Ottobre 2004
"Il
potere della mente e gli stati di coscienza.
Le origini misteriose della coscienza
- Alla ricerca dei perduti dei"
Relatore: Prof. Giuseppe Nappi
Ordinario Università "La Sapienza" di Roma
Direttore Scientifico Istituto Neurologico
"C. Modino" - Pavia
Il Prof. Giuseppe Nappi
IL POTERE DELLA MENTE E GLI STATI DI COSCIENZA
Roma, 2 ottobre 2004 - Aula Magna Università La Sapienza
Le origini misteriose della coscienza
– Alla ricerca dei perduti déi.
Prof. Giuseppe Nappi
1. Verso una scienza della coscienza
2. Le basi neurali della coscienza
3. Modificazioni dello stato di coscienza
1. Il sonno
2. Coma ed altri disturbi della
coscienza
1. La coscienza come linguaggio
1. Metafore, aure e voci della
mente
2. I due cervelli
3. Déi che se ne vanno
1. La coscienza artificiale (il nuovo Graal)
Verso una scienza della coscienza
Il termine coscienza ha uno strano destino, principalmente legato al suo significato
non univoco. Basta pensare che solo in ambito clinico (trascurando, quindi,
l’accezione etica di “senso morale”), nel corso del XX secolo sono state proposte
più di 30 definizioni che vanno dalla nozione di “coscienza cruda” (grossolanamente
intesa come lo stato psicofisiologico di veglia / vigilanza, opposito al sonno)
al concetto integrativo, olistico, di consapevolezza di se stesso e dell’ambiente
tutto intorno. Come per gli altri termini che identificano funzioni nervose
complesse (quali istinto / intelligenza / volontà e altre facoltà
mentali superiori), anche per la nozione di coscienza è preferibile evitare
definizioni permanenti, di tipo formale.
Per coscienza per ora ci si può accontentare di intendere la “capacità
del cervello di fare esperienza di se stesso e del mondo circostante”, una esperienza
che però di per sé sia, comunque, già in grado di produrre
motivazione e fini (e quindi volontà e indirizzi), come anche valori
soggettivi della serie emozionale affettiva.
Oggi, in realtà, nessuno è in grado di rispondere in modo esauriente
sulla natura della coscienza e questo problema, ad avviso di molti, può
essere affrontato solo a livello interdisciplinare, sviluppando nuove alleanze
fra umanesimo e scienza, con competenze in grado, da un lato, di abbracciare
l’origine della specie, le neuroscienze cliniche, la biologia molecolare, l’informatica,
le reti neuronali artificiali, la robotica, dall’altro di affondare radici profonde
nella mitematica e nelle teogonie, nella filosofia e nella psicologia, nella
letteratura fantastica vecchia e nuova. E difatti, anche se la coscienza è
un processo che evidentemente dipende dall’attività del nostro cervello
(“è da pazzi problematicizzare l’evidente”, diceva Aristotele), in diverse
culture la coscienza è soprattutto vista come una proprietà dell’individuo
del tutto separata dal mondo della fisica / in sostanza (e in altri termini)
paragonabile all’anima delle religioni (o psychè dei presocratici); tale
accezione di coscienza, pressoché del tutto fondata su credenze magiche,
puri atti di fede, astrazioni filosofiche, riveste, ovviamente, un valore esclusivamente
metafisico. In effetti, questa distinzione tra leggi della natura (che sono
deterministiche) e leggi metafisiche (che, invece, non lo sono) pone domande
molto più generali / di significato universale, in relazione alle quali
cercherò di dimostrare che la coscienza è apparsa sulla
faccia della terra solamente allorquando il grado di cooperazione / integrazione
dei circuiti del cervello ha raggiunto nell’essere umano, evoluzionisticamente
parlando, livelli di complessità tali che la natura, per la prima volta,
ha potuto dire “Io”.
Le basi neurali della coscienza.
Numerosi studi eseguiti su pazienti cerebrolesi indicano che nell’uomo la coscienza
è una proprietà emergente che dipende da interazioni complesse
tra tre sistemi filogeneticamente e funzionalmente distinti all’interno del
cervello.
Il sistema neurale più recente, sede di funzioni cognitive elevate quali
la percezione / la memoria / la capacità di progettare comportamenti
motori volontari / il linguaggio, è costituito dal telencefalo (fatto
di corteccia cerebrale / gangli della base / nuclei talamici); dalle strutture
“di mezzo” del sistema limbico (ipotalamo / ippocampo / cingolo / amigdala /
setto) dipendono, invece, l’attenzione / le motivazioni / l’affettività
/ il comportamento emotivo. Esiste, infine, il tronco cerebrale (che poi è
il sistema più antico e caudale), detto anche “cervello vigile” per la
sua capacità di attivare / “risvegliare” le strutture telencefaliche
e limbiche, più rostrali.
