27 Gennaio, giornata della memoria.
Olocausto: ricordare è necessario per non dimenticare
Nel 1918 era finita la Prima Guerra Mondiale: la Germania si trovava, come paese sconfitto e provato dalla guerra, in grandi difficoltà, doveva infatti pagare ai vincitori enormi “riparazioni” per i danni di guerra.
L’economia era bloccata, l’inflazione cresceva vertiginosamente, la disoccupazione si infliggeva sui cittadini tedeschi; tutto ciò generava sfiducia nella democrazia: se da una parte c’era chi rimpiangeva il precedente governo imperiale, dall’altra c’era chi sosteneva che fare un’altra guerra era l’unico modo per superare le conseguenze di quella perduta.
Un clima di grande tensione sociale, dovuto anche al senso di umiliazione per la sconfitta subita, affiancato ad una grave crisi economica e ad un orientamento antidemocratico degli ambienti militari e industriali, favorì l’ascesa del nazismo che predicava il riarmo e la militarizzazione della Germania e trovava negli ebrei i peggiori nemici dello Stato.
Fondatore di tale movimento fu A. Hitler, il quale, in breve tempo, riuscì ad affermare i suoi pensieri tra il popolo tedesco: egli sosteneva che negli Ebrei fossero concentrati i mali della società, che essi tramassero contro la Germania e che quest’ultima potesse risollevarsi solo conservando l’assoluta perfezione e purezza della razza ariana. Il nazismo offriva ai Tedeschi un nemico immaginario su cui sfogare le proprie umiliazioni e in cui riporre la grave situazione della Germania.
Fu così che iniziò una brutale persecuzione contro gli Ebrei che vennero emarginati, privati dei diritti civili, della cittadinanza tedesca e infine internati nei lager dove vennero sterminati.
Gli Ebrei vennero trattati come animali: strappati senza alcuna pietà a qualsiasi valore affettivo, catapultati in un “mondo” che esulava da qualunque parvenza umana, donne, uomini e bambini furono costretti a vivere nel fango, nei luduri dei loro stessi bisogni, obbligati ai lavori forzati, a morire di fame, di freddo, ma soprattutto portati a morire nell’anima.
Non c’era alcuna speranza di fuggire da quei lager dove migliaia di corpi, nudi e privi di vita, venivano accatastati senza alcun riguardo in enormi fosse comuni.
Uomini e donne furono divisi: i bambini si ritrovarono così senza una famiglia, costretti a veder morire brutalmente i propri cari; invece “i più fortunati”, se così possono essere erroneamente definiti, si ritrovavano da un giorno all’altro da soli, a doversi proteggere con le proprie forze aggrappandosi a quell’innato istinto di sopravvivenza, probabilmente perché i genitori erano stati mandati nelle camere a gas o forse perché erano stati fucilati per aver tentato di rubare un pezzo di pane per i loro piccoli.
Quando la Germania nazista fu sconfitta nel 1945, l’Europa contava sessanta milioni di morti.
A distanza di tanti anni ci si chiede ancora come è possibile che lo sterminio di milioni di esseri umani sia avvenuto nel cuore dell’Europa senza che nessuno sapesse nulla? come è stata possibile una brutalità così ben organizzata?
Per i sopravvissuti ai campi di concentramento fu difficile tornare a una vita normale: marchiati sulle braccia come carni al macello, essi continuano a raccontare la propria esperienza, affinché nulla venga dimenticato, affinché tutti sappiano, ma soprattutto affinché nulla di tutto ciò possa ripetersi.
Gennaio 2005
27 Gennaio, giornata della memoria. Olocausto: ricordare è necessario per non dimenticare.
Roberta Fortunato