Comunicazione & Forme



 

 

 

 

           Dicembre 2010

"Il mediatore civile e commerciale"

Autore: CARLO CALCAGNO
Arenzano - Genova

 Lavori Scientifici o di Ricerca

 

 

 

              

                       

 

                

                   

               

Il mediatore civile e commerciale

di CARLO CALCAGNO

 

Dopo attenta valutazione[1] le parti scelgono di regolare la propria controversia con un sistema di ordine negoziato, perché ciò permette loro di co-vincere e quindi di soddisfare il maggior numero di esigenze possibili; una conciliazione solida, che possa sfidare il tempo, implica però necessariamente anche un riconoscimento dell’altro, e non soltanto la mera tolleranza[2].

Per arrivare al riconoscimento dell’altro tuttavia è necessario percorrere una strada che parte dall’acquisizione della consapevolezza che il nostro punto di vista non coinciderà mai con la realtà dei fatti, e che al contrario è necessario liberarsi dalla convinzione  che la realtà sia unicamente definibile, che bisogna mettersi in discussione attraverso più punti di vista (non necessariamente solo attraverso quello dell’altro), se si vuole ottenere ben di più di quello che speravamo inizialmente.

L’acquisizione di tale consapevolezza viene spesso ostacolata dalle percezioni[3], dalle emozioni[4],  e comunque da una comunicazione non ottimale[5].

La procedura di mediazione comporta appunto un percorso di riconoscimento, e possiede, pur nella sua informalità, dei meccanismi complessi che bisogna conoscere a fondo.  Dovrà quindi essere affidata ad un soggetto che sia in grado di curare sia l’aspetto negoziale, sia quello psicologico, ossia ad un terzo istruito[6].

Il mediatore è quel soggetto istruito[7], ossia un soggetto che deve sapere[8], saper fare[9], saper essere[10], saper divenire[11] ed infine possedere delle rilevanti abilità personali[12].

Il mediatore è in poche parole un professionista ed un esperto di tecniche di negoziazione, di comunicazione  e di linguaggio del corpo che ha il compito di mettere la sua esperienza a servizio della comunicazione tra i partecipanti alla mediazione perché si sviluppi, in quanto essi lo desiderino, un’intesa soddisfacente per entrambi[13].

Alcune competenze ed abilità sono acquisibili da colui che ha in animo di diventare mediatore[14], altre sono forse innate[15].

Per gli elementi acquisibili in Italia si è fatto, in un primo tempo, in difetto di particolari qualifiche[16], riferimento ai criteri Unioncamere[17] cui poi è subentrato un decreto dirigenziale[18]. In oggi il decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180 ha dettato una nuova disciplina per la formazione del mediatore. È necessario aver conseguito almeno una laurea triennale ovvero essere iscritti ad un ordine o collegio[19].

A ciò si aggiunge una formazione di almeno 50 ore ed un aggiornamento biennale di 18 ore[20], oltre alla conoscenza della lingua straniera per quei mediatori che vogliano essere iscritti nell’elenco dei mediatori esperti nella materia internazionale[21].

In ogni caso il mediatore “formato” si presenta ai partecipanti affermando di essere un professionista[22].

E ciò appare opportuno. Le parti, almeno nel nostro spicchio di mondo, hanno la necessità di tranquillizzarsi circa il fatto che il soggetto abbia una sua dimensione professionale, cioè una competenza che gli proviene dalla sua attività professionale[23].

Il mediatore aggiunge però subito che li assisterà non in quanto professionista, ma in veste di mediatore[24].

Solo in seconda battuta il mediatore specifica dunque che durante la procedura farà un altro mestiere.

Ma è davvero così? Il mediatore fa davvero un altro mestiere?

Fa un altro mestiere se si guarda a quello che è il ruolo tradizionale del professionista, ovvero intervenire quando il cliente non può o non riesce più a sbrigarsela da solo[25].

Il mediatore, infatti, non prende decisioni e non ne suggerisce.

Non fa un altro mestiere se si pensa al professionista come ad un soggetto che, se non può prevenire il conflitto in danno del suo cliente[26], perlomeno è capace di fargli toccare con mano che esistono altri punti di vista e che essi possono essere più vantaggiosi del suo.

Fa lo stesso mestiere se si pensa al professionista come ad un soggetto che  può aiutare il cliente a “modificare” la percezione dei fatti senza giudicarla e con il solo intento di collaborare ad elaborare una strategia che in qualche modo risulti maggiormente proficua.

Fa lo stesso mestiere di un professionista che sappia spegnere le emozioni negative del cliente e far sì, al contempo, che questi si persuada che il suo avversario è in realtà una risorsa[27], non un nemico da abbattere.

Fa lo stesso mestiere del professionista che tenta di proteggere il suo cliente da un accordo insoddisfacente, che conosce il modo di non farsi coinvolgere nel litigio tanto da perdere la sua obiettività, quella obiettività senza la quale, a rigore, non può definirsi propriamente “libero professionista”.  

Certo è che se il professionista avesse l’opportunità di vivere sempre in questa maniera il rapporto consulenziale e di assistenza, del mediatore non ci sarebbe alcun bisogno, né ci sarebbe bisogno di andare in mediazione.