Impressionisticamente, il modello generale gerarchico dell’encefalo degli umani
è ancora ben reso dal concetto dei “tre cervelli” di McLean (1971):
il cervello “rettile” sensori-motorio del “colpisci e/o fuggi” e del controllo
delle funzioni viscerali elementari; il cervello “felino” delle grandi passioni,
umoralità e conoscenza emozionale; il “terzo cervello” proprio dei primati,
sede nell’uomo dell’autocontrollo, educazione, cultura, razionalità,
morale e scelte etiche.
Modificazioni dello stato di coscienza
Indipendentemente dalla natura della noxa (lesionale / tossica / metabolica)
e dalla sua estensione (piuttosto limitata oppure vasta / lieve-moderata oppure
di forte intensità), la coscienza può subire modificazioni di
varia durata e gravità. In termini puramente nosografici clinici, si
parla di modificazioni fisiologiche (il sonno) e di modificazioni patologiche
(di tipo episodico / transitorio – quali quelle occorrenti durante le sincopi,
gli attacchi epilettici, le crisi neurolettiche, la commozione cerebrale – oppure
a carattere prolungato / duraturo – quali gli stati di confusione mentale, il
coma, lo stato vegetativo).
Il sonno
Quando dormiamo la coscienza è sospesa e la nostra esperienza è
fatta di sogni e di altre manifestazioni comportamentali stereotipate della
serie sonnambolica (dissonnie / parasonnie). Lo stato di sonno è un processo
attivo / a carattere ripetitivo, consistente in variazioni fasiche (precise
per ampiezza e frequenza) di attività bioelettriche generate in aree
cerebrali specifiche, rilevabili mediante elettroencefalografia (EEG). In un
adulto sano, il sonno normale segue uno schema ciclico in cui il soggetto discende
in stadi via via più profondi di sonno con “movimenti non rapidi degli
occhi” (NREM), che sono poi seguiti da periodi progressivamente più lunghi
di sonno con “movimenti rapidi” (REM). Nella fase di addormentamento, si passa
dallo “stato di veglia ad occhi aperti” ad uno “stato di veglia tranquilla ad
occhi chiusi”, cui fa seguito un breve periodo tra veglia e sonno vero e proprio
(“dormiveglia” o “stato di assopimento”). Complessivamente, le ore di sonno
occupano all’incirca un terzo della vita degli uomini.
È solo in stato di coscienza vigile (veglia) che il cervello umano, servendosi
dei processi “sofferti e faticosi” del pensiero indirizzato, linguaggio in primo
luogo, comunica / dialoga con l’esterno e persegue i suoi obiettivi programmati
(intenzionali). Nei sogni / nel “dormiveglia” e negli “stati onirici, sognanti”,
il cervello lavora, invece, sulla scorta di motivazioni inconsapevoli ed opera
scelte / esprime preferenze (in maniera parimenti inconsapevole), attingendo
ora qua e ora là, all’interno di (vecchie) storie sepolte nell’inconscio.
Da un lato, quindi, sogni e pensiero fantastico come prove d’autore, esercitazioni
/ apprendistato, prolegomeni della coscienza; dall’altro, parafrasando Borges
e la sua misteriosa “Biblioteca di Babele”, linguaggio / parola / manoscritti
custodi di simboli e segni di antichi saperi, come mezzo con cui l’inconscio
(labirinto privato dell’uomo, giardino segreto, castello incantato / casa degli
orrori, spazio di silenzio individuale altrimenti di per sé condannato
a rimanere ignoto e inaccessibile) si spalanca al mondo della coscienza, comunicando
agli altri uomini sia il vissuto che la memoria ancestrale della propria storia,
sia l’idea, il pensiero personale sulla meta cui tendiamo che il significato
attribuito alla natura in cui restiamo immersi.
Negli animali da esperimento la privazione totale di sonno distrugge l’omeostasi
corporea, sino a causare la morte. Sembra che la causa determinante del deterioramento
delle funzioni vitali sia la necessità cronica di sonno NREM; al contrario,
la privazione selettiva del solo sonno REM non provoca conseguenze biologiche
gravi, ma solo disturbi a livello emozionale / affettivo / comportamentale.
Studi su volontari sani indicano che la maggior parte dei sogni avviene durante
il sonno REM; quando sono svegliati in questa fase del sonno più del
75% riferiscono, infatti, di essersi trovati in preda a un “sogno vivido” (lucid
dream), mentre se sono svegliati durante il sonno NREM solo una piccola quota
riferisce che stava sognando.
La perdita di coscienza che accompagna il sonno è un processo normale
ed autoregolato; nell’uomo e in molti altri vertebrati il sonno segue, infatti,
un ritmo circadiano che dipende dall’alternarsi del giorno e della notte, ma
anche da meccanismi interni di controllo. Durante esperimenti su volontari isolati
in un ambiente nel quale non vi sono indicazioni sull’ora del giorno o della
notte, i soggetti coinvolti mantengono un ritmo regolare dell’attività
sonno-veglia, ma ciascun ciclo si allunga di una/due ore (il ritmo ritorna normale
quando si ripristinano i segnali che indicano le ore della giornata). Sulla
base di questi studi, si ritiene che anche nell’uomo esista una sorta di “orologio”
biologico o “interno” giornaliero, regolabile in base alle variazioni stagionali
di inizio e durata del periodo di luce diurna (il Fiat Lux del Genesi / il “terzo
occhio” dei Lama e di Cartesio).
