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L'attualità tra le pieghe della cultura:

il Latino, e il suo "vivo" linguaggio-

___ ovvero il ruolo centrale, assunto, nella storia della cultura e della civiltà occidentali; e la sua vivacità letteraria che può essere colta attraverso la lettura diretta dei testi classici ___
Il latinista Luigi Miraglia che ha maturato una grande esperienza come docente al liceo ‘Calamandrei’ di Napoli, riprendendo e divulgando un metodo ideato dal danese Hans H. Orberg, lo sta diffondendo nelle scuole italiane.
Avviate, le sperimentazioni, in molti Licei del territorio nazionale.

“Ma prof., a cosa serve studiare il latino?”. Ecco la domanda che può, credo, mettere in difficoltà molti insegnanti che, pur amando l’insegnamento e il latino, spesso incontrano difficoltà nel coniugare questi due elementi. Infatti, sembra davvero sempre più difficile indurre degli adolescenti ad immergersi, sia pure per poche ore la settimana, nello studio di lessico e norme relative ad una lingua “morta”.
Il punto è proprio in questa definizione inquietante e funerea. Nessuno ha dubbi sul fatto che abbia un senso studiare delle lingue straniere “vive” e soprattutto l’inglese, che è ormai la lingua veicolare per eccellenza, la lingua con cui, sia pure nella sua forma più semplificata e talora quasi sgrammaticata, il cosiddetto globish, si può comunicare a livello appunto globale. Tuttavia, che senso può avere, oggi, spendere mesi e anni della propria adolescenza a litigare con declinazioni, costrutti strani, periodi intricati, nello sforzo titanico di apprendere una lingua che non parla più nessuno e che anche la Chiesa stessa ha da decenni eliminato dai riti correnti e ha relegato ai documenti scritti e a occasioni particolari? Tornando al quesito iniziale, insomma, a cosa serve studiare il latino?
La risposta che generalmente veniva e viene fornita alle schiere di liceali rosi da questo dubbio è che il latino aiuta a sviluppare il senso logico, le capacità di analisi e sintesi, attraverso una sorta di “ginnastica mentale” che può costituire una solida base su cui innestare tante altre conoscenze. Posto di fronte a queste argomentazioni, in genere, il liceale diligente e motivato decide di immolarsi e sacrificare tempo ed energie preziose sull’altare di tale “palestra”, da cui continua a non cogliere soddisfazioni immediate, ma che spera troverà un senso nell’ambito di una sua più complessa formazione culturale. Le stesse argomentazioni, tuttavia, generalmente non riescono ad indurre lo studente meno diligente e meno motivato ad uno studio almeno minimamente decoroso e, di conseguenza, si arriva, nella scuola di oggi, a livelli mediamente sempre più modesti nella conoscenza del latino, con grande dispiacere della terza componente studentesca, che ancora non abbiamo citato, ovvero lo sparuto manipolo di ragazzi che riescono ad appassionarsi allo studio di una lingua così simile eppure così diversa dall’italiano, ad apprezzare tanti testi scritti in latino, a riflettere sul ruolo centrale che per secoli la lingua di Roma ha giocato nella storia del Mediterraneo prima e dell’occidente europeo poi.
Ebbene, c’è qualcuno che in questi ultimi anni ha cominciato a puntare proprio su due aspetti potenzialmente stimolanti e attuali del latino, ovvero il suo ruolo centrale nella storia della cultura e della civiltà occidentali e la sua “vivacità”, che può essere colta eminentemente attraverso la lettura diretta di testi che toccano temi e generi molto vari e spesso di bruciante attualità e che rivelano tutte le sfumature di una lingua che ha ancora molto da dire anche agli uomini del terzo millennio.
In particolare il prof. Luigi Miraglia che ha maturato una grande esperienza come docente al liceo ‘Calamandrei’ di Napoli, riprendendo e divulgando un metodo ideato dal danese Hans H. Orberg, sta diffondendo nelle scuole italiane una nuova prospettiva per la didattica del latino, che poi in realtà tanto nuova non è, in quanto va a riprendere criteri che stavano alla base del metodo adottato secoli fa nelle scuole dei Gesuiti.
Sì, avete capito bene, proprio i Gesuiti, che nell’insegnamento del latino, allora nei fatti lingua veicolare a livello europeo, ben “viva” quindi e necessaria per la trasmissione della cultura a vasto raggio, applicavano metodologie molto vicine al total physical response oggi connesso allo studio delle lingue moderne, ambito nel quale nessuno si sognerebbe un approccio fatto più di teoria che di conversazione e lettura diretta dei testi. In seguito, però, ci fu l’Illuminismo che, nel respingere i Gesuiti per tutto ciò che di retrivo sembravano rappresentare, di fatto affossò anche un aspetto invece molto valido della didattica da loro elaborata e aprì la strada ad uno studio “tutto teoria” del latino che si consoliderà nel corso dell’800, per arrivare sostanzialmente con le stesse caratteristiche fino a noi.
Ora, cosa ha perso lo studio del latino durante questo secolare percorso? Proprio la “vita”, la sua caratteristica di lingua parlata, veicolare, europea, non ristretta al solo ambito ecclesiastico. Già il Pascoli, del resto, da fine latinista qual era, temeva che in effetti proprio questa caratteristica si perdesse, nei meandri di un approccio che si proponeva agli studenti attraverso la noia oggettiva di certe minuzie teoriche, prima che attraverso un contatto “vivo” e parlato con la lingua, mirato innanzi tutto all’apprendimento del lessico di base e delle strutture morfo-sintattiche essenziali per la comprensione dei testi.
Lingua latina per se illustrata edito dall’Accademia Vivarium Novum, propone insomma un approccio assolutamente nuovo per la didattica del latino, almeno pensando al panorama delle scuole italiane, dove pure sono sempre più numerosi i licei che avviano sperimentazioni legate a questo metodo. L’idea è partire da semplici testi creati ad hoc e, attraverso la spatialization, che ormai normalmente si applica allo studio delle lingue moderne, portare lo studente a memorizzare progressivamente e velocemente il lessico di base, selezionato a monte con l’ausilio degli studi frequenziali. Questi testi consentiranno infine di apprendere le nozioni fondamentali di morfo-sintassi, ricavandole attraverso un approccio diretto e non aridamente teorico con la lingua. L’altro aspetto centrale della proposta di questo giovane e brillante latinista è, last but not least, l’uso costante del latino come lingua parlata, in classe, fin dalle prime lezioni, proprio come si fa normalmente nell’insegnamento delle lingue moderne.
Tornando quindi, e per concludere, alla questione iniziale, la suggestione di una prospettiva didattica di questo tipo potrebbe consistere innanzi tutto proprio nel proporre il latino come lingua “viva”, parlata al pari dell’inglese o del tedesco, e poi nel proporlo come lingua della nostra civiltà. Ecco allora che una possibile risposta alla fatidica domanda “A cosa serve il latino?” potrebbe proprio essere legata al piacere di gustare nella loro versione originale quei testi che, nei secoli, hanno costruito la nostra civiltà europea e che possiamo ancora sentire “vivi”, presenti, capaci di fornire spunti ed elementi di riferimento a generazioni che forse per molti aspetti sono più disorientate e fragili di quelle che le hanno precedute e potrebbero trovare coesione anche nel riconoscersi in radici comuni.

Luisa Lozar

Luglio 2005




L'attualità tra le pieghe della cultura-
Il Latino e il suo "vivo" linguaggio

 

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