Ebbene il mediatore possiede proprio le caratteristiche elencate, che sono quelle che ogni professionista, in fin dei conti, vorrebbe sempre poter valorizzare: aiuta i partecipanti alla mediazione a spegnere, a dissolvere il conflitto, ad allargare la “torta negoziale”, a “riconoscersi” e a trovare un accordo soddisfacente per entrambi.

Ci sono fasi della mediazione in cui il mediatore può vestire proprio gli stessi panni ed usa le stesse competenze del professionista quale lui è: quando le parti di un conflitto, non litigano più ed hanno scoperto una visione comune della loro questione, il mediatore “rispolvera” le sue cognizioni tecniche, il suo background professionale, per aiutarle con i “filtri” a valutare le soluzioni che esse stesse porgono.

E ciò naturalmente in quanto i consulenti non siano presenti in mediazione: in caso contrario saranno loro ad applicare i “filtri”, a valutare cioè mediante condizioni valide per entrambe le parti, la tenuta delle soluzioni che hanno rinvenuto i loro clienti.

Il mediatore, dopo aver rivestito un ruolo di ausilio delle parti, in un certo senso sposa di buon grado il ruolo di ausiliario dei consulenti, perché li mette in grado di svolgere un compito più appagante e forse anche meno stressante: normalmente in un rapporto di consulenza il cliente chiede al professionista di trovare una soluzione che gli permetta di vincere; alla fine del percorso di mediazione invece sono le parti a sottoporre ai consulenti delle soluzioni comuni, dette opzioni, ed i consulenti hanno solo il compito di valutarle.

Oppure magari accade che le soluzioni che i consulenti hanno studiato con i clienti prima di andare in mediazione, quelle soluzioni che non avrebbero mai trovato accoglimento durante l’escalation del conflitto, ora ritornino, “risuscitate” da clienti convinti, da tutti e due i clienti convinti; accade dunque che la mediazione possa, come una sorta di miracolo, gratificare giustamente e finalmente i professionisti per il tempo e le fatiche spese nella preparazione della pratica.

Come i professionisti sanno bene, di fronte al giudice il miracolo accade pressoché unilateralmente, visto che solitamente c’è un solo cliente e, in definitiva, un solo professionista che ottiene la vittoria[28]

Nel suo discorso introduttivo rivolto alle parti il mediatore afferma di non essere giudice né arbitro ed aggiunge che conseguentemente non assume alcuna decisione, che non sia di procedimento[29].

L’art. 1 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 recita correttamente e sulla scorta della legislazione comunitaria e non[30] che i mediatori svolgono la mediazione rimanendo privi, in ogni caso, del potere di “rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”.

In poche parole la funzione del mediatore non è quella di risolvere il conflitto.

In effetti egli non decide, ma sono i partecipanti alla mediazione, assistiti dai loro consulenti, che decidono se coltivare la procedura o meno, se accordarsi o meno ed infine sono loro che stabiliscono la misura dell’accordo.

Ma il mediatore non è giudice soprattutto perché del giudice condivide solo in parte gli obbiettivi e le preoccupazioni.

Il mediatore non distribuisce ragioni o torti, non affida le sorti delle parti ad un giudicato[31], ma al loro convincimento, non sceglie ineluttabilmente la logica del sillogismo come unica ed imprescindibile via[32], ma aiuta le parti a trovare una logica comune.

Quel che importa al mediatore è, in definitiva, solo di aiutare le parti a trovare accordi solidi[33], efficienti[34], sensati[35] e da ultimo, per disposizione di legge, omologabili[36].

Il mediatore riveste poi nella procedura diversi ruoli a seconda del momento: all’inizio potremmo definirlo come lo stratega[37] che si fa un’idea di come facilitare la comunicazione tra le parti, a seconda del caso concreto.

In veste di stratega prepara il setting[38] della mediazione, in modo che le parti sappiano percepirlo come imparziale e, nello stesso tempo, perché possano sentirsi a proprio agio.

In veste di stratega è colui che dimostra assoluta flessibilità[39] nell’adattarsi alla logistica[40] o alla tempistica del caso concreto: non si farà, ad esempio, scrupolo di disporre una sessione privata preventiva nel caso le parti siano molto aggressive, ovvero di sospendere o rimandare la procedura stessa qualora una parte, priva del consulente, ne invocasse la presenza e comunque e più in generale, il mediatore non avrà alcun problema a sovvertire, quando sia il caso, l’ordine od il contenuto delle fasi della procedura[41].

Secondo le indicazioni che fornisce il nuovo decreto[42] la strategia potrebbe imporre che il mediatore debba conoscere a fondo “le carte”, ossia le posizioni delle parti, sin dalla fase anteriore all’incontro di mediazione, perché i partecipanti potrebbero richiedergli “in qualunque momento del procedimento”, di formulare una proposta di soluzione della loro controversia[43].

Il regolamento di attuazione addirittura prevede che i regolamenti di procedura dei singoli organismi possano inserire una clausola che autorizzi il mediatore a formulare una proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione[44].