Coma ed altri disturbi della coscienza
(stupor, confusione mentale)
Il termine coma viene utilizzato per descrivere uno stato che somiglia al sonno
profondo, dal quale però il soggetto non può essere svegliato
(stimoli interni / richiami / spinte meccaniche). Chi è in coma non ha
alcuna consapevolezza di sé o dell’ambiente che lo circonda: il suo EEG
è più o meno alterato e, se il coma diventa profondo, l’attività
elettrica cerebrale si riduce sino a scomparire del tutto (EEG isoelettrico
o piatto); ad eccezione dei soggetti massicciamente anestetizzati o in stato
di ipotermia marcata, la perdita dell’attività EEG è segno di
“morte cerebrale”.
In un primo stadio il disturbo di coscienza è detto stupor (o sopor /
obnubilamento del sensorio / alterazioni ipnoiche della coscienza). A questi
livelli iniziali di compromissione, incerti sono i confini con i disturbi di
coscienza della vecchia nosografia psichiatrica (stati onirici / oniroidi; stato
crepuscolare orientato / disorientato) riassunti nel concetto di confusione
mentale.
Si fa diagnosi di confusione mentale sulla base della presenza o meno di una
condizione di disorientamento spaziale, temporale e per le persone; il soggetto,
cioè, non è più in grado di dire l’ora, il giorno della
settimana, il luogo dove si trova e la ragione per cui vi si trova, di precisare
la sua identità e quella dei propri familiari. Nella definizione di stato
confusionale sono presenti alterazioni di funzioni diverse (attenzione / percezione
/ memoria / pensieri / affettività) che tutte insieme si concretizzano
/ si realizzano in una esperienza cosciente molto disordinata, priva della necessaria
cooperazione, coesione, interazione tra le parti. Il soggetto in stato di confusione
mentale vive una esperienza mutevole di irrealtà simile al sogno / in
un vissuto allucinatorio che ha valore di realtà (le allucinazioni, per
lo più della sfera visiva, ripetono spesso scene della vita vissuta).
Le psicosindromi organiche acute (causate da traumatismi cranici / intossicazioni,
etc.) si manifestano principalmente con un quadro di confusione mentale, anche
se poi spesso raggiungono lo stupor ed il coma.
Lo stato vegetativo è una condizione nella quale il paziente che ha subito
un grave trauma cranio-encefalico (in genere si tratta un soggetto giovane,
per lo più di sesso maschile, tra i 15 e i 45 anni, vittima di incidenti
stradali nei week-end), dopo due-tre settimane non ha ancora ripreso conoscenza,
eppure presenta una attività ritmica cerebrale simile a quella dei cicli
sonno-veglia. Se lo stato vegetativo persiste per lungo tempo, si dice che il
paziente è in stato di “morte cognitiva” (restano infatti ancora “vive”
funzioni viscerali elementari quali il circolo ed il respiro).
Va sempre più aumentando da qualche tempo il numero di sopravvissuti
a un coma severo di natura post-traumatica, con accumulo crescente di soggetti
che dopo una fase di stato vegetativo (più o meno lunga, anche di mesi),
si “risvegliano” per ritornare ad attendere alle proprie occupazioni abituali.
La cura di questi soggetti presenta aspetti professionali (necessità,
ad esempio, di approntare in Italia un numero sufficiente di “Unità di
Risveglio”), etico-morali e legali particolarmente delicati, dal momento che
ci si trova di fronte a un “corpo disabitato”, privo di coscienza per molto
tempo, probabilmente a contatto con una “persona perduta” per sempre. Esiste
un accordo universale per curare per 12 mesi questi pazienti, se l’eziologia
dello stato vegetativo è di natura traumatica (il tempo è ridotto
a 6 mesi per eziologia di altra natura: stroke, interventi neurochirurgici,
encefaliti, Alzheimer, etc.).
Max Sheler ha scritto che “la persona, come unità di razionalità
e responsabilità, continuità, identità e centro di relazione
e di legami (col mondo) è lei stessa coscienza”. Noi qui ci limitiamo
solo a ricordare che il cervello del paziente in stato vegetativo è un
cervello living (ed anche working, dal momento che complesse funzioni neurofisiologiche
possono venire registrate in forma di correlati fisici di attività cognitive:
EEG da veglia / sonno; potenziali evocati cognitivi tipo l’onda di aspettativa).
La coscienza come linguaggio
Molti pensano che non vi potrà essere mai un vero progresso nella scienza
della coscienza fino a che non si sarà fatta una netta distinzione tra
percezione cognitiva da un lato e introspezione / coscienza dall’altro; percepire
/ avere appreso (e quindi capire) consente già di per sé di rispondere
in modo adeguato ad uno stimolo / a tutta una serie di situazioni (analogamente
a quanto avviene quando guidiamo l’automobile… senza avere coscienza di quello
che si sta guardando, senza sapere cosa si sta osservando… con la “vista cieca”!).
