reali, senza porre attenzione a come le politiche anti-mobbing intersecano le procedure e gli stili di funzionamento quotidiano.

BIBLIOGRAFIA


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SITI INTERNET

- www.diritto.net
- www.lavoropubblico.formez/mobbing/html
- www.legge-e-giustizie.it
- www.mobbingonline.it
- www.unicam.it

 

Antonella Loffreda