Il mediatore è comunque uno stratega imparziale[45] e riservato[46]: già in fase iniziale, è tenuto a sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità e, per prassi, di riservatezza in ordine ad ogni mediazione; continuerà poi, per tutto il corso della procedura, a ribadire alle parti che ciò che emerge nella seduta è riservato[47]e, qualora dovesse essere minacciata la sua imparzialità, si curerà di informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di un possibile pregiudizio[48].

Ma il mediatore non è solo stratega, ma anche, come già anticipato, un profondo conoscitore delle tecniche di comunicazione e del linguaggio del corpo.

Il mediatore ha la vitale necessità di fare buona impressione[49] alle parti nei primi sette secondi dell’incontro: così controlla la sua postura, l’abbigliamento, il tono e il ritmo dell’eloquio, ed in definitiva suo scopo è quello di dimostrare un atteggiamento assertivo[50].

Il mediatore ha l’esigenza di presentare in dieci minuti al massimo, se stesso e la procedura, diversamente cala l’attenzione dei medianti; e lo fa con il lessico più appropriato al livello culturale dei partecipanti alla procedura.

Il mediatore studia chi si trovi davanti a lui sin dalla prima stretta di mano: e ciò per non commettere errori che potrebbero rivelarsi imperdonabili[51].

Cerca di individuare il tipo psicologico a cui appartiene il partecipante alla mediazione, semplicemente osservandolo ed ascoltandolo durante una presentazione di pochi secondi che viene operata all’inizio dell’incontro di mediazione.

L’interpretazione non è semplice perché comunque in presenza di stress le persone dimostrano ed in negativo un’altra tipologia psicologica rispetto a quella dominante.

Diciamo subito che secondo il sistema dell’enneagramma le persone possono assumere, a secondo delle circostanze, ben nove personalità che corrispondono a nove enneatipi[52].

Il tipo perfezionista, ad esempio, in situazioni stressanti di critica e di impossibilità di “vivere” le regole (la sua compulsione è quella di raggiungere la perfezione), come può essere appunto quella di un diverbio, ha la tendenza ad assumere i tratti negativi del “romantico” ossia a sentirsi depresso ed incompreso.

In fase di riposo, quando la sua compulsione è cioè appagata e non riceve più critiche – condizione a cui lo dovrà portare il mediatore in sede di sessione privata – si sposta in “artista” e ne assume i lati positivi: diventa quindi meno serio ed intollerante, sembra quasi che si integri al meglio.

Il tipo altruista in situazioni stressanti (quando non riesce a compiacere, a sedurre, questa è la sua compulsione) diventa “capo” e quindi assume un atteggiamento vendicativo; a riposo diventa  “romantico” e quindi potenzia la sua capacità di analisi nei confronti delle persone.

Ma l’osservazione già in sessione congiunta è fondamentale per riportare poi, nelle sessioni private, il soggetto verso una situazione di calma nella quale, a pulsione appagata, può superare i tratti negativi dell’enneatipo che impersona e dell’enneatipo che è effettivamente.

Vero è che il mediatore si trova in ogni fase a lavorare almeno con due tipologie psicologiche, ma in sede riservata può comunque individuare con una certa sicurezza e mediante domande mirate, l’enneatipo corretto e quindi aiutare il partecipante  a trovare quella dimensione di calma attraverso cui supererà quegli elementi negativi della sua personalità che non gli permettono una corretta comunicazione.

Per individuare un altruista ad esempio il mediatore proverà a rivolgere le seguenti domande:<<Lei tende a fare molte cose per gli altri?>> oppure <<Per lei gli amici sono molto importanti?>> o ancora <<Lei preferisce avere pochi o tanti amici?>> .

E per individuare un perfezionista domanderà:<<Lei ama la puntualità e la precisione?>>.

Se l’interlocutore fornirà risposte favorevoli nette e decise si potrà ritenere, salva ulteriore e necessaria verifica, di aver individuato l’enneatipo con una certa sicurezza.

Il mediatore crea spesso empatia[53], ossia quello che è l’ossigeno della comunicazione, e lo fa con gesti naturali: sbottonandosi la giacca, spostando la propria sedia secondo una diversa angolazione; sono comportamenti a cui potrà ricorrere soprattutto nelle sessioni private onde facilitare il contatto e la comunicazione.

In sede di presentazione delle posizioni, ossia di ciò che le parti dicono di volere, il mediatore prova a decodificare il linguaggio del corpo[54], ascolta con la massima attenzione il verbale[55] ed il paraverbale[56] di chi parla e contemporaneamente interpreta, nei momenti “neutri[57], il linguaggio del corpo della parte che ascolta; e annota il tutto sui suoi appunti.

Ma deve essere anche capace di lavorare su se stesso, e di fronteggiare il meccanismo della “triangolazione[58] e gli ancoraggi negativi[59], minacce tutte per la sua imparzialità: il tutto con un semplice quanto innocuo scarabocchio[60] o pensando ai suoi fattori positivi di ancoraggio[61].

E come depura le sue emozioni, il mediatore è tenuto a depurare anche quelle altrui[62]: ciò si verifica soprattutto all’inizio della procedura quando parafrasa[63] le posizioni delle parti, “bonificandole” appunto degli elementi negativi e tentando di rivalutare quegli elementi positivi che siano eventualmente emersi.