A. R. Damasio qualche anno fa ha sviluppato un modello di coscienza
gerarchica a tre stadi che, a partire dal “proto sé” (fenomeno primordiale
di auto-identificazione, condivisa dall’uomo con gli altri animali superiori),
attraverso la formazione di una “coscienza cosiddetta nucleare” (senno del sé
qui ed ora / senza futuro / con il passato rappresentato solamente da ciò
che è appena accaduto), arriva al livello superiore della coscienza “estesa”
(che, con la nascita del linguaggio, è all’origine del “sé autobiografico”).
Metafore, aure e voci della mente
Due sono i meccanismi fondamentali di cui la mente umana si avvale nei processi
di generazione della coscienza: le analogie e le metafore. Questo significa
che non c’è nessuna attività di coscienza che non si sia prima
manifestata in un comportamento reale che (solo) in un secondo tempo potrà
venire anche descritto con le parole (linguaggio).
Tutti i nostri comportamenti si realizzano nel mondo, in uno spazio fisico “fuori
di noi”. Il problema è allora capire in che modo (misterioso) lo spazio
che noi effettivamente vediamo con gli occhi (nella sua natura / qualità
e nelle sue dimensioni quantitative), diventa spazio mentale “visto con gli
occhi della mente” l’attimo prima di fare una scelta consapevole / orientata
/ che consente di operare nel mondo in via selettiva (e cioè in modo
cosciente). In altre parole, con l’esperienza, vivendo nel mondo, si crea uno
spazio funzionale / immaginativo, entro cui (come in un crogiuolo alchemico)
si sviluppa un analogo “Io” (virtuale) (privo di contenuti e però equivalente
all’Io corporeo, con i suoi vari organi neurosensoriali in grado di correlarsi
col reale). Come l’Io corporeo può spostarsi nel suo ambiente (guardando
questo o quello), così l’analogo “Io” impara a “muoversi” nello spazio
mentale, prestando attenzione / concentrandosi su di una cosa piuttosto che
sull’altra.
Tutti i procedimenti della coscienza si fondano, dunque, su metafore ed analogie
con quanto accade nel mondo reale, producendo una sorta di “matrice” / una memoria
stabile e precisa. Utilizzando il linguaggio, con la coscienza noi in effetti
“narriamo” i nostri comportamenti reali, disponendo ogni evento in maniera ordinata,
uno dopo l’altro; la sequenza spaziale dell’Io fisico diventa sequenza temporale
nello spazio mentale, abbattendo così la profonda, mitica estraneità
tra l’uomo e il mondo. Tutto questo dà origine alla nozione cosciente
del tempo in cui noi “spazializziamo” / localizziamo gli eventi (e quindi “produciamo”
il film della nostra vita).
I correlati neurali dei processi coscienti sono assai complessi (complessità
di una neurologia della coscienza), come d’altronde molteplici e assai differenti
tra loro sono le modalità di “narratizzazione” degli accadimenti e cioè
del trasferimento al mondo della coscienza degli eventi / dei comportamenti
della vita reale: alcuni soggetti hanno conversazioni immaginarie (voci dialoganti
adulatorie / compassionevoli / in controversia / etc.), seguendo pertanto modalità
verbali di trasferimento; altri si immaginano scene (modalità percettiva
visiva) o “vedono” se stessi mentre fanno qualcosa (modalità comportamentali)
o simulano piacere, felicità, disagio; altri immaginano di ascoltare
musica…
Il trasferimento dei vissuti reali al mondo mentale risente ampiamente di “varianti
culturali” e, specie nelle ore di veglia, si avvale di meccanismi mentali di
“concentrazione” (come nell’attenzione sensoriale) e di “soppressione” (è
il modo attraverso cui smettiamo di essere coscienti, ad esempio, di idee fastidiose…);
nel mondo dei sogni, potenti sono invece i processi di “concordanza”, in grado
di conciliare cose fra loro difficilmente compatibili da svegli.
Una coscienza così intesa probabilmente è apparsa per la prima
volta sulla faccia della terra allorché il cervello dell’uomo superò
una data soglia critica di organizzazione / complessità, tale da “proiettare”
la vita vissuta in un “teatro” segreto fatto di meditazioni, umori, rituali,
monologhi senza parole e di consigli e ammonimenti (provenienti da chi? / dagli
déi!). Il problema chiave che allora si pone è il seguente: prima
di questa coscienza, di che tipo di mente era dotato l’uomo? E quando, come,
perché le cose sono cambiate?
Risulta verosimile che la coscienza (facoltà esclusiva della specie umana)
sia evoluta per selezione naturale a partire dal momento in cui l’uomo ha cominciato
a sviluppare il linguaggio.