Durante la procedura il mediatore non può permettersi poi di essere autoritario[64], ma deve conquistare e tentare di conservare, con cautela e gradualità, l’autorevolezza.

E ciò anche mentre fa rispettare le regole di comportamento[65] che in mediazione è opportuno osservare, se si vuole raggiungere un livello di comunicazione ottimale[66].

Il mediatore chiede il rispetto di queste regole con una progressione di sfumature nel lessico e nel tono di voce che le parti riusciranno ad accettare senza risentirsi.

Il mediatore cerca poi in generale di osservare la cangevole questione oggetto della procedura da almeno quattro punti di vista: il suo, quello della parti e quello di un osservatore esterno, perché sa che nessuno possiede il monopolio della corretta percezione della realtà.

Nel corso delle sessioni private prova a tenere vivo il colloquio con le sue domande.

Con la rapidità possibile formula domande dalle più varie fogge (aperte, chiuse, circolari, ipotetiche) utilizzando un lessico[67] possibilmente gradito al profilo psicologico che si trova di fronte: e poi, tra una risposta e l’altra, resta in assoluto silenzio, perché la persona che gli sta di fronte non ha bisogno di sentirsi incalzata.

Il mediatore conosce le tecniche di spegnimento del conflitto ed in particolare impara ad arginare le percezioni selettive delle parti[68].

Ma studia pure le dinamiche dei bisogni: non solo aiuta le parti ad individuare i loro interessi, ma gli è stato insegnato a riconoscere con precisione quelli che sono bisogni fondamentali e quindi irrinunciabili[69].

Sa che l’accordo avrà maggiore possibilità di essere osservato se terrà conto dei bisogni fondamentali dei partecipanti alla mediazione[70].

Il mediatore protegge le parti da un accordo insoddisfacente aiutandole ad individuare la M.A.A.N.[71], ma non si accontenta di averla scoperta.

Anche se le parti credono di possedere una M.A.A.N. “forte” e ritengono quindi di poter lasciare il tavolo della mediazione, il mediatore fa in modo di verificarne la tenuta, specie quella temporale e  spesso in mediazione si possono verificare delle sorprese.

Con una semplice linea del tempo (time-line)[72] il mediatore può, infatti, far decidere alle parti che lo vogliano con “intenzione”, il cambio non solo del presente e del futuro, ma anche del passato.

Il mediatore sa utilizzare, in altre parole, le tecniche di comunicazione creativa: anche per facilitare in capo alle parti la formulazione di alternative[73] e per metterle in grado poi di scegliere le migliori opzioni che andranno trasfuse nell’intesa.

E nel fare ciò non ha pregiudizi di sorta, utilizza le tecniche più varie, anche quelle prese a prestito dal mondo della pubblicità[74].

Così come appresta strumenti, ingegnosi ed efficaci[75], per far valutare alle parti, con rigore ed attenzione, le alternative negoziali che loro stesse hanno posto sul piatto.

Il mediatore è paziente: non si stanca mai di ribadire alle parti che ciò che viene detto e fatto in mediazione resterà riservato; torna sovente a ricapitolare la struttura della procedura, anche per evitare di dare pareri o giudizi.

Il mediatore riformula infine il conflitto in base agli interessi dei partecipanti alla mediazione[76]: ciò potrà avviarli verso l’intesa, se troveranno l’opzione che possa soddisfarli.

In sintesi il mediatore è un uomo possibilmente saggio e paziente che possiede la virtù dell’attenzione e dell’ascolto: non ha mai fretta e nel suo tentativo di dare una mano al futuro ha bisogno del professionista.

 


 

[1] In cui di certo hanno una parte fondamentale i professionisti che li assistono. Non si deve pertanto avere una concezione idillica della conciliazione: la conciliazione cooperativa consiste nell’analisi che ogni soggetto avrà fatto in relazione ai propri interessi.

[2] Sufficiente invece nei sistemi di ordine imposto.

[3] Che tipo di realtà mi immagino in quel momento; ognuno di noi ne ha una dettata da molti fattori (studio, educazione ecc.); la percezione del conflitto è complessa.

[4] Bisogna saper controllare le proprie emozioni e riuscire a non reagire agli sfoghi emotivi degli altri.

[5] È  fondamentale riuscire a farsi capire, ma anche ascoltare attivamente l’altro.

 

[6] Nella procedura di mediazione il "terzo" è l'ago della bilancia del procedimento. Il buon esito del procedimento dipende in larga parte dalla sua abilità di condurre le trattative tra le parti. Un'abilità che presuppone non solo competenze giuridiche, ma anche tecniche di comunicazione, che non possono essere improvvisate (così si esprime A. MASUCCI, LA "MEDIAZIONE" IN FRANCIA, GERMANIA E NEL REGNO UNITO. Un valido rimedio alternativo alla sentenza nelle liti con la pubblica amministrazione?, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2008, 6, 1353.); il mediatore è un professionista qualificato, esperto di tecniche  di conflict resolution e conoscitore delle dinamiche conflittuali soprattutto dal punto di vista psicologico, competente a conoscere i risvolti giuridici delle singole controversie, si tratta generalmente di psicologi, talvolta di giuristi appositamente “formati” (v. G. COSI, Perché conciliare? in dispensa Corso Base e di specializzazione per conciliatori ai sensi del d.lgs. n. 5/03, Associazione Equilibrio & Risoluzione delle controversie, 2010); gli strumenti utilizzati dal mediatore sono tratti soltanto in minima parte dalla formazione professionale (giuridica o economica o in generale tecnica in cui affonda la controversia): per riuscire a far conciliare le parti in lite, infatti, rilievo prevalente hanno altre doti e qualità, legate alla psicologia, alle tecniche di comunicazione di persuasione… (G. FINOCCHIARO, Mediazione le novità, in Guida al Diritto, n. 12 del 20 marzo 2010, p. 66).

[7]Il conciliatore deve essere formato adeguatamente e deve mantenere ed aggiornare costantemente la propria preparazione in tecniche di composizione dei conflitti. Il conciliatore deve rifiutare la nomina nel caso in cui non si ritenga qualificato”. Art. 1 codice deontologico UNIONCAMERE.

[8] Avere conoscenza di tipo teorico, relative al background personale e professionale.

[9] Possedere, in altre parole, abilità di gestione (conservare l’imparzialità; gestire le interazioni negative; saper formulare le domande per fare emergere le vere motivazioni; aiutare le parti a generare le opzioni creative; aiutare le persone ad identificare i principi e criteri necessari per facilitare la loro presa di decisione; aiutare le parti a valutare se la decisione presa è fattibile) e di analisi (lavorare con le risposte date dalle parti; analizzare conflitti complessi, policentrici (tra gruppi per il riequilibrio del territorio) e multiparte;  individuare e analizzare le dinamiche di interazione tra i partecipanti).

[10] Avere cioè abilità comunicative e relazionali: comunicazione verbale, non verbale e paraverbale adeguata (non giudicante); empatia, capacità di riconoscere emozioni proprie e degli altri, ascolto attivo, assertività, atteggiamento non difensivo.

[11] Capacità di trasformarsi, di mettersi in gioco, di saper orientarsi e riorientarsi continuamente.

[12] Flessibilità (“Perciò come l’acqua modella il suo corso secondo la natura del terreno su cui scorre così il generale trova la vittoria in relazione al nemico che ha di fronte”; “Colui che può modificare le proprie tattiche in relazione al nemico e, pertanto, ottenere la vittoria può essere definito un condottiero divino”. Sun Tzu, Bingfa, V, 32-33), creatività, autocontrollo, capacità di superare i pregiudizi personali, dinamismo, empatia.

[13] La conoscenza di queste tecniche è indispensabile dal momento che la comunicazione tra individui si compone solo per il 7% degli elementi verbali (ossia alle parole); il 55% è affidato al non verbale (gesti, postura, movimenti e sguardi) ed il restante 38%  al cosiddetto paraverbale (tono ed enfasi della voce).

In altre parole più del 50% della comunicazione è visiva (cioè dipende dall’aspetto della persona che parla), quasi il 40% è relativa al tono (a come il parlante si esprime) e quasi il 10% è relativa al contenuto (a quello che il parlante ha realmente detto).

Circa il contenuto si deve essere inoltre consapevoli del fatto che se Tizio vuol dire il 100% in realtà riesce a dire il 70%. Caio che ascolta a sua volta recepisce  il 50%, capisce il 30% e ricorda il 20%.

Una difficile comunicazione ha cause molteplici: distorsione accidentale od omissione dell’oratore, reazione di fronte al tono della voce e non al contenuto (se dico a Tizio di aprire la porta e poi urlo a Tizio di aprire la porta otterrò una reazione diversa di Tizio, a parità di contenuto), problemi fisici e psicologici ecc.

Da tutto ciò consegue che un mero e semplice ascolto delle parole, senza specifiche competenze ed abilità, ridurrebbe alquanto la comprensione della vicenda da parte del mediatore e gli impedirebbe di aiutare le parti a focalizzare l’attenzione non solo sulle loro posizioni di partenza, ma anche sugli interessi e bisogni che devono necessariamente emergere ed essere soddisfatti nell’accordo, perché si possa dire che una mediazione sia andata a buon fine.

Si tenga inoltre presente che la prassi indica i dati seguenti: il 90% di una trattativa è legato alla psicologia, solo il 10% alla logica.

Farebbe un cattivo servizio alle parti un mediatore che non tenesse conto di questa indicazione della pratica e non avesse una buona conoscenza dei tipi psicologici che possono essere parti di una negoziazione assistita.

[14] Il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ha previsto all’art. 16 c. 4 che un decreto ministeriale stabilisca i criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell'attività di formazione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori: ciò è accaduto con il varo del decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180.

[15]Quindi vale il detto: uno può sapere come vincere senza però, essere in grado di farlo” (Sun Tzu, Bingfa, IV, 4).

[16] Art. 4 lett. a) decreto ministeriale 23 luglio 2004 n. 222

“…i requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori per i quali, ove non siano professori universitari in discipline economiche o giuridiche, o professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero magistrati in quiescenza, deve risultare provato il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati presso il responsabile in base ai criteri fissati a norma dell'articolo 10, comma 5;”.