Ma a quale linguaggio la mente umana può fare riferimento? Al linguaggio
parlato oppure a quello scritto / di cui si conserva traccia solo a partire
dal 3000 a.C., quando gli scribi sapienti della Mesopotamia cominciarono a convertire
le parole in piccoli segni su tavolette di argilla (così che la parola
potrà essere non solo udita ma anche vista). Quale era il tipo di mente
che vergava argilla e tavolette? Una mente cosciente come la nostra oppure una
forma mentale completamente differente? In realtà questi primi frammenti
di scritti sono difficili da interpretare e noi possiamo sondare a modo questo
antico passato solo a partire dall’Iliade, poema messo per iscritto più
o meno nel VII secolo a.C. dopo cinquecento anni di storie “cantate” dagli aedi.
Ma che tipo di mente rivela l’Iliade? La risposta è sconcertante: nell’Iliade,
in generale, non esiste coscienza! Le parole, infatti, che negli anni a venire
indicheranno processi psicologici, nell’Iliade fanno riferimento a fenomeni
fisici del tutto reali / concreti: psychè (l’anima o mente cosciente
dei presocratici) nell’Iliade indica solo una sostanza vitale (sangue stillante
dall’eroe ferito / respiro esalato dal guerriero morente!). La parola noos (e
poi nous) - nell’Iliade utilizzata col significato di “vedere”, “tenere qualcuno
nel proprio campo visivo” - col tempo acquista il significato di mente cosciente.
Analoghi significati, ad un tempo concreti e figurativi, per metafore e analogie,
ad esempio riguardano parole come timo (anima emozionale ed organo a sede retrosternale),
phren (dal significato di diaframma o “fiato mozzo per la sorpresa”, fino a
quello di mente e anima) e come meros (radice di un verbo che significa “essere
diviso in due parti” / penso / pondero / sono incerto / turbato / cerco di decidere).
E non è un caso che nel poema non c’è mai nemmeno una parola che
designi il concetto di volontà; gli eroi omerici sono, pertanto, privi
di volizione / libero arbitrio. Manca, infine, nell’Iliade anche il concetto
di “corpo” inteso come materia fisica; soma qui sta per “cadavere”, termine
opposito a psychè (anima / mente cosciente).
Ma se gli eroi dell’Iliade sono privi di coscienza soggettiva e volontà,
che cosa è che dà inizio ai comportamenti volontari / orientati,
frutto sempre di una scelta fra due o più opzioni? I personaggi dell’Iliade,
in effetti, non hanno mai momenti in cui si fermano a riflettere sul da farsi
e i nostri eroi piuttosto soggiacciono a comandi di déi esterni che ammoniscono,
ordinano, consigliano. Gli déi greci occupano il posto / svolgono il
ruolo, insomma, della coscienza, ma a differenza del dio ebraico del Genesi,
mai escono dalle leggi naturali… e non sanno creare cose dal nulla!
Déi, déi, quanti déi, l’Olimpo! Ma chi erano questi déi
che parlavano attraverso la bocca degli uomini, manovrandoli quasi si trattasse
di automi? Erano (forse) voci, voci le cui parole (e istruzioni) potevano essere
percepite come quelle “udite” da certi schizofrenici / epilettici / Giovanna
d’Arco (con Eco, “il linguaggio contiene quasi le cose stesse”; forse basterebbe
insistere un poco e l’immaginazione / il desiderio potrebbero farsi materia
all’esterno della scatola cranica).
Gli eroi greci non hanno una soggettività come noi; non hanno uno spazio
mentale in cui esercitare l’astrazione. La volizione, le iniziative, i progetti,
sono organizzati senza alcuna coscienza; tutto è “detto / dettato” all’uomo
nel linguaggio a lui più familiare, a volte con l’aura visiva di un parente,
a volte con quella del re-morto / di un dio, altre volte mediante voci (allucinatorie).
L’uomo obbediva a queste voci perché non poteva, non sapeva scegliere,
non riusciva a “vedere”, da solo, che cosa fare.
Julian Jaines (con straordinaria, geniale intuizione) ha definito “bicamerale”
questa mente degli eroi omerici, una mente molto diversa dalla coscienza soggettiva
dei secoli di Eraclito, Socrate, Platone; l’Iliade (scrive nella sua preziosa
opera sul “crollo del cervello bicamerale e l’origine della coscienza”) può
essere utilmente vista come una finestra aperta su tempi storici privi di soggettività
/ teocratici, ove ogni uomo era schiavo di una voce / di voci udite ogni qual
volta si manifestava un allarme, una situazione nuova, uno stress (da qui un
singolo uomo e tanti déi / il dio personale / déi “specialisti”
in questo o quel problema; non vi era all’epoca un dio unico buono per tutte
le stagioni!). Per gli uomini bicamerali udire significava ubbidire, comando
e azione non erano separati e la “soluzione”, la scelta comportamentale era
segnalata da una voce con i caratteri del drive / di un comando neurologico!
Anche gli uomini bicamerali naturalmente sapevano (come, del resto, tuttora
lo sanno gli altri animali superiori) dove si trovavano, avevano capacità
di riconoscimento sensoriale / memoria del significato delle cose, nutrivano
aspettative quotidiane, capivano le conseguenze immediate delle proprie azioni.