[17]  Art. 10 c. 5 e 6 decreto ministeriale 23 luglio 2004 n. 222

“5. Il responsabile stabilisce i requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere i corsi di formazione previsti dall'articolo 4, comma 3, lettera d); in via transitoria, e finché non si sia autonomamente determinata, il responsabile applica i criteri elaborati dall'Unione italiana delle CCIAA per il corso di conciliazione di livello base, con una durata non inferiore a 32 ore di lezione, di cui almeno 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, per un numero massimo di 30 partecipanti.

6. Il responsabile può richiedere agli enti o organismi attestazioni omogenee di qualità, a far data dal secondo anno successivo all'iscrizione nel medesimo”.

[18]  Art. 1 decreto ministeriale  24 luglio 2006

1) attestazione di impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, con le seguenti caratteristiche:

almeno 32 ore di lezione, di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa;

almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all'art. 1 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; i riti societari di cognizione ordinaria e sommaria;”

[19] Art. 4 c. 3 lett. a) decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180.

[20] Art. 4 c. 3 lett. b) e art. 18 c. 2 lett. f) e g) decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180.

[21] V. art. 3 c. 3 e 4 c. 3 lett. d) decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180.

[22] Avvocato, commercialista, geometra, consulente del lavoro, architetto, agente immobiliare ecc.

[23] Non appare invece opportuno che si guardi all’istituto con spirito corporativo. Tale ottica sarebbe, infatti, contraria sia alla direttiva comunitaria 21 maggio 2008 n. 52, sia soprattutto alla prassi diffusa all’estero per cui il mediatore può possedere le più disparate competenze professionali. Quel che conta insomma non è il titolo, ma la conoscenza della materia oggetto di mediazione.

“Pertanto assolutamente infondata e improponibile appare la proposta avanzata del Consiglio Nazionale Forense (sostenuta da Aiga e Oua) di riservare ai soli avvocati l’attività di mediatore dimenticando che quella della Conciliazione è una cultura trasversale a tutte le categorie professionali del nostro Paese e non potrà mai essere esclusiva di una sola con l’esclusione di altre” (M. BOTRUGNO, Mediatore, un ruolo trasversale a tutte le professioni riconosciute, in www.conciliazioneearbitrato.eu.)

[24] Per chi volesse soffermarsi ulteriormente sulla figura del mediatore potrà proficuamente approfondire lo studio dei seguenti documenti: Model law on International Commercial dell’Uncitral (2002), Libro Verde del 19 aprile 2002, Uniform Mediation Act (2003), Raccomandazione 98/257/CE del 30 marzo 1998, Raccomandazione 2001/310/CE  del 4 aprile 2001, European Code of Conduct for Mediators (2004), cui si uniformano i principali organismi di ADR nella Ue; Direttiva 21 maggio 2008 n. 52. In Italia si veda il Codice Deontologico Unioncamere (2002); il regolamento di conciliazione Unioncamere (2005); Il decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 e le norme attuative (in particolare il decreto del Ministero della giustizia 23 luglio 2004 n. 222 ) e in ultimo il decreto 4 marzo 2010 n. 28 soprattutto con gli articoli 2, 8, 9,10,11,14 e la norma di attuazione (decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 28).

[25] A ben valutare, il professionista, con il suo intervento e, non certo per colpa sua, attesta un fallimento del cliente  (COSI); prende atto cioè che il cliente non ha trovato il canale di comunicazione idoneo a tutelare i suoi interessi.

Accade tuttavia che il canale idoneo non riesca a trovarlo nemmeno lui e che sia costretto ad affidare la questione nelle mani di un altro professionista, il giudice.

[26] A ciò dovrebbero pensare le istituzioni scolastiche a tempo debito.

[27]Durante il confronto tra le parti, il mediatore ha innanzitutto il compito di affrontare la crisi creata dal conflitto, lavorando con i sentimenti e le fantasie negative, e introducendo nuovi elementi di riflessione per facilitare, se necessario, un mutamento di approccio di ciascuna parte verso l'altra, con un aumento di flessibilità delle posizioni di ciascuna delle due. D. GADDI - F. MAROZZI - A. QUATROCOLO, Voci di danno inascoltate: mediazione dei conflitti e responsabilità professionale medica, in Riv. it. medicina legale 2003, 5, 839.

[28]Et qui saepe credunt obtinere succumbunt; et si obtinent, computatis laboribus et expensis, nihil adquirunt” (“E chi si crede di lucrar, sovente vi perde; e se pur vince, a conto fatto del disturbo la spesa, nulla stringe”). Dalla lapide funeraria di Tomaso Capenago (1445).

[29]Il mediatore deve essere inteso come un terzo neutrale, privo di ogni potere sulle parti, il cui compito è quello di apportare non soluzioni, ma regole al processo di mediazione”. D. GADDI - F. MAROZZI - A. QUATROCOLO, Voci di danno inascoltate: mediazione dei conflitti cit.

[30]Il conciliatore non ha il potere  di imporre una soluzione della controversia alle parti” (Uncitral, Model law on International Commercial conciliation,17-28 giugno 2002).

[31] Che peraltro va contro tutte le leggi di natura visto che in natura tutto si evolve e non vi è nulla di statico.

“…e se l’autorità de’ giudicati fa tacere le passioni non sempre le ammorza in guisa che nel silenzio non ingrossino e segretamente non covino più inquieti e più funesti progetti”(NICOLINI). "...le sentenze passate in giudicato, le quali terminano bensì le liti, ma in modo forzato, all'infuori cioè del consenso delle parti". L. SCAMUZZI, voce Conciliatore e conciliazione giudiziaria, in Digesto Italiano, vol VIII p. I, Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1896, p. 163.

[32] “…il giudice  non può che prescrivere quel comportamento che le norme prevedono, in via generale ed astratta, a tutela dell’interesse tutelato” F. C. ULLOA, LA CONCILIAZIONE, Modelli di composizione dei conflitti, CEDAM, Padova, 2008, p. 419.

[33] Globali, definitivi, incondizionati, obbligatori (v. L’arte del negoziato, op cit. p. 103). L’accordo potrà anche prevedere una dichiarazione delle parti circa il loro potere di conciliare, una clausola di riservatezza, una clausola risolutiva espressa, una clausola penale, una clausola conciliativa e/o arbitrale nel caso vi sia inadempimento dell’accordo o si debba ricorrere ad interpretazione.

[34] Quelli che prendono in esame gli interessi di tutte e due le parti.

[35] Non costruiti su delle forzature. “Il Conciliatore non deve esercitare alcuna pressione sulle parti”. Art. 5 codice deontologico UNIONCAMERE. Già la legislazione austriaca del 1815 che affidava la conciliazione al pretore, prevedeva che lo stesso dovesse indurre le parti ad un amichevole componimento,” senza però mai insistere con esortazioni inopportune e molto meno con minacce”. L. SCAMUZZI, voce Conciliatore e conciliazione giudiziaria, cit. pag. 62.

[36] Art. 14 c. 2 lett. c) decreto 4 marzo 2010 n. 28. Non contrari cioè all’ordine pubblico e alle norme imperative.

[37] Non a caso la conciliazione facilitativa rinasce in America dalla rielaborazione, come sappiamo, di un testo di strategia militare.

[38] Per setting in senso lato si intende un insieme strutturato di componenti multidimensionali: sapere, norme, poteri, rituali, spazi, strutture, architettonica, oggetti, tempi.

Ci sono due livelli di setting: il primo livello indica ciò che è visibile (tempi, durata, struttura architettonica, disposizione nello spazio dei partecipanti e del mediatore).

Il secondo livello tutto ciò che è invisibile (le regole tacite, le posizioni assunte all’interno del gruppo, i valori, le aspettative latenti, le emozioni).

[39]Il generale che ha piena consapevolezza dei vantaggi che derivano dalle variazioni tattiche sa come guidare le truppe”. Sun Tzu, Bingfa, VIII, 4.

[40] Il mediatore utilizza correttamente un tavolo quadrato o rettangolare, nel caso in cui quello tondo, che è usualmente più indicato, mancasse nel luogo di mediazione.

[41] Per questo si dice che la procedura di mediazione è informale.

“Dal canto suo quel terzo, sia egli un amico, o un notabile, o un magistrato, forte della fiducia in lui riposta, va diritto alla meta, senza tanti termini e formalità, ispirato dal suo senso pratico e dalla sua coscienza, piuttosto che dai dettami rigorosi della legge, e trova nella sua opera pacificatrice la migliore delle soddisfazioni” L. SCAMUZZI, voce Conciliatore e conciliazione giudiziaria, cit. pag. 39.

[42] V. art. 11 c. 1 decreto legislative 4 marzo 2010 n. 28.

[43] Non è chi non veda qui l’importanza della presenza in mediazione del consulente che può convincere il cliente a non fare mosse di cui potrebbe pentirsi (v. per le conseguenze della proposta rifiutata l’art. 13 decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28).

[44] Art. 7 c. 2 lett. b) decreto 18 ottobre 2010 n. 180.

[45] Il valore dell’imparzialità è millenario: ne abbiamo traccia già nell’Iliade (Libro 23, v. 573-74) quando Menelao in disputa con Antiloco per il secondo premio della gara dei carri afferma:”Ma su, condottieri e governanti degli Argivi, giudicate fra noi equamente, senza parzialità” (trad. G. CERRI, ed. BUR).

[46]Spetta al generale essere calmo e perciò assicurare il riserbo…” Sun Tzu, Bingfa, XI, 35.

[47] E in quella privata, ciò che emerge sarà anche assolutamente confidenziale, salva autorizzazione contraria su singoli punti.

[48] V. art. 14 c. 2 lett. a) e b) decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

[49] Molti studi affermano che per eliminare una prima impressione negativa ce ne vogliono dieci positive.

[50] Si comunica assertività grazie ad una postura eretta e bilanciata, alla capacità di sostenere lo sguardo ma anche di distoglierlo al momento giusto, onde evitare imbarazzi, ad un modo equilibrato di respirare, al rispetto della prossemica, alla capacità di evitare balbettii e lunghe pause, alla limitazione o all’eliminazione di manierismi nervosi.

[51] Può comprendere, ad esempio, che una parte è “dominante” dal fatto che quando stringe la mano tende a ruotare il polso verso il basso; se non presta attenzione potrebbe rischiare di farsi sfuggire il controllo della procedura.