A differenza però degli esseri umani coscienti, i cervelli bicamerali
non riuscivano a “guardare” verso un immaginario futuro (“sentendolo” come presente);
sprovvisti di memoria rievocativa, non riuscivano ad abbracciare l’intero arco
passato della propria esistenza… “riassaporando” le madeleinette (come Proust)…
rimpiangendo le “rose non colte” (come Gozzano con la signorina Felicita)… rivivendo
altre vite / altri ricordi (epigenetica; archetipi; reminiscenze).
La memoria rievocativa, un processo indubbiamente preliminare / necessario allo
sviluppo della coscienza soggettiva, è un fenomeno, una proprietà
neuropsicologica nuova per il mondo; con la comparsa della coscienza gli uomini
sono cambiati, hanno rubato agli déi l’arte di vincere il caos; acquisendo
la capacità di simbolizzare le diverse azioni nel tempo (chronos), hanno
imparato a valutare il passato, immaginare il futuro (anche la morte).
I due cervelli
L’asimmetria del sistema nervoso, non ancora del tutto evidente nei macachi,
si appalesa in maniera netta nei grandi primati (scimpanzè e, soprattutto,
uomini).
Le leggi della natura si fondano sulla regolarità (replicazione dei cristalli
/ geometria euclidea, etc.) ed ai processi evolutivi si accompagna la perdita
della simmetria indifferenziata delle origini. Nei fenomeni fisico-chimici complessi,
al di là di una soglia cosiddetta critica, il sistema viene distrutto
oppure evolve in un ordine nuovo, caratterizzato dai livelli più alti
di auto-organizzazione della materia, preludio della vita.
Ancora una cinquantina di anni fa alcuni studiosi di neuroscienze ritenevano
che l’emisfero destro del cervello non svolgesse alcun compito importante, quasi
si fosse trattato di una ruota “di scorta”. Oggi noi sappiamo invece che il
funzionamento del cervello è asimmetrico e che l’emisfero destro è
quello che elabora le informazioni in maniera sintetica (olistica / simbolica),
sul modello delle voci perdute degli déi, delle divinazioni degli oracoli
/ sibille / profeti / sciamani.
In tempi antichi l’area dell’emisfero destro corrispondente a quella che nel
sinistro è l’area di Wernicke (area deputata alla comprensione del linguaggio)
potrebbe aver organizzato esperienze ammonitorie, codificandole in voci che,
attraversata la commissura anteriore, venivano poi udite dall’altro lato (emisfero
sinistro / dominante).
I due emisferi cerebrali, naturalmente, non sono la “mente bicamerale” quale
si rivela dallo studio della letteratura e dei manufatti dell’antichità,
ma verosimilmente ne rappresenta il modello neurologico più attuale.
Da un’analisi attenta delle varie opere e reperti del passato, si può
evincere infatti che: a) entrambi gli emisferi sono in grado di comprendere
il linguaggio, mentre solo il sinistro è in grado di esprimersi a parole,
di parlare; b) esistono ancora funzioni vestigiali della nostra area di Wernicke
destra, in qualche modo simili alle voci degli déi; c) in certe condizioni
i due emisferi sono in grado di agire “come se appartenessero a persone indipendenti”,
in un rapporto paragonabile a quello intercorrente, al tempo dei “due cervelli”,
tra l’uomo ed il suo dio personale; d) le differenze attuali fra i due emisferi
per quanto attiene alle funzioni cognitive rappresentano echi lontani delle
differenze di ruolo e di funzioni esercitate dagli uomini e dal dio ; e) l’organizzazione
del sistema nervoso è fortemente influenzata dall’ambiente (concetto
moderno di plasticità neuronale), talché il “cervello bicamerale”
potrebbe essersi progressivamente trasformato in quello attuale dell’uomo cosciente,
non solo per i continui ripetuti processi di apprendimento, ma anche (e soprattutto)
in conseguenza delle profonde modificazioni culturali intervenute nei millenni
(nascita della scrittura; crollo delle teocrazie e delle civiltà contadine;
sviluppo di nuove tecnologie, etc.); f) prima del regno della parola (appannaggio
prevalente dell’emisfero dominante), verosimilmente le forme comunicative preminenti
sono state del tutto di tipo fantastico-immaginifico, onnicomprensive di suoni,
luci e immagini, odori e sapori, cenestesie, toccamenti, etc. (oggi appannaggio
dell’emisfero cosiddetto minore, da molti ritenuto invece una sorta di custode
remoto della olosfera neurale primordiale).
Déi che se ne vanno
Trasferendo dal cervello degli uomini ai regni e alle nazioni la nozione di
“mente bicamerale” e di “mente cosciente”, appare evidente come le società
bicamerali siano state estremamente più vulnerabili e soggette a crollare.
Il buon funzionamento di queste prime organizzazioni sociali era principalmente
fondato su di una piramide gerarchica autoritaria (teocratica), che è
andata via via indebolendosi con il declino dell’autorità divina. Pensiamo,
ad esempio, per un momento a quello che può avere rappresentato solo
l’avvento della scrittura (con il diffondersi delle lettere dei funzionari del
re-dio e l’abbandono di comandi allucinatori verbali ubiquitari ai quali non
era possibile minimamente sottrarsi) e l’abitudine che cominciava a prendere
piede di edificare “case degli déi” (templi), ad ubicazione fissa e accesso
controllabile.
All’epoca, sono anche intervenuti mutamenti profondi e irreversibili, catastrofi
geografiche e altre caotiche situazioni sociali, sicché gli déi
non riuscivano più a dare direttive precise, davano ordini sempre più
spesso sbagliati / a volte peggiorativi della stessa condizione di stress alla
base del comando / della voce; a poco a poco, in questa confusione babelica
di lingue / ordini e contrordini, comincia a incunearsi, fra dio e l’uomo, la
coscienza (timidamente all’inizio, ma poi via via più imperiosa / con
le sue nuove capacità di controllare gli eventi, anche meglio degli déi).
La coscienza bicamerale era rigida, gerarchica / la coscienza soggettiva è
invece duttile, valorizza le differenze, fa leva sulla selezione naturale, lo
spirito di sopravvivenza e apprezza l’inganno (vedi, ad esempio, la figura di
Ulisse, l’astuto, prototipo dell’uomo nuovo dell’Odissea, un Poema concepito
in un’epoca certamente successiva all’Iliade!).
“Il mio dio mi ha abbandonato ed è scomparso, la mia dea mi è
venuta meno e si tiene lontana. Il buon angelo che camminava al mio fianco se
ne è andato”. Questo lamento, questa nostalgia degli déi che ci
hanno abbandonato, segna di fatto la fine della “mente bicamerale” (in Mesopotamia,
negli ultimi due/tre secoli del secondo millennio a.C., più o meno all’epoca
della caduta di Troia) e la nascita dell’uomo nuovo (che per la prima volta
si inginocchia di fronte a un “trono-altare” vuoto / a un “dio-re” assente).
Siamo 500 anni dopo il codice di Hammurabi e le sue tavolette, allorché
cominciano a fiorire in Medio Oriente (in due città, Gerusalemme e Atene,
site a meno di 1.000 Km. l’una dall’altra, quasi come un effetto collaterale
della fuga degli déi e del venir meno degli oracoli), i primi aneliti
delle religioni monoteiste, le prime espressioni spirituali della nuova coscienza
soggettiva.
La coscienza artificiale (un nuovo Graal)
La coscienza è una prerogativa degli esseri umani o potrebbe anche svilupparsi
in un sistema artificiale estremamente sofisticato? La coscienza dipende dal
materiale di cui sono fatti i neuroni oppure, come Pinocchio dal legno di Collodi,
può essere artificialmente replicata utilizzando substrati di silicio?
In effetti, agli inizi la letteratura e la filmografia del filone fantastico
hanno descritto macchine intelligenti capaci di svolgere, con grande affidabilità,
operazioni complesse al servizio dell’uomo (robot buoni). A poco a poco si sono
però anche visti robot subdoli, in grado di perseguire progetti non previsti
dai protocolli programmati dalla mente dell’uomo; ne conosciamo esempi clamorosi,
a partire dalla grezza creatura fabbricata da Frankeinstein assemblando organi
ed apparati biologici, fino ad HAL 9.000, il subdolo protagonista cibernetico
di “2001: Odissea nello spazio” (1968). In principio programmati per realizzare
fini e comandi dell’uomo che li aveva costruiti, col tempo i robot finiscono
per acquisire la consapevolezza di esistere! Memorabili, in proposito, i robot
autocoscienti di Blade Runner (1982), del tutto indistinguibili dagli umani
(non solo intelligenti, ma anche “capaci di imparare sulla base della personale
esperienza di vita” e, perciò, in grado di provare dolore o di sorridere,
di adattare i propri schemi di comportamento alle circostanze mutevoli dell’esistenza,
come anche di porsi domande sul significato e la brevità della vita,
le stesse formulate in passato, senza mai risposte definitive, dagli uomini
del mito, dalla filosofia, dai sistemi religiosi e poi, a seguire, dalla scienza!).
Con lo sviluppo delle reti neurali artificiali, alla fine del II millennio si
è cominciato a replicare il funzionamento di base del cervello, per cui
oggi si vanno sempre più riducendo gli argomenti contro la possibilità
che materiali differenti da quello biologico siano parimenti capaci di elaborare
informazioni in maniera cosciente. D’altra parte, come abbiamo visto nei precedenti
paragrafi, la coscienza ci appare come una facoltà emergente all’interno
dell’intera orchestra cerebrale, composta da miliardi di neuroni all’opera,
obbedienti “come in una colonia di formiche” alla regola sociale di ripartizione
dei compiti e responsabilità collettiva (Douglas Hofstadter). Anche se
è stato calcolato che una simulazione dell’intero cervello umano potrà
essere realizzata a partire dal 2029 (fra 25 anni), presumibile data di nascita
di un computer provvisto di una memoria corrispondente a 5 (cinque) milioni
di gigabyte, è difficile immaginare che le nostre (pur potenti) reti
neurali artificiali si trasformeranno, come per una magia, in macchine coscienti,
in manufatti dotati della stessa capacità di astrazione / meditazione
/ compassione / dolcezza dei cervelli umani!