[52] Perfezionista, altruista, manager, romantico, eremita, scettico, artista, capo, diplomatico.

[53] Ossia di alimentare la sua comprensione di quello che l’altro prova, in funzione di una comunicazione più efficace.

[54] Sguardo, mimica, posizione, azione, gestione degli spazi, andatura ecc.

Il linguaggio del corpo offre al mediatore svariati elementi per capire lo stato d’animo della persona: si va dagli atti di scarico tensionale (o passionale), agli atti di gradimento e/o di rifiuto ed infine agli atti iconici: manipolazioni complesse del proprio corpo o degli oggetti che simboleggiano il modo con cui il soggetto vive la situazione.

[55] Che in comunicazione vale solo il 7% della intera comunicazione.

[56] Volume, tono, timbro, ritmo della voce.

Da questi elementi può ricavare se il soggetto sia visivo, auditivo o cenestesico: e di qui ha possibilità di regolare il proprio paraverbale.

[57] Perché diversamente colui che parla potrebbe tacciarlo di imparzialità.

[58] Ossia il pericolo di essere coinvolto nel litigio.

[59] Attrazione, antipatia per le parti, leadership ecc.

[60] Di un genogramma. Tecnica che usano i terapeuti familiari.

[61] Ognuno di noi ha un luogo, una persona, una musica ecc., il cui ricordo può rasserenare.

[62]Più divina cosa è il parlar bene che male” (Stobeo, Legislazione di Caronda, IV sec. a.C.).

[63] Fa una radiografia del punto di vista della parte.

[64] “Il punto essenziale è che il conciliatore si penetri nella sua posizione, che non è quella di un giudice, ma di un mediatore imparziale: il quale non si impone alle parti coll’autorità o colla saccenteria…” L. SCAMUZZI, voce Conciliatore e conciliazione giudiziaria, cit. pp. 193-194.

“Conciliate gli animi se volete che nelle deliberazioni e' s'accordino. I cuori si conciliano con la soavità delle parole e de'modi; s'accordano con l'uniformità de'pensieri e dei sentimenti”. N. TOMMASEO, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Giuseppe Rejna Editore, Milano, 1858, p. 19.

Maltrattare gli uomini e poi temerne le reazioni indica una suprema mancanza di intelligenza”. Sun Tzu, Bingfa, IX, 37.

[65] Non interrompersi, non parlare l’uno sull’altro, spegnere i cellulari e controllare l’agenda degli appuntamenti al fine di disdettarli.

[66]Quando gli alti ufficiali sono incolleriti ed insubordinati, ed all’incontro con il nemico danno battaglia di loro iniziativa per una sorta di risentimento e, comunque prima che il comandante in capo dica se è, o meno, in grado di combattere, il rischio è la rovina”. Sun Tzu, Bingfa, X, 17.

“Quando un generale, incapace di stimare la forza del nemico, permette che una forza inferiore si scontri con una superiore… il risultato sarà la rotta”. Sun Tzu, Bingfa, X, 19.

[67] “Successo” è ad esempio una parola chiave da utilizzare con il tipo manager, “precisione” con il tipo perfezionista, “indispensabile” con l’altruista, “autentico” con il romantico, “sapere” con l’eremita, “sicurezza” con lo scettico, “libertà” con l’artista, “controllo” con il capo, “armonia” col diplomatico.

[68] Ossia le percezioni errate basata sulla generalizzazione di un aspetto isolato dell’altro partecipante alla mediazione.

[69] Spesso un interesse economico ne sottende diversi altri come il senso di appartenenza, il riconoscimento del proprio ruolo, la possibilità di controllare la propria vita ecc.

[70] V. L’arte del negoziato, op. cit., p. 79.

[71] La migliore alternativa all’accordo negoziato. Viene esplorata in prima sessione privata.

La M.A.A.N. può essere peggiore o migliore della soluzione che i partecipanti possono raggiungere all’interno della mediazione.

Se la M.A.A.N. di entrambi è debole (peggiore) il mediatore è facilitato nel suo ruolo, se le M.A.A.N. sono forti (migliori), la mediazione si prospetta decisamente in salita, perché le parti hanno buoni motivi per non accordarsi; se c'è disparità tra le M.A.A.N. (debole/forte; migliore/peggiore) il mediatore dovrà cercare di spostare l'asse della mediazione, ossia dovrà cercare di ampliare le basi della negoziazione in modo che risulti più conveniente negoziare piuttosto che scegliere la soluzione esterna alla mediazione.

[72] Una linea immaginaria o tracciata con un gesso sul pavimento. Tecnica mutuata dalla programmazione neuro linguistica.

[73] Che rispondono agli interessi rinvenuti dalle parti durante la sessione privata.

[74] V. ad es. la tecnica di Brainstorming inventata da un pubblicitario nel 1935.

[75] Come la valutazione delle alternative con i 6 cappelli per pensare di E. DE BONO od il metodo di Brainstorming o ancora quello delle mappe mentali.

[76] Nella sessione congiunta finale.

                

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

              

 

 

      

 

 

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                             Avv. CARLO CALCAGNO