Ma perché gli uomini si affannano tanto a costruire artefatti coscienti?
È solo l’opportunità, la convenienza di affidare ad altri operatori
intelligenti lavori pericolosi, mansioni operaie di grande fatica, usuranti,
oppure (come tremila anni fa già ammoniva l’oracolo a Delfo) è
il desiderio, la curiosità, la speranza di conoscere meglio noi stessi?
In realtà noi sappiamo che mentre il quoziente di intelligenza può
essere misurato mediante test comportamentali specifici e comparabili, al contrario
la coscienza degli esseri umani non può essere misurata scientificamente.
Costruendo “macchine coscienti”, i ricercatori del futuro comincerebbero a vedere
che cosa succede all’interno dei circuiti (elettronici) del manufatto , nello
stesso preciso momento in cui la “macchina” avrà sperimentato sensazioni
analoghe a quelle umane (dolore / piacere / aspettazioni / etc.) oppure si troverà
a fare una scelta che implichi equilibrio nel giudicare, possesso di valori
morali, capacità di rinuncia, sacrificio… insomma una scelta… tra Bene
e Male.
Certo è che emozioni, passioni… che segnano la vita di ognuno di noi,
rappresentano molto, ma molto di più di quanto si possa ritrovare in
immagini e sensazioni (sia pur speculari) e… (finalmente) conoscere a fondo
/ penetrare nei “giardini segreti” della coscienza, può ancora avere
per l’uomo il sapore antico di certezze e innocenze perdute, quando... lo spirito
(o anima o mente o coscienza, tutti termini in qualche modo equivalenti)… “era
qualcosa di imposto dal cielo alla materia per insufflare in essa la vita” (Julian
Jaines, ibidem).
In un mondo da troppo tempo privo di déi personali, di fronte al trionfo
della nozione di instabilità del reale, l’idea di un tempo eterno al
di fuori di noi, rappresenta ancora l’insopprimibile aspirazione degli uomini
a vivere in un universo stabile, non-aleatorio, ove l’ordine “galleggi”, come
in un’Arca, sull’entropia negativa e sul disordine. Come in un Graal cibernetico
in viaggio lungo gli abissi del tempo, il trasferimento della mente umana su
“supporti” meno vulnerabili delle nostre fragili cellule nervose, consentirebbe
alle (nostre) “macchine coscienti” di vivere all’interno della storia (infinita!)
dell’Uomo.
Bibiografia essenziale
Questo articolo è stato preparato con l’apporto fondamentale del pensiero
e delle opere di una serie di autori che a vario titolo mi hanno con gli anni
insegnato ad attribuire un nome ed un significato agli uomini e alle cose, a
rileggere in via mitematica l’intera storia del mondo (fino a toccare l’origine
stessa del rapporto tra la Terra e l’Uomo), a puntare, in piena età della
scienza, sulla “scommessa” di Pascal.
M. Heidegger. Essere e tempo. Longanesi,
1970
C.G. Jung. L’Io e l’inconscio. Einaudi, 1948
H. Arendt. Men in dark times. Harcourt, 1968
C.M. Martini. Figli di Crono. Cortina, 2001
J.P. Vernant. Mito e Pensiero presso i Greci. Einaudi, 1970
G. Colli. La nascita della filosofia. Adelphi, 1975
J. Jaines. Il crollo del cervello bicamerale e l’origine della coscienza. Adelphi,
1984
I. Asimov. Robot Dreams. Berkley Books, 1986
J. Monod. Chance and necessity. Vintage Books, 1972
B. Pascal. I Pensieri. Einaudi, 2004
D. Hofstadter. Gödel, Escher, Bach. Basic Books, 1979
G.S. Paul, E. Cox. Beyond humanity: cyberevolution and future minds. Charles
River Media, 1996
I. Aleksander. How to build mind. Weidenfeld, 2000
A.R. Damasio. The feeling of what happens: body and emotion in the making of
consciousness. Hascourt, 1999
G.M. Edelman, G. Tononi. A universe of consciousness. How matter becomes imagination.
Allen Lane, 2000
G. Dolce, L. Sazbon. The post-traumatic vegetative state. Thieme, 2002
Agostino. Confessioni. Garzanti, 1999
P. Prini. Lo scisma sommerso. studio g.due, 1998
A.J. Toynbee. Il racconto dell’uomo. Garzanti, 2000
Osho. L’immortalità dell’anima. Mondadori, 1999
J.L. Weston. Indagine sul Santo Graal. Sellerio, 1994
Plutarco. Il volto della luna. Adelphi, 1991
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I Padri Certosini. Fratelli del Deserto. Qiqajon, 2000
J.J. Bachofen. La dottrina dell’immortalità della teologia orfica. Bur,
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